Crolli ed emergenze globali, nel vuoto della politica. La finanza non deve essere rassicurata, ma messa in condizioni di non nuocere. Ecco come, in quattro semplici mosse
Tutta l’Europa che conta era ieri a Bruxelles a discutere di come Roma dovrà replicare le penitenze finanziarie di Atene, Dublino, Lisbona e Madrid. Ma se la crisi agita il Mediterraneo, altrettanto inquiete sono le acque dell’Atlantico. Il prossimo 2 agosto gli Stati uniti si troveranno in insolvenza, a meno di un accordo politico in extremis. La maggioranza repubblicana della Camera rifiuta di votare la legge necessaria per portare il limite del debito Usa oltre gli attuali 14.300 miliardi di dollari (circa il 100% del Pil), dopo aver respinto il piano da 4.000 miliardi di dollari in dieci anni proposto da Barack Obama per tagliare pensioni e sanità (ma non la spesa militare, che conta per la metà di quella mondiale) e limitare le deduzioni fiscali.
In tutte le capitali dell’occidente, la preoccupazione principale è rassicurare la finanza. Le banche, salvate dai governi dopo il grande crollo del 2008, hanno ripreso a speculare attaccando il debito degli stati. Tengono sotto tiro i più fragili paesi della periferia europea – ieri hanno “votato” una sfiducia record contro il governo italiano – ma tengono d’occhio anche i conti fallimentari di Gran Bretagna e Stati uniti.
L’Italia precipita nel vuoto di una politica degna di questo nome. L’Europa annaspa sul debito pubblico – meno di 300 miliardi di euro – di un paese che rappresenta il 2% del Pil dell’Unione. Gli Usa scivolano in un declino annunciato. Nessun governo mette un freno a speculazione e agenzie di rating, nessuno pensa all’economia reale, a che cosa produrre, al lavoro, ai redditi sempre più disuguali.
La nuova grande depressione è già qui, in questa generale incapacità di capire come funziona l’economia e nella subalternità a una finanza irresponsabile. I tagli ai bilanci di Grecia, Italia e Usa fanno cadere ancora di più l’economia e l’occupazione: l’Italia è da anni a crescita zero, Atene vede il Pil cadere del 3%, negli Usa ci sono 14 milioni di senza lavoro. Tutto questo avvita una spirale che aumenta il debito in rapporto al Pil e rende più probabili le insolvenze. Sui due lati dell’Atlantico i politici sono accecati dalla loro stessa ideologia, un tardoliberismo finanziario che ha dimenticato le lezioni sia della crisi degli anni trenta che del boom del dopoguerra, sostenuto dall’espansione della domanda e dal ruolo della stato.
Anziché venire “rassicurata”, la finanza dev’essere messa nelle condisioni di non devastare ulteriormente le economie più ricche del pianeta. Quattro semplici misure, discusse da anni e pronte per essere realizzate, potrebbero cambiare in breve tempo i rapporti di forza, le “aspettative dei mercati”, ed evitare depressione che ci aspetta. L’Unione europea potrebbe rilanciare la domanda con l’emissione di 100 miliardi di eurobond, titoli europei garantiti dal bilancio dell’Unione, destinati a finanziare la riconversione a un’economia sostenibile: ricerca, risparmio energetico e fonti rinnovabili, piccole opere pubbliche, tutela del territorio. Il debito pubblico dei paesi dell’area euro può essere garantito dall’Unione monetaria, azzerando così gli spazi di speculazione e definendo poi accordi specifici con le banche più esposte. Le minacce della speculazione si possono ridurre drasticamente con l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie che colpisca per lo 0,05% le operazioni su tutti i mercati finanziari e delle monete. Infine, la creazione di un’agenzia di rating pubblica europea potrebbe mettere a tacere gli annunci interessati delle tre agenzie attuali. Quattro idee che funzionano, al posto del conformismo lacrime e sangue.
(articolo pubblicato anche sul manifesto del 12 luglio 2011)