Chilometro zero, Gas, filiera corta non sono una moda. Entro il 2050 il 60% degli abitanti della Terra vivranno nelle città. E l’industria agroalimentare potrebbe contribuire al collasso del pianeta. Una rete europea in autunno
Filiera corta: nel nostro Paese ha quasi assunto una connotazione modaiola, ma è una modalità di produzione e consumo prevalentemente alimentare che ancora sfama fino all’80% delle persone nei Paesi più poveri. Anche in Europa un cittadino su 5, secondo un sondaggio promosso da Eurobarometro nel 2016, sosteneva che bisognasse rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera[i] e secondo uno studio condotto dal European Parliamentary Research Service (EPRS) il 15% dei contadini europei già allora vendeva ben la metà del suo raccolto molto vicino a dove lo produceva[ii].
Una necessità legata alla sopravvivenza dell’azienda, nel caso dell’agricoltura di piccola e media dimensione, la taglia d’azienda prevalente a livello globale, contrariamente a quanto comunemente si pensi. Secondo il Copa-Cogeca, l’associazione mainstream delle aziende agricole europee, gli agricoltori ricevono in media il 21% della quota del valore del prodotto agricolo mentre il 28% va ai trasformatori e fino al 51% ai dettaglianti.
E’ stato il precedente programma europeo di finanziamento della Politica agricola comune (2014-2020) che per la prima volta ha introdotto tra i fondi Pac degli strumenti specifici, e nel suo rinnovo attualmente in corso c’è una forte opposizione da parte dell’industria agroalimentare nel rifinanziamento di queste opportunità. La Commissione europea, secondo quanto ha spiegato di recente Euractiv[iii], ha in mente di lasciare agli Stati membri la possibilità di progettare programmi su misura con un 15% delle loro dotazioni PAC tra pagamenti diretti e sviluppo rurale, scaricando in qualche misura ad essi la responsabilità di decidere se scommettere o meno sulla piccola dimensione. [iv]
Una delle esperienze a livello europeo che potrebbe fare la differenza nella scelta degli Stati a favore di questo tipo di modelli è quella delle Csa: Comunità che Supportano l’Agricoltura che hanno superato in Europa un milione tra produttori e consumatori organizzati, in Francia le 2mila esperienze, stando ai dati più recenti raccolti dal loro network internazionale Urgency[v], in Italia come in altri Paesi europei come Belgio, Germania e Spagna sono intorno a 100[vi].
La CSA crea un rapporto diretto tra chi produce e chi consuma, dove i soci – spesso organizzati in Gruppi d’acquisto solidale -prefinanziano e/o partecipano ai lavori agricoli e quindi fruiscono dei prodotti della terra. La CSA fa sì che produttore e consumatore condividano, così, i rischi di chi coltiva la terra, sottraendo completamente la produzione dalle logiche e dalle strettoie della grande distribuzione e del mercato convenzionale.
Una delle esperienze-pilota in Italia di questa modalità di vivere la produzione agricola all’interno della comunità locale si chiama Arvaia, cooperativa agricola biologica nata nel 2013 a Bologna e strutturata come CSA[vii]. 40 ettari di terreno alle porte della città il cui raccolto di verdura, frutta, tuberi, legumi, cereali, oltre 75 varietà di ortaggi viene suddiviso tra i soci che hanno finanziato l’anno agricolo in corso.
Nel fine settimana del 23-24 giugno molte diverse CSA italiane, formate o in via di formazione, si sono incontrate presso gli spazi di Villa Bernaroli, adiacenti ai terreni di Arvaia, per confrontare le tante diverse sfaccettature in cui l’acronimo CSA ha preso corpo nei diversi territori, con lo scopo finale di creare una rete nazionale che si connetta a quella mondiale di Urgenci[viii].
E nella settimana intorno al 16 ottobre, quando la Fao celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione, Urgenci chiamerà a raccolta molte di queste esperienze da tutta Europa per lanciare un messaggio chiaro: già oggi metà degli abitanti della terra vivono nelle città, e potrebbero arrivare al 66% entro il 2050. Se pensiamo che sarà l’industria agroalimentare a sfamarli, guardiamo a un modello che tra sprechi, impatto ambientale, impatto sociale potrebbe contribuire in modo determinante al collasso del pianeta.
Fairwatch, come coordinatore di uno dei progetti della Rete dell’economia solidale italiana, sosterrà la partecipazione di alcuni rappresentanti delle Csa italiane agli eventi di Urgency a Roma e al percorso di formazione[ix] che permetterà a queste esperienze italiane di essere sempre più integrate nella rete europea. Una forza necessaria per orientare la nuova Politica agricola comune, e i piani che ne discenderanno a livello nazionale e regionale, verso una prospettiva più sostenibile e lungimirante della produzione e del consumo di cibo.
*vicepresidente dell’Associazione Fairwatch
[i] http://ec.europa.eu/COMMFrontOffice/publicopinion/index.cfm/Survey/getSurveyDetail/instruments/SPECIAL/surveyKy/2087
[ii] http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2016/586650/EPRS_BRI%282016%29586650_EN.pdf
[iii] https://www.euractiv.com/section/agriculture-food/special_report/short-food-supply-chains-in-europes-north/
[iv] https://ec.europa.eu/commission/news/tackling-unfair-trading-practices-food-supply-chain-2018-apr-12-0_en
[vi] https://urgenci.net/community-supported-agriculture-as-a-model-for-a-new-common-food-and-agriculture-policy/
[viii] https://comune-info.net/2018/06/agricoltura-di-comunita-csa/