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Della guerra e della pace

Dal ‘Guerra è pace’ di Arundhati Roy alle guerre economiche e a quelle per difendersi. Fino all’ultima guerra, quella di Libia, dove si è andati alla ricerca di petrolio e si sono trovate invece persone. Una riflessione in 18 punti sulle guerre e sulle ragioni e conseguenze economiche che spesso ad esse sottendono

Sbilanciamoci e in particolare Mario Pianta, noto cantore di pace, hanno avuto l’incarico di tenere una comunicazione al corso estivo sulla guerra per gli studenti di Villa Nazareth, collegio per universitari romani, a Dobbiaco. L’argomento “guerra” era affrontato variamente; il terzo giorno il corso verteva sulle cause e le conseguenze economiche della guerra. Mario, da pacifista laureato e da economista era perfetto per la bisogna. Solo che “quel giorno lì” 2 agosto 2017 per la cronaca, proprio non poteva.  Pochi sapevano che le patate bollenti rimbalzassero come le palline da ping pong; nel nostro caso la patata bollente è rimbalzata fino a chi scrive e lì si è fermata. Il risultato di tutto il palleggio è quello che segue. Con tutta evidenza si tratta di un “power point”che serviva a introdurre una discussione, preparato seguendo i suggerimenti del testo anticipato dagli studenti del corso e appesantito dalla trascrizione del testo orale utilizzato per sviluppare i vari punti. Niente di più, niente di meno. Buona lettura, in santa pace.

Uno
Sbilanciamoci

Si tratta di una campagna cui aderiscono decine di associazioni che praticano la cultura della pace, la salvaguardia ambientale, l’accoglienza e l’inclusione sociale dei migranti, la lotta antirazzista e l’equità fiscale. Il rapporto annuale indica un bilancio pubblico possibile e ben diverso con un forte risparmio sulle spese militari, come quelle del caccia F-35.

Possiamo citare alcune delle associazioni: Emergency, Arci, Legambiente, Wwf, Greenpeace, Altra economia, Assopace, Donne in nero, Nigrizia, Pax Christi, Rete degli studenti, Terres des hommes e naturalmente Lunaria. Sbilanciamoci ha due nature: c’è sbil.org che fa le cose cercando di migliorare (mitigare, adattare il mondo e la politica alle persone e le persone al mondo) e c’è sbil.info che invece racconta quanto è avvenuto o sta per avvenire e perché. L’origine di Sbil.org si perde nella notte dei tempi. Da quindici anni almeno si prepara una contro finanziaria, una critica del bilancio dello Stato che sta per essere approvato – con modalità e titoli sempre diversi è sempre la stessa materia – che presenta spese più contenute con un risparmio anche consistente e scelte socialmente diverse. In particolare c’è una riduzione delle spese militari, in armamenti offensivi, come il caccia F-35 e la loro utilizzazione in altri settori per risolvere altri bisogni, di pace e sviluppo. Sbil.org ha sostenuto la Campagna “taglia le armi” e ha perfino prestato al parlamento italiano Giulio Marcon, uno dei suoi migliori attivisti, per svolgere il compito. Sbilanciamoci.info nasce da una costola della campagna per asfissiante iniziativa di Roberta Carlini, Mario Pianta e Guglielmo Ragozzino con la dichiarata volontà di fare concorrenza “de sinistra” (come si dice a Roma, anche se nessuno dei tre è di Roma) a qualche altra molto, o troppo, considerata, “info de destra”.

Due
Guerra è pace secondo Arundhati Roy

«Quando ha annunciato gli attacchi aerei contro l’Iraq nel 2003, il presidente George Bush ha detto: “Noi siamo un paese pacifico”. L’ambasciatore preferito di Washington, Tony Blair (che riveste anche la carica di primo ministro del Regno Unito) gli ha fatto eco: “Noi siamo un paese pacifico”. E così ora lo sappiamo. I maiali sono cavalli. Le bambine sono maschietti. La guerra è pace».

Arundhati Roy colpisce con il suo sarcasmo le bugie di George Bush e Tony Blair che devono far accettare la guerra ai loro popoli e sanno che la guerra è malvista da tutti e avversata da molti. Le bugie sono le armi chimiche che sarebbero a disposizione di Saddam Hussein in Iraq per la distruzione di massa, a partire dall’antrace e dalle miniere nigeriane di uranio per la costruzione di bombe nucleari. Dunque, assicurano Bush e Blair, non si può fare altro che la guerra preventiva, per evitare la catastrofe. Il mondo si ribella alle bugie di Bush & Blair; la protesta è globale, al punto che The New York Times si inventa la formula di “seconda forza mondiale”. In febbraio vi sono manifestazioni molto riuscite in numerose capitali mondiali tra cui Roma che con la sua manifestazione conquista ogni record. In Italia giovani militanti e ferrovieri fermano e rallentano i treni delle armi, ordinati dalla Nato. La guerra comincia e la risposta di uomini e donne in movimento che si danno da fare per impedire la guerra, si spegne nella calda estate del 2003.

Tre
Guerra non economica

Una sola (con molti dubbi). Quella di Troia. Più un’altra, inventata, tra Lilliput e Blefuscu, risolta da Gulliver.

