La situazione nelle carceri italiane diventa bollente. La rivolta dei detenuti del carcere Marassi di Genova arriva nel giorno dell’approvazione anche al Senato del decreto sicurezza che, anche per loro, aggraverebbe le pene. “Senza Respiro”, il report di Antigone.
Soltanto due agenti penitenziari portati in ospedale per accertamenti e altri due medicati sul posto: è contenuto il bilancio della rivolta scoppiata mercoledì 4 giugno nel carcere Marassi di Genova, in particolare – a quanto sembra – scoppiato negli spazi della seconda sezione penale. Ma poteva essere più cruento e in ogni caso è un drammatico segnale del sovraffollamento del sistema penitenziario italiano. Il Marassi ha un sovraffollamento storico, verificato sei mesi fa da visita organizzata dall’associazione Nessuno Tocchi Caino pari al 128 per cento: 684 detenuti per 535 posti.
Una insegnante, Simonetta Colello, testimone diretta della rivolta, ha raccontato: «La sommossa dentro il carcere di Marassi a Genova è stata molto pesante, sono 18 anni che insegno lì e non ho mai visto una cosa del genere, sembrerebbe che tutto sia iniziato a seguito delle sevizie contro un detenuto da parte di altri detenuti. Noi insegnanti e anche il personale sanitario che eravamo dentro siamo stati rinchiusi al sicuro in un’aula. Ci hanno fatto uscire dopo molto tempo. I detenuti in rivolta erano tantissimi e c’erano solo due agenti, non c’era la possibilità di comunicare con l’esterno. Abbiamo visto vetri infranti e lanci di cose». I rivoltosi hanno distrutto alcune celle, spaccato spazi comuni e sono saliti fin sul tetto, mentre all’ingresso del penitenziario si radunavano squadroni di agenti in tenuta antisommossa pronti ad entrare in azione.
Tutto ciò è accaduto lo stesso giorno dell’approvazione definitiva del decreto Sicurezza, decreto che peggiorerà ulteriormente la situazione carceraria italiana, già sotto la lente dell’Unione europea come una delle peggiori a livello continentale.
Il decreto sicurezza infatti, con i suoi 39 articoli istituisce altri 14 nuovi reati e 9 aggravanti, oltre a inglobare un nutrito pacchetto di misure volte ad aumentare le garanzie di impunità delle forze dell’ordine e ad ampliare i poteri dei servizi segreti e a vietare la produzione e la commercializzazione della cannabis light.
Il testo è stato approvato con 109 sì, 69 no e una astensione, tra le vibranti proteste delle opposizioni M5S, Pd e AVS con i senatori che si sono stesi per terra a inscenare una sorta di sit-in nel centro dell’Aula di Palazzo Madama. Non è ancora in vigore, non essendo ancora stato sottoposto alla definitiva firma del Colle né pubblicato in Gazzetta. Ma è significativo che proprio ieri le opposizioni abbiano denunciato come il decreto non farà altro che riempire ancor più le carceri di persone che si sono macchiate di piccoli reati, che continuano a aggiungersi ad ogni pacchetto “sicurezza” messo in campo dalla destra al governo.
Secondo il XXI Rapporto “Senza Respiro” dell’associazione Antigone sulla condizione degli istituti penitenziari in Italia, presentato alla stampa lo scorso 29 maggio, il sovraffollamento continua ad aumentare a ritmi vertiginosi: 300 nuovi detenuti ogni sessanta giorni, ciò significa che – segnala Antigone – se il problema fosse risolvibile con l’edilizia penitenziaria come sostiene il governo si dovrebbe costruire un nuovo carcere ogni due mesi. Inoltre, sempre a partire dal report di Antigone, finora il 51,2 per cento dei detenuti ha una condanna definitiva di meno di tre anni, una soglia che consentirebbe, almeno teoricamente, l’accesso a misure alternative. E più di 1.370 detenuti, su 62.445 che sono la popolazione carceraria al 25 aprile scorso, è dentro per pene inferiori a un anno.
Molti sono in carcere perché spacciatori-tossicodipendenti. Alcuni hanno problemi psichici e restano in carcere come in una discarica sociale. Dovrebbero essere trattati in forma acuta nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (in sigla Rems, gli ex Opg), strutture giudicate da Antigone non davvero idonee al trattamento dei detenuti con gravi problemi psichici, che invece dovrebbero avere appositi servizi territoriali – che però non ci sono; comunque i posti nelle Rems sono pochi e le liste d’attesa infinite. Nel report di Antigone si segnala che dopo quattro anni di attesa i dati aggiornati indicano 688 posti disponibili, di cui risultano effettivamente occupati 654.
Ma il governo Meloni sembra avere a cuore solo il “tutti dentro”, piuttosto che l’effettiva umanizzazione del carcere. Così il decreto sicurezza ora aggrava le pene per limitare le misure alternative al carcere e criminalizza il dissenso. Ad esempio introducendo il reato di occupazione di immobile (punibile da 2 a 7 anni), il reato di blocco stradale laddove al massimo era una contravvenzione (con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro), i reati per chi protesta contro le grandi opere – infrastrutture «destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici» – mentre istituisce anche la nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni. La resistenza a pubblico ufficiale costituirà una aggravante fino a metà della pena (era un terzo) e le forze di polizia potranno portare armi anche non in servizio.
Durante la presentazione del XXI rapporto di Antigone, la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi ha segnalato come “il sintomo più evidente delle criticità delle condizioni detentive è quello drammatico dei suicidi che nel 2024 ha raggiunto il numero più alto degli ultimi trent’anni: praticamente un suicidio ogni quattro giorni”. Poi ci sono le rivolte come quella del Marassi, sintomi estremi dell’insopportabilità della condizione carceraria, si calcola che l’anno scorso siano stati circa 1.500 gli episodi di protesta collettiva non violenta, che hanno coinvolto almeno 6 mila detenuti.
In questi casi con il nuovo decreto sicurezza viene aumentata la pena per chi istiga alla disobbedienza delle leggi se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario o attraverso scritti o comunicazioni dirette a persone detenute. Ed ecco così un altro reato, quello di «rivolta all’interno di un istituto penitenziario», che punisce le condotte di: promozione, organizzazione o direzione e partecipazione a una rivolta consumata all’interno di un istituto penitenziario da tre o più persone riunite, mediante atti di violenza o minaccia, tentativi di evasione o atti di resistenza anche passiva che impediscono il compimento degli atti d’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza.
A seguito delle notazioni del Quirinale, è stato corretto il confine di rilevanza penale delle condotte di resistenza “anche passiva”, tipo sciopero della fame, circoscrivendole a quelle relative all’esecuzione di ordini impartiti «per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza». In ogni caso la fattispecie di reato viene prevista anche per i centri di trattenimento per migranti irregolari. In questo caso, per la resistenza, si fa riferimento agli ordini impartiti «per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza» nei confronti di gruppi di stranieri irregolari presenti nei soli Cpr, espungendo ogni riferimento ai centri di accoglienza, sempre come correzione accettata per il rilievo incostituzionale.
E qui può scattare un’altra norma dal sapore anticostituzionale: si estende la revoca della cittadinanza a 10 anni (l’arco di tempo prima era di 3 anni) nei confronti dello straniero, a decorrere dalla sentenza di condanna per i gravi reati già previsti dall’ordinamento, a condizione che possieda o possa acquisire un’altra cittadinanza. Magari quella del Paese dal quale è fuggito.
È prevedibile che decreto sicurezza darà ancora da fare alla Corte costituzionale con procedure incidentali derivanti da casi giudiziari e sentenze. Aggravando il peso e la lentezza della giustizia italiana.