Le lezioni emerse dalle urne e l’esigenza di un accordo tra Pd, Sel e M5S su un programma di cambiamento. Per sfuggire alla stretta tra governissimo dell’austerità e sfascio politico
Molte analisi sono state fatte sul risultato elettorale, e i dati di fatto appaiono chiari. Il voto ha espresso due no: contro la politica di austerità e contro la politica offerta dai partiti tradizionali, nessuno escluso. Il 25% degli elettori si è rifiutato di andare al voto, un altro 25% circa ha votato un movimento non-partito. Assieme fanno il 50% circa dei potenziali elettori, insoddisfatti della offerta politica tradizionale.
Fatto salvo meno del 10% circa che ha creduto nella linea dell’ austerità, coerente con il Governo Monti, il rimanente 90% dei votanti, per ragioni anche diverse, si è espresso contro. Più dei due terzi di questo 90%, quelli che non hanno votato liste di centro-destra o destra, ha votato chiedendo o la fine tout court dell’austerità, oppure una politica di crescita con attenzione al sociale, una lotta alle disuguaglianze e ai privilegi sociali ed economici, una maggiore progressività nella tassazione e minore evasione ed elusione fiscale, maggiori opportunità di lavoro e prospettive di futuro per i giovani, una forte attenzione ai beni comuni e collettivi, senza dilapidare ulteriori risorse pubbliche, anzi rinegoziando e riducendo il debito, perché questo è il solo modo per riaffermare il ruolo dello stato che interviene direttamente sul mercato. Non meno stato, ma uno stato per la collettività.
Un messaggio chiaro anche per l’Europa, per la Germania anzitutto, e per i paesi continentali che anche loro hanno problemi causati dalla politica di austerità, pensiamo alla Francia, l’Olanda, la Danimarca, ai paesi nordici e quelli dell’est europeo. Anche per alcuni di questi, i vincoli di bilancio (deficit e debito) rischiano di saltare.
Al margine di questi due no, segnaliamo altri due no. Il voto non si è indirizzato verso la proposta politica offerta da PD e SEL, che è stata intesa in tutta la sua ambiguità tra rinnovamento e continuità, e quindi non ha avuto il mandato di governare, né da soli né con altri al centro. Neppure però si è indirizzato verso una proposta politica comunque tradizionale alla sinistra dell’altrettanto tradizionale voto al partito maggioritario del centro-sinistra. Anche su questo occorre essere chiari. SEL ha raccolto pochissimo, Rivoluzione civile quasi nulla. Chi voleva dare un voto a sinistra del PD ha scelto il M5S, risultato più credibile sia nella protesta sia nella proposta.
Ai cittadini non può essere data come risposta l’ingovernabilità post-elettorale e il ritorno immediato al voto. Tanto meno un governissimo, un governo tecnico, o altra frittura mista. Proprio perché è emersa così forte la richiesta di un cambiamento, tocca alla politica trovare la risposta. Quali sono le cose da fare per un programma minimo di governo prima di andare di nuovo al voto? Secondo noi le priorità su cui misurarsi in Parlamento per una possibile convergenza tra Pd-Sel e M5S sono le seguenti.
1. Riforma elettorale – Costituisce la condizione per andare alle prossime elezioni, non affrontabili con il presente sistema elettorale, per cui è indispensabile procedere con una riforma secondo il modello del sistema maggioritario a due turni, su base circoscrizionale-regionale. Su questo è necessario costruire convergenze tra Italia giusta e M5S.
2. Costi della politica – Il finanziamento pubblico ai partiti è stato abrogato con un referendum in anni lontani, ma il rimborso elettorale è un finanziamento pubblico camuffato, ed occorre eliminarlo come la volontà popolare aveva chiesto. Inoltre dimezzare il numero dei parlamentari, tagliare emolumenti e vitalizi a vari livelli, nel Parlamento, nei Consigli Regionali, e ridurre drasticamente il cumulo di pensioni e vitalizi. Per ridurre i costi della politica ed in generale i costi pubblici: eliminare le Province ed attribuire le loro competenze alcune al livello regionale altre ai livelli inferiori; aggregare i Comuni (soglia 5 mila abitanti, se non addirittura 10 mila); definire un tetto massimo alle remunerazioni dei dirigenti pubblici.