Gli studiosi, i filologi più che i poeti, dubitano che anche la guerra di Troia – la guerra più famosa della storia delle guerre – abbia avuto cause e conseguenze economiche. Continuiamo però a pensare che la guerra sia originata dai begli occhi di Elena, dalla rivalità tra le dee dell’Olimpo, dalla gelosia di Menelao e per la trasmissibilità della gelosia, da Agamennone e dagli altri greci, contro Paride, l’orrendo e bellissimo traditore. C’è poi un’altra guerra, che saranno in molti a ricordare, di certo non economica. La guerra tra Lilliput e Blefuscu, risolta da Gulliver nel primo dei suoi viaggi con la sconfitta di quest’ultima nazione, visto che Blefuscu aveva perduto l’intera flotta rubata da Gulliver e trascinata via in un colpo solo. Gulliver si rifiutò di far schiavi gli sconfitti, come volevano i vincitori e se ne tornò a Bristol da dove veniva. Sono pochi a ricordare che la causa della guerra era il differente pensiero su come si rompe il guscio dell’uovo: dalla parte piccola o da quella grossa? Un insormontabile problema teologico come lascia intuire Jonathan Swift che conosceva bene le incompatibilità religiose tra protestanti e cattolici.

Quattro
Due tipi di guerre economiche

Uno per conquistare il territorio altrui e l’altro per impadronirsi del lavoro di altri (caso classico la schiavitù). Spesso e volentieri si prende un territorio cosiddetto di nessuno e ci si comporta di conseguenza.

La storia, almeno quella che perlopiù si narra e si conosce è storia di guerre. Le cause e le conseguenze sono pertanto decisive. La citazione: “è la storia, Bellezza, e tu non puoi farci niente” è dedicata più che ai cultori di storiografia, ai molti appassionati di cinema in bianco & nero. Si riferisce a un film, L’ultima minaccia, titolo italiano di Deadline di Richard Brooks in cui Humphrey Bogart, direttore di un quotidiano che fa l’ultima campagna, l’ultimo giorno, prima di chiudere, parla al telefono con il malvagio che minaccia l’intera città. Quando costui gli chiede “cosa è questo rumore?” – ed è quello delle rotative in funzione – gli risponde, il nostro eroe, con il suo tono bogartiano, “è la stampa, Bellezza, e tu non puoi farci niente”. Tra poche ore tutta la città saprà. Non sempre la stampa è sufficiente, come si è visto con Bush, nel caso dell’Iraq nel 2003; ma almeno ci abbiamo provato. A riprova la raccolta delle trecento prime pagine del “manifesto quotidiano comunista” nel 2003, con gli ultimi bellissimi editoriali di Luigi Pintor, ormai prossimo a morire e anche un paio di chi scrive.

Cinque
Tutte le altre guerre sono economiche per cause o per conseguenze

Si possono distinguere due modelli di guerra (economica): il primo per prendere il territorio altrui e allargare di conseguenza il proprio; il secondo per impadronirsi del lavoro (o della vita) di altri, prendendo i vicini, o anche quelli di un altro continente, come schiavi o razziando le loro donne, o i figli o gli armenti.

A prima vista possono sembrare modelli molto antiquati, ma occorre una seconda riflessione … riferita a episodi recenti. Chiarisce il contenuto economico della guerra Ludwig von Mises, il grande economista austriaco in una relazione (oggi citata da un sito anarchico) tenuta in California, contea di Orange, nel 1944, quindi nel corso della II Guerra mondiale. Egli, riferendosi soprattutto alla Germania, spiegava che una nazione è mossa da due volontà: “Lebensraum”, cioè spazio vitale e “Nahrungs Freiheit” cioè libertà dalla scarsità di cibo. Aggiungeva che un grande paese come l’allora Unione sovietica, alleato nella guerra, ha sempre spazio e grano sufficienti per la popolazione; non così la Germania, condizionata sempre, nel giudizio di Hitler e dei suoi, da quelle due esigenze. Nella storia, anche recente, varie nazioni civili hanno deciso che un certo territorio – un intero continente, un mare, una banchisa polare – fosse res nullius e lo hanno incorporato, o tentato di farlo, trascurando interessi di altre popolazioni, spesso presenti in quelle plaghe da centinaia e migliaia di anni.

Sei
Prendere le ricchezze di altri

Città, campi coltivati, grano e altre derrate, miniere, luoghi di culto o religioni intere, porti sicuri, oro, oggetti artistici, donne, ecc.

Vincere la guerra significa prendere le ricchezze del nemico, togliendogli le città, i campi coltivati, i prodotti della terra, le miniere, i porti, il commercio, l’industria … e poi l’intera religione, i luoghi di culto, l’oro, gli oggetti artistici, le donne, gli schiavi. È il tempo delle Crociate e del contrattacco dei mori. Tasso e Ariosto cantano le guerre, gli eroismi, i destini magnifici e inevitabili. L’unico che prova un altro metodo in quei secoli è Francesco che va a parlare con il Saladino, ormai padrone della Terrasanta e ritorna con l’invenzione del Presepe. “Se non possiamo andare noi là, portiamo il Bambin Gesù qua”. Ma i Crociati vogliono regni, nuova civiltà e le spezie e le stoffe e le spade d’Oriente.

