Le proposte della Commissione Ue per uscire dalla crisi: dentro il patto di stabilità, si punta sulla domanda pubblica nell’economia della conoscenza
La commissione Ue è più avanti nell’interpretazione della crisi di molti troppi stati, per non parlare dei partiti italiani.
La comunicazione della Commissione “From financial crisis to recovery: A European framework for action” (del 29 ottobre 2008) è un contributo al dibattito sulla crisi economica e finanziaria, oltre a rappresentare la base della proposta che la stessa Commissione presenterà il 26 novembre per ridefinire la strategia di Lisbona per il lavoro e lo sviluppo. La Commissione suggerisce due livelli di intervento per affrontare la crisi: una di breve termine tesa a contenere gli effetti della crisi (short term initiatives) e una a medio-lungo termine capace di adeguare le strategie di Lisbona. Ci sono alcuni aspetti interessanti che dovrebbero essere seguiti con maggiore attenzione e permetterebbero all’Italia di uscire da un certo provincialismo. In particolare sono le “proposte” finanziarie e di politica economica a incuriosire. Ci sono anche “vecchi” e mai superati “vincoli” della Ue, ma anche questi sono in qualche modo non solo allentati, ma relativizzati allo stato dell’economia. In qualche modo il ruolo funzionale del bilancio pubblico si presenta al cospetto del dibattito pubblico economico. Il patto di stabilità rimane un punto di riferimento, cioè il vincolo del 3% del deficit con la prospettiva del pareggio, ma la Commissione ammette che la politica fiscale può contribuire a supportare la domanda. È l’ammissione del ruolo fondamentale dei bilanci pubblici che cercano solo un orizzonte europeo per delineare delle politiche efficaci.
La stessa flexicurety sembra avere caratteristiche più targate sul lavoro, ancorché ancora inadeguate. Ma sul tema sappiamo che il livello della pressione fiscale e la dimensione dello stato sociale fa la differenza. Di rilievo strategico sono invece le proposte che attengono al superamento della crisi che la Commissione definisce come finanziaria ed economica. Inoltre, le responsabilità sono ben definite, non solo dal lato territoriale, ma anche dal lato economico. Propone standards accounting, ma soprattutto “on credit ratings agencies and executive pay”, unitamente ad un lavoro di supervisione del mercato dei capitali e i rischi del managements, includendo derivati, hedge found e private equity. L’aspetto “nuovo” è l’impegno della Commissione a “regolare” ma anche a supervisionare. Quest’ultimo è un termine relativamente nuovo per la Commissione Ue. Ma sono le politiche di “struttura” a segnare la profonda diversità tra le politiche del governo italiano e quello che l’Ue (Commissione) suggerisce. Da un lato spinge per l’aumento delle spese negli investimenti, nella ricerca e sviluppo, nell’innovazione e nell’educazione; dall’altro immagina una competitività fondata sul lavoro e la tecnologia ed in particolare sulla sicurezza energetica, cioè l’implementazione del piano 20 più 20 e più 20. In qualche modo la Commissione osserva che questa crisi ha tratti molto particolari e comprende che si può uscire solo attraverso un forte ruolo pubblico teso ad anticipare la domanda di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, ma anche sulla tecnologia verde.
Nel delineare le politiche possibile di finanziamento di progetti innovativi, in particolare della Bei, la Commissione propone che i finanziamenti della Bei devono sostenere le iniziative legate al cambiamento climatico, alla sicurezza energetica e alle infrastrutture. La Commissione insiste sulla necessità di rafforzare la base del capitale e dalle pieghe del documento sembra essere proprio la conoscenza con l’accettazione della sfida ambientale, ancorché non sembra una scelta di ordine “etico-ambientale” piuttosto di politica industriale in ragione dei mutamenti tecnologici che investiranno tutte le attività manifatturiere e di servizi. Tra le misure troviamo l’efficienza energetica, le tecnologia verde, le macchine pulite. La sfida per la Commissione sembra di alto profilo fino a prefigurare un ruolo pubblico non solo dal lato del che cosa si produce, ma anche su come si interviene dal lato dello stato sociale. Non a caso si osserva un ruolo anche per lo stato sociale che evidentemente dovrà trovare degli equilibri superiori, ma quando abbiamo crisi di questa portata è difficile immaginare che le cose rimangono uguali a se stesse.
La domanda che mi faccio è la seguente: esiste in Italia qualcosa di almeno prossimo all’orizzonte europeo?
Non penso solo alla destra che ha rinunciato a diventare europea, tanto da affrancarsi dalla sfida energetica e ambientale, ma anche alla sinistra diversamente articolata.La Commissione ci dice che non si esce da questa crisi con delle misure tese ad attutire la crisi e il malessere del mondo del lavoro, piuttosto con delle sfide di struttura.
Vediamo chi è capace di accettare questa sfida.
In allegato, il documento della Commissione