Le pagine della crisi/Alcuni scrittori commentano la situazione nel Paese dalle pagine dei quotidiani, Altri hanno invece trasformato la recessione in topos narrativo
Nelle prime pagine del Dizionario dei vizi e delle virtù (Feltrinelli 1997) Salvatore Natoli ricorda che l’etica prima di aver a che fare con quello che si deve o non si deve fare, identifica forme di vita, visioni di mondo, punti di vista, persuasioni e credenze. Nella Spagna della crisi, qual è l’etica degli scrittori in un momento storico in cui parlare di futuro sembra essere un’illusione giacché interrogarsi sul presente può risultare pericoloso e, forse, sovversivo? Se da un lato c’è chi come Javier Marías, Juan José Millás, Félix de Azúa o Elvira Lindo, per citarne alcuni, sceglie le pagine dei quotidiani per dire la propria sulla situazione spagnola attuale e sugli inganni propagandistici della politica, dall’altro c’è chi trasforma la crisi in materia letteraria.
È il caso di Pablo Gutiérrez che in Democracia (Seix Barral 2012) racconta la storia di Marco, un abile designer appena trentenne, licenziato lo stesso giorno in cui la Lehman Brothers dichiarò la bancarotta, il 15 settembre del 2008. Il suo capo, Gonzalo, aveva investito la maggior parte del suo capitale nel settore finanziario e con lo scoppio della bolla immobiliare perse tutto. Dopo mesi di abulia, Marco decide di reagire dipingendo versi poetici sui muri della città e partecipando a manifestazioni di piazza. Ad ispirarlo è lo stesso George Soros, rappresentazione letteraria del magnate della finanza, con il quale Marco intrattiene una conversazione surreale. Parallelamente alla vita di Marco, nel romanzo si raccontano le vicende di Leh-Bro, caricatura del colosso della finanza Lehman Brothers, un personaggio bizzarro che vive in un mondo imaginario chiamato «Dow-Jones». Nel suo libro, Gutiérrez gioca spesso con il termine «democrazia» cancellando la seconda parte della parola, quasi a significare che il popolo ha perso il potere di decidere sul suo presente e sul suo futuro. Ciò che rimane della sovranità popolare è un «demo», una simulazione, come i demo dei videogiochi che regalavano le riviste di computer nella Spagna negli anni ’90 e che l’autore ricorda attraverso la voce di Marco.
Seppur con toni mordaci e nichilisti, Kiko Amat presenta una storia simile in Eres el mejor, Cienfuegos (Anagrama 2012). Anche qui la crisi personale del protagonista – questa volta quarantenne s’inserisce sullo sfondo di un paese al collasso, dove lavoro e sicurezza economica sembrano un miraggio e le proteste di piazza del movimento 15-M (gli indignados) scandiscono la quotidianità dei suoi abitanti. Appena cacciato di casa e allontanato dal figlio, Cienfuegos si aggira ogni notte sotto il balcone della sua ex moglie mentre negli uffici del giornale per cui lavora si moltiplicano gli Ere (expediente de regulación de empleo), procedimenti che prevedono il licenziamento dei dipendenti in tempi di penuria economica.
Diversa è la vicenda di Esteban attorno alla quale si costruisce il romanzo di Rafael Chirbes En la orilla (Anagrama 2013). Ex proprietario di una falegnameria, Esteban è costretto a licenziare i dipendenti e a dichiarare fallimento. Con uno stile tipicamente realista, l’autore entra nel dettaglio delle tragedie familiari, riporta i pensieri e le lacrime di uomini disoccupati che passano le giornate al bar per non rimanere a casa davanti alla televisione. Addentrandosi nelle relazioni affettive, Chirbes ci offre un’immagine piuttosto sconcertante di come la crisi economica ha condizionato la vita familiare. In questo romanzo, la Spagna del boom immobiliare è viva solo nei ricordi dei personaggi che silenziosamente osservano i cantieri abbandonati e i cumuli di materiale edilizio inutilizzato. Della frenesia di gru e betoniere di qualche anno prima non rimangono che rovine, segni concreti e tangibili della fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. Quale epoca sia iniziata in Spagna, dove i dati di disoccupazione giovanile stentano a diminuire e i casi di corruzione aumentano, è presto per dirlo. Ciò che è certo è che in un paese dove si sente spesso parlare di paro, disoccupazione, dal verbo parar, fermare, non è facile muoversi verso progetti futuri.