Sette
Guerre per difendersi

Difendere gli averi, o gli avi, o l’assetto sociale o politico dato contro i barbari che assediano la città. Guerre religiose, guerre dinastiche, guerre tra guelfi e ghibellini cioè, in Italia, guerre a chilometro zero, ma anche, dentro e fuori la Germania imperiale di allora, guerre per le investiture.

Spesso la guerra serve per riprendere la libertà perduta o attesa o più spesso le città, i campi coltivati e tutto il resto che il nemico ci ha preso al punto precedente. Naturalmente la guerra, l’armistizio, la pace che talvolta arriva fanno maturare nuove idee, scoperte, interessi, politiche, canti, scelte alternative.

Otto
Modernità

Scoperte geografiche, vasti territori inesplorati o da ripulire dagli antichi abitanti infedeli. Nascita lenta degli stati assoluti in Europa. Pace di Vestfalia. Autoattribuzione di interi continenti agli europei. Trattato di Tordesillas subito dopo la scoperta dell’America. Continuazione delle guerre europee in colonia.

La guerra dei mori e dei barbareschi, sotto forma di scorrerie (“mamma li Turchi”) nelle terre e abbordaggi ai navigli nel Mediterraneo costringono Spagna, Portogallo e poi Francia e marinerie dell’Italia ad accordarsi con i pirati (come nel caso del Moro di Venezia), oppure a “buscar India per Occidente”, oppure circumnavigando l’Africa. Spagna e Portogallo. Lontano, soprattutto si trovano di colpo interi continenti da conquistare, colonizzare, cattolicizzare. Meno di due anni dopo la scoperta dell’America (1492), nel 1494 si chiede al papa di Roma di dividere il nuovo mondo, da conquistare e cristianizzare, in pace, tra Spagna e Portogallo. Alessandro VI (papa Borgia) si presta senza remore con il Trattato di Tordesillas con il quale si traccia una linea rossa che divide le terre scoperte di recente o ancora da scoprire tra Spagna e Portogallo. I confini attuali del Brasile sono ancora quelli della linea rossa di allora. Il viaggio di Caboto alla scoperta del Canada segue solo di tre anni quello di Colombo. Gli europei combattono guerre in casa per sopraffarsi e conquistare le ricchezze altrui, ma combattono tra loro e contro l’ignoto, nello stesso periodo, guerre coloniali per impadronirsi di enormi spazi, spesso occupati da popoli antichi e di civiltà eccelsa. In America e altrove gli europei continuano infatti le guerre europee per definire i nuovi confini e le nuove monarchie. All’epoca della pace di Vestfalia (1648) nascono i moderni stati assoluti.

Nove
Rivoluzione francese. Rivoluzione americana

Guerre per difendersi dalla peste francese oppure, viste da sinistra, per allargare la libertà a tutto il continente e oltre. Le tredici repubbliche indipendenti, unite insieme, fanno guerra al re inglese e poi conquistano il continente con la “guerra indiana”. Segue la dottrina di Monroe: l’America agli americani. Guerre per espellere Spagna e Francia dall’America intera. Conquista armata di California, Texas, Florida e altro Sud.

Quasi contemporaneamente si sviluppano due rivoluzioni: americana e francese. La libertà di commercio, di impresa, di religione, la ricerca di libertà a tutti gli effetti ha portato molti inglesi sul continente americano. Essi si rendono autonomi e si ribellano al re inglese, ormai estraneo e prepotente. Sono tredici gruppi, tredici comunità. Le tredici comunità si autonominano repubbliche, si uniscono, scelgono l’indipendenza e la democrazia. Accolgono tutti gli europei di ogni religione e patria. Fanno guerra agli inglesi e li cacciano via. Poi si guardano attorno e cominciano a togliere le terre agli indiani nativi. In meno di un secolo conquistano un continente. Il loro credo è “l’America agli americani”. Lo ha proclamato il presidente Monroe, l’ultimo dei presidenti della rivoluzione, successore di Washington e Jefferson; lo ripetono tutti. Servono guerre, oltre che compravendite di territorio, per espellere francesi e spagnoli da un grande semicontinente. Siccome l’appetito vien mangiando, si continua la guerra con gli spagnoli cacciandoli da Cuba, dalle Filippine, da Portorico e Panama e così via. L’America agli americani; ma dove finisce l’America e soprattutto dove finisce il suo interesse vitale, la sua sicurezza? La seconda rivoluzione non è meno importante. Si svolge in Europa, ma è un regolamento di conti tra le classi. Il “terzo stato” francese, la borghesia, alta e bassa, decide di non poterne più degli altri due stati, l’aristocrazia e l’alto clero e li espelle dal potere. I due stati, primo e secondo, esautorati, cominciano a tramare con gli aristocratici e le monarchie del resto d’Europa. Francia contro tutti. Anche nobili contro borghesi. Ma l’Europa e il mondo con essa cambiano ancora. C’è libertà per tutti nella rivoluzione francese, nel ventennio tra la presa della Bastiglia e Waterloo. Di uguaglianza solo un briciolo e di fraternità meglio non parlarne.

