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La dispersione dei salari in Italia è stata ricondotta in letteratura, al pari della dispersione di produttività, a molteplici fattori che vanno dal cambiamento tecnologico alla partecipazione ai mercati internazionali. Ma così vengono sottovalutati altri fattori, quali il tasso di sindacalizzazione, in Italia e altrove.

Stesso lavoro, stesso salario, detto in altre parole: lavoratori con caratteristiche simili dovrebbero percepire lo stesso compenso. Questo è quello che prevede l’economia neoclassica: il cosiddetto market-clearing wage  – il saggio salariale che assicura pieno equilibrio fra domanda ed offerta di lavoro – è concepito come unico e legato alla produttività del lavoro. Pertanto, secondo tale approccio teorico, lavoratori con caratteristiche simili dovrebbero percepire lo stesso salario. Tuttavia non è così: le disparità salariali esistono e si sono consolidate nel tempo nella maggior parte delle economie avanzate. 

Dopo oltre un decennio di studi diretti a stimare i rendimenti associati all’istruzione e alle competenze dei lavoratori sul mercato del lavoro, gli economisti hanno iniziato a considerare l’importanza delle politiche salariali praticate dalle imprese nel definire divari retributivi e disuguaglianza salariale fra lavoratori e lavoratrici. Secondo Criscuolo (et alt. 2023), nella media tra 20 paesi OCSE, la disuguaglianza salariale tra le imprese spiega circa la metà della disuguaglianza salariale complessiva, vale a dire che una quota importante di questa disuguaglianza può essere ricondotta alle differenze di retribuzione fra imprese (anche di lavoratori ‘simili’) piuttosto che a differenze nel livello e nei rendimenti delle competenze dei lavoratori. Ad un risultato simile erano giunti anche Barth e coautori nel 2015 in riferimento agli Stati Uniti, evidenziando già nel titolo del loro contributo che It’s where you work a contare molto nella definizione del livello retributivo.

La dispersione salariale fra imprese è stata ricondotta in letteratura, al pari della dispersione di produttività, a molteplici fattori che vanno dal cambiamento tecnologico alla partecipazione ai mercati internazionali. La rilevanza di fattori di natura istituzionale, quali tasso di sindacalizzazione, presenza di contrattazione di primo e/o secondo livello, è stata sottolineata in diversi recenti contributi empirici, tra i quali quelli di  Zwysen, W. (2022) e di Tomaskovic-Devey et al. (2020). Per l’Italia un quadro significativo emerge dall’ OCSE (2023), che, utilizzando dati amministrativi provenienti dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, ha evidenziato come la dispersione tra le imprese abbia raggiunto il 60% nel 2015 e sia stata la componente che più ha contribuito all’incremento complessivo della dispersione tra il 2002 e il 2015.

A partire da queste riflessioni – e sulla base dell’ampliamento della disuguaglianza dei redditi osservato nella maggior parte dei paesi avanzati, rispetto ai quali l’Italia non fa eccezione (Franzini e Raitano, 2019) –, in un nostro recente lavoro1Wage dispersion in Italy – ci concentriamo esplicitamente sui salari e, prendendo a riferimento un campione di imprese localizzate in Italia, esploriamo il legame tra le caratteristiche d’impresa e la dispersione salariale “within-firm” (ovvero, quella che si registra fra lavoratori/lavoratrici di una stessa impresa) e “between-firms” (ovvero, quella legata alle differenze nelle retribuzioni medie pagate dalle diverse imprese) 2.

Nel dettaglio, seguendo Winter-Ebmer e Zweimuller (1999) e più recentemente Cirillo et al. (2017), e stimando un’equazione che ci permette di depurare i salari dall’influenza delle caratteristiche osservabili di lavoratori e imprese, usiamo, come misura della disuguaglianza within firm, il rapporto (differenza logaritmica) fra il 90° e il 10° percentile dei salari interni all’impresa e, come misura della disuguaglianza between firms,  la differenza fra il 90° e il 10° percentile dei salari medi d‘impresa. 

L’analisi è svolta su un campione di 14.510 imprese con almeno 10 dipendenti – di cui oltre la metà costituito da piccole imprese – operanti nei settori manifatturiero, commercio, trasporti, informazione e comunicazione, attività professionali, scientifiche e tecniche. 