3. Legalità e fiscalità – Corruzione e legalità economica nella politica devono essere contrastate con la reintroduzione del falso in bilancio, normative rigide sul conflitto di interessi, norme anti-corruzione, contro il voto di scambio, lotta all’evasione fiscale, tracciabilità dei pagamenti, riduzione al minimo nell’uso del contante, progressività dell’imposizione fiscale, riduzione della tassazione sul lavoro e sull’impresa, patrimoniale per l’1% della popolazione più ricca.
4. Spese militari – Drastico ridimensionamento degli investimenti ed impegni assunti per l’acquisto di nuovi armamenti e riduzioni degli impegni internazionali negli scenari di guerra, privilegiando gli impegni umanitari. La recente proposta di drastica riduzione delle spese militari ha raccolto un forte consenso dell’opinione pubblica (per la cancellazione del programma degli F35, la campagna “Taglia le ali alle armi” è stata sostenuta da oltre 650 associazioni). Ancora non sappiamo il costo dei 90 F35 il cui acquisto è attualmente previsto; sappiamo però che il programma complessivo si avvicinerà ad una manovra finanziaria, oltre 50 miliardi. E sappiamo che il bilancio pluriennale dello Stato prevede già per il Ministero della Difesa un progressivo aumento dai 20.935 milioni previsti nel 2013 ai 21.024 milioni nel 2015. Ma vi sono altre spese nascoste in altri Ministeri. Questa sì che è una spesa sulla quale deve agire il massimo rigore, superando il tabù che protegge la sfera militare.
5. Beni comuni – Le risorse condivise dalle comunità, come l’ambiente, internet, l’acqua, le conoscenze e l’informazione, le reti, la cultura, il territorio, le risorse naturali, l’ambiente, ed altri ancora, possono essere gestiti in maniera più efficiente e sostenibile dalle comunità autonome piuttosto che dalle imprese private o dallo stato. La gestione di quei “beni comuni” – alcuni dei quali i referendum del 2011 hanno riportato (almeno sulla carta) nella sfera pubblica – deve essere sottratta al mercato e controllata principalmente dalle comunità interessate. Il contributo dello stato deve portare a difendere e non a privatizzare i beni comuni, investire nei beni comuni a partire dall’acqua, e dalla salvaguardia del territorio, dare segnali di sostegno a scuola e università, difendere il sistema sanitario.
6. Provvedimenti economici – La vera emergenza sta nel rilanciare l’economia italiana e creare nuova occupazione. Ecco alcuni punti prioritari sui quali è necessario e urgente avviare un confronto e soprattutto azioni politiche immediate. Su questi richiamiamo l’attenzione anche degli eletti del M5S dato che per quel che sappiamo su alcuni non c’è un esplicito impegno organico nel programma del M5S.
– Occorre l’avvio di molte piccole opere a sostegno del territorio e del patrimonio culturale, dell’edilizia scolastica e pubblica in genere, infrastrutture ritenute essenziali per la collettività. A tal fine occorre anche rivedere il Patto di Stabilità che impedisce ai Comuni, anche virtuosi, di realizzare investimenti in infrastrutture, opere pubbliche e attività per la salvaguardia del territorio.
– Occorre un piano energetico nazionale centrato sulle energie rinnovabili e l’efficienza energetica con connessioni di rete dalla produzione di energia al consumo finale lungo tutta la filiera, e sì ad un piano dei trasporti sostenibile urbano e non urbano, non centrato su infrastrutture inutili e costose contrastate dalle comunità locali.