Dieci
Commercio mercato industria

Guerre ideologiche ed economiche conseguenti. Liberalismo contro protezionismo. Difesa del mercato aperto o dell’industria nazionale? Caso della gomma naturale, del rame, del cotone, dei macchinari, delle nuove armi, dei nuovi bastimenti, della dinamite. Sono alcuni motivi di guerre, tra molti altri. Gran caso del petrolio. Come si alimenta la flotta inglese? Col petrolio russo e persiano, lo sa Winston Churchill, primo lord dell’ammiragliato. La trasformazione di città e campagne moltiplica una manodopera superflua o pericolosa; in questo ultimo caso un rimedio o uno sfogo è la chiamata alle armi (con conseguente guerra)

La rivoluzione industriale porta con sé altre guerre, di tipo insolito. Occorre difendere il commercio e la produzione nazionale. Occorre procurarsi derrate e materie prime da trasformare e commerciare. Ogni grande paese “industriale” deve ottenere la circolazione delle proprie merci ed essere in grado di respingere quelle altrui. Il mondo esterno deve accettare di essere mercato aperto, mentre ogni Nazione deve poter erigere un muro daziario che impedisca alle merci di fuori di entrare senza permessi e conteggi. I paesi si iscrivono quindi a uno dei due partiti, liberisti e protezionisti, con molti voltafaccia e confusioni, nonché frequenti doppie militanze. La concorrenza si pratica da parte di ciascuno contro gli altri, cercando di difendere per quanto è possibile, le prerogative e gli sviluppi prevedibili e sperati, di crescere e trasformare i concorrenti temibili in spazio aperto per le “proprie” conquiste industriali. Ci torna sopra von Mises che osserva come il commercio internazionale libero porti molti frutti, quello statizzato, in qualsiasi forma, non serva a niente non essendo capace di essere abbastanza produttivo. Ci sono scoperte e invenzioni in ogni direzione. Il petrolio serve per i motori, di navi, automezzi, treni. Serve averne molto, vale la pena di guerreggiare per averne di più e anzi per venderlo a tutti gli altri. Si presenta in molti casi un eccesso di offerta di lavoro, anche per via dell’abbandono delle campagne a causa di una assai maggiore produttività e dell’eccessiva presenza nelle città sovrappopolate della popolazione espulsa dalle campagne. Le soluzioni possibili sono di dirottare una parte dei senza lavoro all’estero, dove c’è spazio e cose da fare. Altrimenti c’è la guerra; qualsiasi guerra tiene oltretutto in riga e seleziona la popolazione in eccesso. Anche se si scoprirà presto come sia molto rischioso tenere troppi contadini e operai al fronte, dandogli le armi e ordinando loro di uccidere altri proletari, contadini e operai anch’essi.

Undici
Guerra permanente, la guerra come risorsa

Diversa dalla rivoluzione permanente di Trockij: completa vittoria del proletariato; in tutti i paesi nello stesso tempo e poi fine, la guerra permanente è lo stato di guerra continua; non c’è vittoria che basti. La guerra russo-giapponese diventa in poco tempo guerra mondiale, poi la guerra sovietica in Asia, le guerre coloniali un po’ dappertutto. Alla guerra mondiale segue a distanza di anni il riarmo di Germania e Giappone

Mentre le guerre dell’ottocento sono guerre di tipo tradizionale: prendere gli spazi o i nutrimenti altrui, e poi chiudere, dal novecento in poi la guerra cambia. Ora la guerra non chiude mai; siccome c’è sempre un nemico da battere, un pericolo da sventare, è necessaria una vigilanza armata continua con adeguamenti senza fine all’armamento bellico e all’addestramento dei soldati, almeno quelli di un esercito permanente. La prima guerra mondiale del ’14-’18 ha varie caratteristiche nuove. Forse la più importante è il coinvolgimento della popolazione, quella nemica e quella propria, nei fatti di guerra. Non c’è da mangiare, si sta al buio, si rischia di essere bombardati o devastati, anche se il fronte non si muove per mesi. Se poi il fronte si muove, le popolazioni di frontiera sono deportate, proprio come in Siria, ai nostri giorni. Ogni paese che conti ha ormai un esercito permanente e una leva, tanto più che si profilano, per i paesi ricchi del globo, negli ultimi quattro quinti del XX secolo, un nemico mortale, il comunismo e una risposta anche più subdola, il fascismo, considerato dai buoni borghesi al potere quasi dovunque, un’estrema difesa contro quel nemico mortale. Come Trockij ha teorizzato la rivoluzione permanente che in ultima analisi consiste nella completa vittoria del proletariato in tutti i paesi, senza mai arrestarsi finché il processo non sia concluso, così sono in molti a ritenere inevitabile uno stato di guerra continua, con un continuo riarmo, sempre nuove invenzioni belliche e nessuna vittoria sufficiente. C’è il Giappone che entra nel 1905 nell’agone militar-politico sconfiggendo l’impero dello zar; le guerre sovietiche dureranno per dieci anni, dal 1914 fino all’avvento di Stalin che opterà per “il comunismo in un paese solo”; poi ci sarà il riarmo della Germania, contro i debiti di guerra, la guerra di Spagna, la sciagurata conquista dell’impero etiopico da parte dell’Italia; insomma la guerra permanente è l’invenzione del secolo.

