L’italiano è un obbligo: quindi arrangiatevi. Come, dove e con chi si insegna italiano agli stranieri. E cosa si può fare per trasformare un obbligo in un diritto. Un libro
Il governo B. è andato, ma quasi tutto quel che ha fatto – o non ha fatto – è ancora qui. Anche le cose dimenticate, quelle che hanno preso per giorni e giorni i titoli e la propaganda quotidiana, e poi ci siamo lasciati dietro di noi senza pensarci più. Tra queste, chi ricorda il grande battage che ha accompagnato l’introduzione dell’obbligo per gli stranieri immigrati in Italia di imparare l’italiano e conoscere i fondamentali della nostra Costituzione? I titoli sui permessi a punti, le lezioni di educazione civica da parte di esponenti di partiti a dir poco disinvolti in materia, gli annunci roboanti? Che ne è stato, che ne è, di quella partita fondamentale per la vita degli stranieri in Italia? A soccorrere la scarsa memoria pubblica sul tema, arriva un utilissimo libro-scialuppa, “Italiano per stranieri immigrati”, curato da Fiorella Farinelli e Roberto Pettenello. Nel sottotitolo, il senso netto della pubblicazione: “da obbligo a diritto”. Imparare la lingua, acquisire l’abc per vivere bene in un paese diverso dal proprio, ottenere gli strumenti di base per una piena integrazione, dovrebbero essere diritti di chi arriva, mentre da noi – lo si legge nel libro e lo chiarisce bene Chiara Saraceno nell’introduzione al volume – si sono trasformati in ennesimo ostacolo nella gimkana di vessazioni imposta per scoraggiare l’immigrazione, e così facendo respingerla. “Così facendo – scrive Saraceno – lo Stato italiano squalifica la richiesta di integrazione che avanza: proponendola di fatto come prezzo da pagare e di cui esibire la ricevuta, piuttosto che come percorso e lavoro di riconoscimento e adempimento”.
Tutto ciò è avvenuto in un modo molto semplice: imponendo gli obblighi – in primis, quello di certificare la propria conoscenza della lingua italiana, a carico degli stranieri che chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno di lunga durata e di chi richiede per la prima volta il permesso di soggiorno – e non stanziando risorse né persone né strumenti amministrativi per farvi fronte. I centri di formazione per adulti – titolati, all’interno del sistema scolastico pubblico, ad assolvere a questo compito – venivano nel frattempo lasciati a secco di risorse; mentre niente altro si aggiungeva, in aiuto o in sostituzione, per far fronte a una domanda che quest’anno potrebbe arrivare a numeri importanti: intorno alle 100.000 nuove richieste di certificazione. Per fare un paragone, è come se lo stato dicesse a tutte le famiglie con bambini: c’è l’obbligo di vaccinarli, vedete voi come e dove; e – soprattutto – pagate voi.
Come se la sono cavata, come ce la caviamo in tutto ciò? Con la capillarità delle risorse che, ancora una volta, si sono attivate dal basso. In quel mondo variegato e vasto che si occupa di immigrazione, scuola e formazione (nella scuola pubblica, nel privato sociale e nel volontariato), e che è stato attraversato – lo racconta bene Fiorella Farinelli nel libro – dal dilemma che quei provvedimenti hanno posto; perché sono connotati tecnicamente e politicamente dalla volontà di escludere, e hanno proposto un patto leonino agli stranieri (tu, straniero, sei obbligato in fretta e furia a imparare l’italiano, io, Stato italiano, non sono tenuto a darti né maestri né libri né altro); ma tutto ciò “non cancella l’importanza e il valore che l’apprendimento della lingua del paese di approdo ha nelle politiche di integrazione dei migranti”. Per questo, c’è stato tutto un mondo che si è messo all’opera perché la partita dell’apprendimento dell’italiano da parte degli stranieri si potesse giocare al meglio; un mondo fatto di iniziativa dal basso, di volontariato competente, in alcuni casi di amministrazioni locali funzionanti, di (molte) associazioni e (poche) istituzioni; un mondo che in questo libro restituisce i suoi strumenti, le elaborazioni, i dati storici e tecnici della questione, base essenziale per passare “dall’obbligo al diritto”. Perché non è una cosa facile, insegnare l’italiano come seconda lingua: siamo dovuti partire da zero, non essendo la nostra una lingua usata “come tramite”, come lo sono l’inglese o il francese. Ed è difficile certificare, con soli tre enti abilitati a farlo; è impresa ardua, far fronte all’improvviso a grandi numeri con piccolissime risorse; trovare le aule, in città così avare di spazi pubblici; combattere con l’idiozia amministrativa, che mette gli esami a giugno, quando molti dei migranti partono per raggiungere le famiglie o per i lavori stagionali.
Ne viene fuori una guida molto utile, per chi opera in questo campo, nel pubblico e nel privato sociale; e un racconto importante per tutti, al di là degli “addetti ai lavori”; soprattutto per chi voglia seguire la realtà dell’immigrazione e dei nuovi italiani nella sua concretezza, e individuare cosa va cambiato e fatto subito: abolire le leggi dettate dall’emergenza securitaria e dalla triste (lunga) fase di razzismo di governo è un conto, ma far seguire “l’intendenza” – le scuole di italiano, per esempio – è un altro conto, altrettanto importante e forse più.
“Italiano per stranieri immigrati.Da obbligo a diritto”. A cura di Fiorella Farinelli e Roberto Pettenello. Introduzione di Chiara Saraceno. Ediesse, 2011, 10 euro