– Occorre un piano del lavoro per i giovani, nella fascia di età 15-29 anni, dove si concentra una disoccupazione del 40%. Si deve dare priorità alla attivazione di domanda pubblica: occorre assicurare una domanda di lavoro diretta per servizi di pubblica utilità, servizi lavorativi remunerati almeno con 500 euro mensili, per almeno 1.000.000 di giovani. Pensare al lavoro ed ai giovani è anche uno strumento di sostegno alla domanda effettiva, che non troverebbe oggi supporto tramite una politica di detassazione delle nuove assunzioni da parte delle imprese: una azione diretta del pubblico è necessaria a supplenza di un mercato incapace di creare occupazione mediante stimoli microeconomici. Questo piano deve essere inteso come “lavoro di cittadinanza”, strumento di partecipazione attiva e esito di una serie di politiche mirate alla “piena e buona occupazione” che contrasta i fallimenti del mercato.
– Occorre una politica per l’innovazione tecnologica e organizzativa nella produzione industriale e nei servizi centrata sul cambiamento dei luoghi di lavoro e che sperimenti modelli di partecipazione diretta ed indiretta dei lavoratori all’impresa, con responsabilizzazione tanto dei lavoratori quanto dei manager, che redistribuisca il reddito prodotto invece di riproporre solo l’accoppiata “maggiore sforzo e maggiore flessibilità”. La dinamica salariale deve mutare la sua rotta, e passare dal declino alla crescita, e ciò può avvenire coniugando innovazione e partecipazione.
– Finanza e credito. È urgente dare sostegno al credito alle piccole imprese, avviare lo sblocco dei trasferimenti per commesse pubbliche, agire anche con una sospensione del pagamento di alcune imposte a carico delle imprese. Non consentire il salvataggio delle banche prevedendo che i costi dei fallimenti delle stesse vengano sostanzialmente scaricati sui bilanci pubblici, salvaguardando azionisti e creditori, come invece è nei progetti della Commissione Europea, senza che vi sia alcun controllo nella loro gestione. L’ipotesi della nazionalizzazione non può rimanere fuori dalle opzioni nei casi di salvataggio. Sui mercati finanziari e sulla gestione delle società finanziarie occorre intervenire con regole di trasparenza e controlli sulle operazioni finanziarie, divieti di transazione sugli strumenti finanziari che non corresponsabilizzano nelle perdite gli intermediari finanziari.
– Occorre contrastare la politica europea dell’”austerità espansiva”, ovvero di quella politica che racconta la favola secondo la quale con il rigore dei conti ed i tagli al welfare pubblico a favore di quello privato si innesca la crescita e si ottiene la fiducia dei mercati. Azioni invece per rinegoziare le politiche di rientro dai debiti nazionali, per escludere dal Fiscal Compact le spese di investimento e per le infrastrutture finanziate dai singoli Stati, per avviare gli Eurobonds per finanziare green economy, knowledge economy e digital economy, perché la BCE svolga funzioni di prestatore di ultima istanza, per l’introduzione di una Tobin Tax più vincolante, efficace e generale sulle transazioni finanziarie, perché il Parlamento Europeo rigetti la proposta del Consiglio Europeo di riduzione del budget dell’UE, e lo riscriva per accrescere gli investimenti in infrastrutture immateriali e ridurre investimenti per la difesa militare, con un budget complessivo che superi l’1% del GDP totale dei Paesi membri dell’Unione, per realizzare interventi radicali sul sistema bancario con strumenti fiscali e regolativi piuttosto che di ponderazione del rischio e di ricapitalizzazione delle banche che si sono dimostrati controproducenti.
Alcune di queste priorità non sono soddisfacenti? Che se ne discuta. Altre priorità sono possibili. L’importante è che si possa avere un dialogo e trovare una via d’uscita, senza aspettare che i fautori del governissimo, o quelli dello sfascio, prevalgano. Che forse sono, in entrambi i casi, gli stessi.