Dodici
Nuova guerra mondiale

Contro il nazifascismo, contro l’imperialismo, contro il comunismo, alleato un po’ sospetto. Bombardamento a tappeto delle città, obiettivo i civili. Hiroshima. Il mondo è diviso in due, forse in tre parti. Libertà e rottura dell’India; guerre anticoloniali. Il mondo è ridisegnato, forse

Ci sono tutte le premesse per una nuova guerra mondiale, contro il nazifascismo che si sta riarmando, contro l’imperialismo, sempre più prepotente, contro il comunismo di cui tutti gli altri hanno paura, ma che diventa a volte alleato mortale o sospetto (con Hitler, contro i polacchi, con il “mondo libero” contro Hitler). Nessuno si spiega ancora perché, ma la guerra è una risorsa (forse contro un’insoddisfacente ripartizione della ricchezza comune tra le classi?). La guerra è contro i civili che sono l’ala debole del nemico. Si deportano e si sterminano le persone (ebrei, ucraini, rom, malati) si radono al suolo le città. A Hiroshima e Nagasaki le prime bombe atomiche più che sconfiggere il Giappone in fretta, mostrano come gli americani facciano sul serio e vogliano comandare il mondo, senza incertezze. Non è l’ultima guerra, tanto che subito si ricomincia. L’India diventa libera e si divide subito dopo in due e poi in tre. Anche il pianeta è diviso in due parti e forse in tre. Ci sono le guerre anticoloniali, in Asia, in Africa. La Cina vince la sua guerra civile. Anche l’Indonesia si libera dagli olandesi. C’è la guerra in Corea, aspetto caldo della guerra fredda. Arriva infatti il tempo della “guerra fredda”, caratterizzata dal terrore nucleare, e dal conseguente bilanciamento degli ordigni e dei vettori balistici. La guerra spaziale spinge alla conquista del cielo dell’ecosfera.

Tredici
Eisenhower fa la scoperta del secolo. Il complesso militare industriale

Importanza delle armi (per difendersi ora e in futuro; non trovarsi impreparati; essere sempre i più forti) Importanza di inventare le armi, fabbricarle, provarle, utilizzarle contro un qualsivoglia nemico – nemico della civiltà, cioè dell’american way of life. L’industria bellica, per gli Stati Uniti e via via per gli altri competitori, ha una variante spaziale o Nasa, una variante nucleare, di solito circondata dal segreto. Il complesso militare industriale è enunciato nell’ultimo discorso del presidente che mette anche in guardia contro i suoi pericoli. C’è anche un movimento mondiale contro la guerra e a favore della decolonizzazione

Quando la guerra fredda che Winston Churchill ha tenuta a battesimo ha ormai dieci anni il presidente Dwight (Ike) Eisenhower spiega la legge di movimento della guerra e della pace. Si tratta del complesso militare industriale che il presidente, che da generale ha guidato lo sbarco in Normandia, spiega con precisione nel suo ultimo messaggio, nel gennaio del 1960 il giorno prima che Jack Kennedy, eletto in novembre, entri in carica. E dice così: “Un elemento vitale nel mantenimento della pace sono le nostre istituzioni militari. Le nostre armi devono essere poderose, pronte all’azione istantanea, in modo che nessun aggressore potenziale possa essere tentato dal rischiare la propria distruzione … Questa congiunzione tra un immenso corpo di istituzioni militari e un’enorme industria di armamenti è nuova nell’esperienza americana. L’influenza totale nell’economia, nella politica, anche nella spiritualità, viene sentita in ogni città, in ogni organismo statale, in ogni ufficio del governo federale. Noi riconosciamo il bisogno imperativo di questo sviluppo. Ma tuttavia non dobbiamo mancare di comprendere le sue gravi implicazioni. La nostra filosofia ed etica, le nostre risorse e il nostro stile di vita vengono coinvolti; la struttura portante della nostra civiltà. Nei concili di governo dobbiamo guardarci le spalle contro l’acquisizione di influenze che non danno garanzie, sia palesi che occulte, esercitate dal complesso militare-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di poteri che scavalcano la loro sede e le loro prerogative esiste ora e persisterà in futuro. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo la nostra libertà o processi democratici. Noi dobbiamo presumere che nessun diritto sia dato per garantito. Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole può esercitare un adeguato compromesso tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa e i nostri metodi pacifici e obiettivi a lungo termine in modo che sia la sicurezza che la libertà possano prosperare insieme … (Eisenhower, discorso di addio alla nazione del Presidente, 17 gennaio)

Quattordici
La guerra è indispensabile

Occorre tenere in movimento il paese e il mondo intero. La guerra è necessaria a questo fine ed è sempre più costosa. Ne nasce un circolo “virtuoso” che si alimenta da sé. Si viene a sapere che mantenere una forza di occupazione di 135 mila soldati in Iraq costa un miliardo di dollari la settimana – e senza sparare un colpo. Niente è troppo per la sicurezza della nazione

