Alla base della rivolta scoppiata nelle prime settimane di ottobre 2020 in Kirghizistan non c’è semplicemente uno scontro fra le forze politiche, ma fra la politica e il popolo. Per comprendere come si sia giunti alla rottura è opportuno ripercorrere le fasi degli 10 anni di democrazia kirghisa. Da Caffè Geopolitico.
Dopo la rivoluzione del 2010 il Kirghizistan nutriva grandi speranze nei confronti del nuovo ordinamento politico democratico, davvero originale per un Paese dell’Asia Centrale. Personaggi di primo piano come l’ex Presidente Roza Otunbayeva infondevano fiducia e spronavano giovani onesti e preparati a scendere nell’agone politico. I partiti rappresentavano davvero le correnti ideologiche presenti nel Paese e gli interessi della popolazione. I principali raggruppamenti politici nati a ridosso della rivoluzione e negli anni successivi erano l’SDPK (il Partito Socialdemocratico kirghiso degli ex Presidenti Otunbayeva e Almazbek Atambayev), Ata-Meken, (o Partito socialista, guidato da Omurbek Tekebayev), Ata-Zhurt e Ar-Namis, organizzazioni che potremmo definire di destra e che avevano un deciso orientamento filo-russo. In un secondo momento è nata Respublika di Omurkeb Babanov, un magnate padrone di un network televisivo che sembrava ispirarsi molto a Silvio Berlusconi.