La semplice decomposizione della varianza dei salari orari nel nostro campione evidenzia che la disuguaglianza salariale tra le imprese rappresenta il 39% della disuguaglianza totale, a fronte del 61% spiegato da differenze retributive fra lavoratori all’interno dell’impresa 3

La nostra analisi sottolinea che i servizi, in particolare quelli ad alto contenuto di conoscenza, registrano il più alto livello di disuguaglianze salariali, indipendentemente dalla misura considerata. La dispersione salariale misurata fra i più pagati e i meno pagati all’interno della singola impresa è maggiore nei servizi e in particolare in quelli ad alta intensità di conoscenza e nelle imprese con oltre cinquanta dipendenti. Nelle imprese della manifattura ad alta e medio-alta intensità tecnologica, il pattern è inverso, ovvero sono le imprese di piccola-media dimensione a registrare i livelli più alti di disparità. Questa disuguaglianza all’interno di ciascuna impresa non è esplicitamente correlata alle caratteristiche individuali e aziendali, ma si può ipotizzare sia legata alle disparità di opportunità e/o capacità tra i lavoratori nella determinazione delle proprie retribuzioni. Su quest’ultimo aspetto, un ruolo potenzialmente rilevante è rivestito dalla densità sindacale, dall’eventuale presenza e connotazione della contrattazione di secondo livello, così come dalla presenza di modalità informali di negoziazione delle retribuzioni all’interno delle imprese.

I servizi ad alto contenuto di conoscenza registrano anche i più alti differenziali retributivi fra imprese. Questa disuguaglianza nelle retribuzioni medie fra imprese potrebbe ricondursi alla dispersione della produttività, indicando una struttura dualistica, specialmente nei servizi dove imprese a bassa produttività e a bassa retribuzione coesistono con imprese ad alta produttività e ad alta retribuzione. Dall’analisi emerge, inoltre, come la dimensione dell’impresa sia fortemente associata alla dispersione salariale tra le imprese nei servizi, mentre l’opposto avviene nella manifattura. Ciò può attribuirsi all’eterogeneità nelle relazioni tra forza lavoro e management nei due comparti produttivi, con quello manifatturiero strutturalmente caratterizzato da una dimensione media d’impresa superiore, maggiore densità sindacale e maggior diffusione di contrattazione aziendale di secondo livello (Bisio et al. 2023).

Infine, la peculiarità del nostro dataset ha permesso di esplorare il ruolo dell’innovazione – sintetizzata dalla spesa totale in attività innovativa da parte dell’impresa – nell’influenzare le disuguaglianze all’interno e tra le imprese.  Nel complesso, l’innovazione non sembra significativamente associata a una maggiore dispersione interna nelle grandi imprese, mentre contribuisce ad ampliare la dispersione retributiva interna nelle piccole. Inoltre, gli investimenti in innovazione non si associano a un aumento di disparità salariale tra le grandi aziende, ma possono contribuire ad ampliarla tra quelle di minori dimensioni.

In conclusione, l’analisi evidenzia che particolare attenzione dovrebbe essere posta sull’eterogeneo comparto dei servizi, dove possono emergere importanti disparità salariali sia fra imprese che all’interno di queste. Tale risultato può essere collegato a fattori di tipo istituzionale (la più debole rappresentanza sindacale rispetto alla manifattura), pratiche organizzativo-manageriali (ad esempio, l’applicazione di politiche salariali discrezionali) o strutturali (una relativa maggiore dispersione della produttività). Nella valutazione del ruolo del cambiamento tecnologico come ulteriore potenziale fonte di dispersione retributiva all’interno e tra le imprese, l’analisi sembra evidenziarne la rilevanza solo per le imprese di piccola dimensione. I nostri risultati suggeriscono, inoltre, che altri meccanismi – radicati nelle istituzioni del mercato del lavoro – verosimilmente influenzano le disuguaglianze salariali e che, quindi, analisi esplicitamente dirette al loro studio sarebbero promettenti.

NOTE:

1 La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata su Etica&Economia al seguente link La dispersione dei salari in Italia: un’analisi esplorativa basata su dati employer-employee, Laura Bisio, Matteo Lucchese, Valeria Cirillo | Menabò di Etica ed Economia (eticaeconomia.it) 

2 Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono quelle dell’Istituzione di appartenenza, ma solo quelle dell’autore.

3 Nell’analisi di questi valori, dobbiamo considerare che nel nostro campione (le cui osservazioni non sono pesate) le grandi imprese hanno un peso relativamente maggiore.