Sono in azione continua economia industriale, ricerca, università, sistema politico, finanza, alleanze come la Nato e il patto di Varsavia. Naturalmente l’attesa di guerra (come del resto la pace armata) rappresenta uno sfogo per le classi pericolose che ricevono il soldo: da soldati, come dice la parola stessa. Mariana Mazzucato nel suo libro Lo stato innovatore polemizza con quanti negano che il progresso scientifico e industriale sia dovuto all’investimento e all’intervento pubblico. Ha perfettamente ragione; dal nostro punto di vista si può suggerire di riflettere ai motivi e agli usi delle scoperte e invenzioni che dal pubblico sono poi devolute alla sfera privata. Sarebbe ingenuo pensare ai progressi umani, senza se e senza ma. Si tratta invece in molti casi, per non dire sempre, di possibili armi inventate, provate, prodotte, messe nei ripostigli, per rafforzare la capacità dello stato di essere in grado con superiorità di offendere, in un ipotetico futuro – domani, tra un anno … – un nemico o di difendersi da lui, neutralizzandone le armi e le pericolose invenzioni. In ogni paese del mondo riferire la spesa pubblica alla difesa è una scorciatoia per avere l’approvazione parlamentare e popolare. Renner e molti altri analisti offrono un profluvio di cifre sul costo e la quantità degli armamenti. (Melman, Chomski, …) Ike suggerisce però che guerra e pace non sono decise dal popolo americano, cui il presidente attribuisce il diritto dovere di scegliere il bene per tutti. Non sono decise dal presidente, dal Congresso a ciò delegati dalla democrazia americana. A decidere è il complesso militare-industriale, forte di grandi imprese, università, servizi, poteri sconosciuti.

Quindici
La guerra è cosa nostra, anche

Il caso abissino. Una guerra del secolo scorso, vero e proprio vaso di Pandora, è stata l’Italia ad aprirlo. La conquista dell’Etiopia, l’ultimo impero coloniale. Il regime fascista di Roma vuole a) vendicare Adua, la sconfitta di quaranta anni prima; b) eliminare la schiavitù dall’Abissinia, il nome che si usava allora; c) costruire in pochi anni un impero tale da fronteggiare quello inglese, enorme, ricco, vecchio di secoli; d) esaltare se stesso, capace di simili imprese. In poche parole è la maggiore vergogna della storia d’Italia. Le sanzioni internazionali e l’oro alla patria. Il discorso del duce

