Proviamo a immaginare in concreto come sarà l’università italiana tra pochi anni, reduce dai continui tagli del governo. Un giorno come tanti, un professore ordinario dai capelli bianchi si guarda intorno prima di andare in pensione.
E’ l’ultimo giorno di lezione del 2027 e il professor Rossi – ordinario dai capelli bianchi – si avvia verso l’aula dei saluti natalizi. Dietro di lui un piccolo corteo: la professoressa associata cinquantenne, il ricercatore “tenure track” quarantenne, il contrattista post-doc trentenne, l’assistente senior neodottorato, l’assistente junior neolaureato alla magistrale, in rigoroso ordine d’età e di gerarchia, con i più giovani a portare le borse del professore. All’usciere in pensione, tornato a salutare, la scena ricorda le immagini ossequiose di cinquant’anni prima.
Siamo alla neonata Università Regionale Unificata, che ha consolidato i tre o quattro precedenti atenei della regione. In tutto il centro-sud sopravvive in genere un unico ateneo, che ha accorpato quelli più piccoli. Il professor Rossi si accorge dei vuoti e commenta con i colleghi: il calo demografico, gli studenti più ricchi che corrono alle grandi università del Nord, e poi comunque per l’economia locale bastano ragionieri e diplomati, no? Ma anche tra i colleghi si sono aperti dei vuoti: uno su tre dei professori di vent’anni prima non è stato sostituito.
In compenso, con un bicchiere di carta in mano, incontra il ragionier Bianchi, neonominato “professore aggiunto” di management, un po’ emozionato a salire in cattedra e a riaprire un manuale quarant’anni dopo la maturità. Racconta dei suoi successi da consulente del lavoro, e delle partite di calcetto in gioventù con il rettore. Con lui sono una piccola folla i neofiti della cattedra arrivati quest’anno: piccoli imprenditori, medici dell’ospedale, il direttore della banca, il professore di latino del liceo ora in pensione, tutti uomini, selezionati dal rettore stesso, a raccontarsi l’effetto che fa avere di fronte una classe di ventenni.
Sullo schermo appare il saluto online dell’ex assegnista di ricerca, che ora lavora in un’università scandinava. Gli chiedono tra le risate se guadagnare tre volte più di prima gli basta per dimenticare il gelo del nord Europa. Risponde che nel suo ateneo i ricercatori italiani emigrati sono più numerosi dei professori associati della sua università di origine.
Il prorettore alla didattica replica che possiamo fare a meno di molti di loro, e annuncia le prime prove delle lezioni offerte dal nuovo sistema di intelligenza artificiale che può parlare agli studenti – con una suadente voce femminile – e correggere con gran precisione i loro esami.
Arriva il prorettore al bilancio, il meno allegro in sala. Confessa che negli ultimi quattro anni i finanziamenti si sono ridotti di un terzo, ogni anno una riduzione dell’8%, considerando l’inflazione. Sembra che le universita statali abbiano perso fino a 50 mila studenti in qualche anno, con la metà di questi che si iscrivono alle università telematiche private.
Già, dalle finestre si può vedere il nuovo palazzo della grande Università Telematica Futurista, la fusione delle undici precendenti, una dopo l’altra acquistate in questi anni da un noto fondo di private equity americano. Con quasi 400 mila iscritti, un docente ogni 400 studenti – e un largo uso dell’intelligenza artificiale – registra profitti record e quotazioni di borsa alle stelle. Qualche lamentela a mezza bocca e un po’ d’invidia.
Che fine faremo? Prima del brindisi, il rettore riferisce sottovoce le indiscrezioni sui lavori della commissione di esperti per la riforma degli atenei. Pare circoli la proposta di una nomina dei rettori da parte del governo, dopotutto Erdogan e Orban l’hanno introdotta anni prima. E una battuta: e perché no il giuramento di fedeltà al governo dei professori? E tutti a ridere.
Articolo pubblicato anche da il manifesto del 20 dicembre 2024