Nel nostro tentativo di ricostruzione minima del millenario fenomeno della guerra economica, si può riflettere sulla politica bellica imperialistica dell’Italia, fase due, cioè il caso abissino. Sarebbero seguite una fase tre e quattro, nel presente millennio. Ma di questo alla fine.
La fase uno contempla la conquista della Libia, la cosiddetta terza sponda, contro l’impero turco che governava senza energia la sponda sud del Mediterraneo. Fu un’impresa voluta dai liberali giolittiani che pensavano di controbattere alle espansioni francesi e inglesi, evitare intromissioni altrui, aprire colonie di popolamento non lontano dalla Sicilia per ridurre la pressione delle masse in Italia e aprire mercati facilmente controllabili alle industrie nazionali, ancora fragili. C’erano poi le divise e gli armamenti, le bombe e gli aerei (i primi aerei da bombardamento!) da mettere a disposizione di uno stato maggiore, il primo post garibaldino. La fase tre è la guerra somala, nell’epoca succeduta alla fuga di Siad Barre con la partecipazione occidentale alla guerra civile e tribale somala, fino alla disfatta completa. Ma veniamo alla fase due. Siamo nel 1935 ai primordi dell’anno XIV. Gli storici sanno che gli anni del fascismo partono dal 1922, l’anno della Marcia su Roma, quindi è l’anno XIV. Il potere politico proclama di voler vendicare Adua, la grave sconfitta delle truppe italiane nella precedente avventura africana di fine secolo. Come se non bastasse, si tratta di eliminare la schiavitù e di erigere l’impero, capace di fronteggiare, almeno in quella parte dell’Africa, l’impero inglese, conquistando un enorme e ricco territorio coloniale, dove eventualmente spedire una parte della popolazione nazionale senza lavoro. Il punto decisivo è l’esaltazione del regime fascista, capace di risolvere i tre punti precedenti.
Non mancano le complicazioni, internazionali e interne. La più eclatante è che l’Etiopia (o l’Abissinia come dicevamo allora) è un membro della Società delle Nazioni, un patto firmato tra moltissimi paesi di gran parte del pianeta, tutti impegnati a non farsi guerra, quanto meno. L’Italia è messa sotto accusa da Ginevra, la sede della Società delle nazioni per la sua scelta aggressiva; essa fa la guerra a un altro paese della Società; così la Società decide di applicarle delle sanzioni: in altre parole molte delle altre nazioni decidono di troncare i rapporti commerciali. L’Italia ha molto bisogno di commerciare, di vendere all’estero e di comprare dall’estero. Ne deriva un contro programma nazionale: l’autarchia. Stringere la cinghia e fare a meno di comprare dall’estero derrate, manufatti e materie prime. Per convincere la popolazione dell’inevitabilità della guerra e dei sacrifici crescenti, il regime rilancia con un programma di armi e di armamenti (e divise e razioni e munizioni) che danno lavoro, cioè dislocano in nuove attività di lavori industriali pubblici e bellici una parte della popolazione disoccupata, con un’accentuata campagna di promozione di generali e gerarchi. Per quello che manca, occorre, per comprare merci dall’estero, servirsi dell’oro che i cittadini patrioti hanno donato e donano alla patria in armi. La campagna “oro alla Patria” funziona come una tassa volontaria, ma anche come campagna di sottoscrizione a fondo perduto che serve anche per pubblicità alla guerra e alla patria assediata e in pericolo. La risposta della popolazione più che in tonnellate di oro raccolto e fuso deve essere valutata tonnellate di propaganda. Si punta sulle donne, invitate a portare e gettare sull’ara della patria l’anello di matrimonio, con un fortissimo controllo sociale. So di una persona, una giovane madre che mi ha raccontato la sua storia. Quando si trattò di gettare la vera d’oro sul braciere e cambiarla con una di ferro, lo fece con quella che aveva al dito, solo che si trattava della vera del marito che insofferente di anelli l’aveva messa in un cassetto il giorno stesso del matrimonio. La giovane signora, in dolce attesa, come si diceva allora, aveva il dito dell’anello un po’ ingrossato e così, da qualche settimana, aveva messo da parte la sua vera e preso quella del marito, più larga, e quella aveva patriotticamente gettata nel fuoco, con l’idea di riprendere la propria, venuti che fossero i tempi migliori, tanto per l’anulare in condizioni originali che per la possibilità di mostrare, senza discredito, ancora e sempre l’anello d’oro che le era stato donato in pegno d’amore. I tempi migliori tardarono a tornare. Vennero prima le leggi razziali e la giovane signora restò malissimo, perché riguardavano anche lei che si chiamava Schwarz. Vennero poi le persecuzioni e la signora si nascose e dovette scappare e fu fortunata e scappò. Tornata la pace, dopo qualche anno la signora Schwarz, mia madre, mi raccontò tutta la storia cercando la mia complicità, visto che ero io quello che alla fine del 1935, anno XIV, aspettava.
C’era dunque un’offerta di territorio, di potenza e ricchezza per chi avesse voglia e carattere per approfittarne e una domanda di armi di navi, di aerei, di chimica e bombe, di trasmissioni, di gerarchia e ordine per gli anni a venire. Tutto questo si rispecchia in un discorso di Benito Mussolini al Cnel, quello che abbiamo mantenuto in vita con il “no” al referendum del 4 dicembre 2016. Nel discorso, tenuto il 1935 si parla di molte cose, per esempio della ginestra “quella di Leopardi” con cui sostituire il cotone e della fondazione del Cnr (consiglio nazionale delle ricerche) creato dal regime per ovviare all’assedio e inventare le nuove armi e i nuovi materiali per sopperire alle sanzioni. Mussolini arrivato alla fine del suo dire, riassume così: “L’assedio societario ha collaudato la tempra della stirpe e come non mai l’unità delle anime. Il sacrificio affrontato dal popolo italiano in Africa è un immenso servigio reso alla civiltà e alla pace del mondo e ancora a quelle vecchie e troppo sazie Potenze coloniali che hanno commesso l’incredibile errore storico di ostacolarci. L’Italia in Africa conquista dei territori, ma per liberare la popolazione che da millenni sono in balia di pochi capi sanguinari e rapaci. Lo slancio vitale del popolo italiano non fu e non sarà fermato dalle reti proceduristiche di un Patto che invece della pace reca all’umanità le prospettive di una guerra sempre più vasta. Trenta secoli di storia – e quale storia! – la volontà indomita delle generazioni che si avvicendano e salgono, la capacità di sacrificio più alta, quella del sangue, dimostrata tre volte in questo periodo di secolo, sono elementi sufficienti per alimentare la nostra fede e aprirci le porta dell’avvenire”.

Sedici
George Orwell: la guerra è pace

Arundathi Roy ha ripreso la formula di 1984. Anche Noam Chomsky aveva ripetuto la formula del Big Brother o Grande fratello (La guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza)

Rileggere quel libro serve per imparare di nuovo la forma del mondo, con Oceania, Estasia ed Eurasia, tre grandi superstati, rivali e combattenti a due a due. C’è un’area di nessuno che viene contesa da tutti; è l’Africa, è un quadrilatero che va da Fez a Brazzaville, a Darwin, a Hong Kong. Area importante, si può vincere o perdere, ma poco cambia, nella guerra che continua sempre.
Spiega 1984 che la guerra continua e chi non la pensa così sarà in breve eliminato dalla invadente psicopolizia che richiede a tutti di pensarla allo stesso modo e servendosi delle stesse parole, espresse in una neolingua inevitabile …

Diciassette
Il nemico da odiare, Emmanuel Goldstein

Orwell suggerisce un pensiero all’arcinemico: Queste popolazioni non aggiungono nulla alla ricchezza mondiale, dal momento che tutto ciò che producono è utilizzato per fini bellici … Lo scopo fondamentale della guerra moderna (che conformemente ai principi del bipensiero è allo stesso modo affermato e negato dalle teste pensanti del partito interno) è quello di consumare ciò che producono le macchine, senza che ne risulti innalzato il tenore di vita …

Alti medi bassi. La popolazione è divisa in tre classi. I bassi non contano. I medi riescono ogni tanto a sopraffare gli alti e prendono il loro posto, diventando a loro volta alti, ma senza cambiare la forma della società …

Diciotto
Imperterriti torniamo in Libia. Cerchiamo petrolio, troviamo immigrati

Libia, penultima guerra. La guerra libica è prettamente economica, senza possibile dubbio. Si tratta di impadronirsi del petrolio (il migliore del mondo, ecc, ecc.), il più semplice da estrarre per non dire del gas, un’altra enorme, ottima risorsa di misura di dimensioni ancora sconosciute (Paolini, Limes). Sul petrolio e sul gas si sono avventati i soliti italiani dell’Eni e poi compagnie tedesche (Wintershall), contrastate dalle rivali americane, inglesi, francesi. Le complicazioni diplo-petrolifere hanno rimesso Gheddafi, fino ieri reprobo colpito da missili (Ustica) e bombardato (Reagan), all’onore del mondo. È di nuovo lui il mazziere che distribuisce le carte tra i giocatori multinazionali. Gli vengono tributati molti onori che non lo risarciscono dei bombardamenti e degli attentati aerei che ha dovuto subire a metà degli anni ottanta, ma forse attenuano la sua attenzione. La vicenda del petrolio e del gas è solo la prima del quadro libico all’inizio del millennio. Si intreccia con essa l’affare delle armi – e si parla di aerei da combattimento, carri armati, elicotteri, missili, sistemi di difesa. C’è poi la finanza che lega tutto, esaltata dai tempi calamitosi seguiti, tanto per fissare loro uno spunto iniziale, con il crollo di banca Lehman Brothers a Wall Street. Anche Gheddafi, come gli altri potentati petroliferi, dal Qatar alla Norvegia, ha messo in piedi un Fondo sovrano. Esso ha cominciato a comprare azioni e proprietà immobiliari, in Europa e in altre plaghe. Gli acquisti italiani sono davvero cospicui, soprattutto se riferiti ad anni di magra. Al dunque è Sarkozy, l’impaziente presidente francese che rompe gli indugi e prende le mosse. Invita il rais a Parigi e lo tratta con tutti gli onori, come un sovrano. Corre voce che i libici abbiano finanziato la campagna elettorale del neo eletto presidente francese. Siamo nel 2007, il crollo finanziario mondiale è appena agli inizi, ma anche questo conta, nel cambio delle alleanze. Ricorda Paolo Sensini, autore di “Libia – Da colonia italiana a colonia globale”, Attualità Internazionale come pure Negri ne Il sole 24 Ore che l’occasione del pour-parler è la “fornitura di uno o più reattori nucleari” che servirebbero per produrre acqua desalinizzata per un’area particolarmente a secco e per “il sostegno alle attività di prospezione e sfruttamento dei giacimenti di uranio”, immancabili nel desertico sud del paese africano. Centrale nucleare in cambio di minerali. Do ut des. Uno scambio tutto inventato, ma tecnicamente plausibile, quindi diplomaticamente perfetto. Entrambi i contraenti sono al corrente che si tratta in una copertura. La verità è un traffico di armi. Più coperto, ma vero c’è infatti “l’acquisto di 14 caccia Rafale, 35 elicotteri da combattimento di produzione francese, forniture varie e infine 21 aerei di linea Airbus”. Passa un po’ di tempo e si arriva al 2011. Interviene un impiccio. In quell’occasione c’è un passaggio da congiura di palazzo degna del sedicesimo secolo. A Parigi arriva uno stretto collaboratore di Gheddafi che in sostanza rivela al presidente francese che i libici stanno comprando altre armi, trattando altri bombardieri, altri missili con paesi rivali. Per la precisione, con un paese concorrente nei petroli. Forse Berlusconiland? In cambio lo spione chiede – e ottiene – un riparo politico e un lauto compenso. Passano poche ore e Sarko comincia a bombardare, quasi a dimostrazione della bontà dei suoi articoli. Egli ha rifondato con nuovo nome una compagnia nazionale energetica, Noc che ha spuntato percentuali fino al 90% sul valore di mercato del petrolio estratto, aprendo le gare tra le compagnie rivali. In altre parole dietro alla guerra dei buoni contro il cattivo (di nuovo cattivo) Gheddafi ci sono energia – petrolio e gas – buona per l’Italia e altre multinazionali; armi e territori saheliani che interessano la Francia che vi mantiene poligoni di tiro, vi scava uranio, sovrintende con la forza della sua Legione straniera: denaro sotto forma di fondi sovrani, banche, possibili monete africane per sostituire franchi francesi per i traffici e dollari per pagare petrolio e gas. Gheddafi viene ucciso in un modo atroce ed esemplare – qui comandiamo noi – poi tutto rimane per aria perché non si è deciso chi si assume la responsabilità e chi ci guadagna, petrolio, uranio, contratti per le armi, fondi sovrani. Si formano due campi, rappresentati da due personaggi Faiez Sarraj e Khalifa Haftar che il nuovo presidente francese Macron riceve a Parigi, facendo loro promettere che faranno le elezioni nel 2018, ma facendo capire: chi offre più barili per i miei fucili? D’altro canto la loro forma di pressione sull’Europa è quella di mettere in mare (consentire o non consentire) la partenza dei gommoni stracolmi. Non si sono resi conto, entrambi, che l’Europa, piena di altruismo, si è già tirata indietro, lasciando solo “Lampedusa”, povera, isolata, ad affrontare il problema.