La rotta d’Italia. La mafia condiziona il voto di un milione di elettori in Sicilia. Dopo l’astensione alle regionali del 2012, ora tratta pacchetti di voti locali e accordi con chi offre favori: affari, condoni, leggi su misura
La Sicilia viene considerata una regione decisiva nella sua espressione di voto, per la vittoria di questa o quella coalizione a livello nazionale. Ci si può legittimamente interrogare quindi sull’orientamento possibile del voto di “Cosa Nostra”, potenzialmente destinato a determinare il risultato finale. Nella formulazione della risposta andremo per ordine soffermandoci prima su due punti di premessa: quanto “pesa” oggi in Sicilia il voto della mafia e come questa ha presumibilmente espresso il suo consenso nelle elezioni immediatamente precedenti, le regionali del 2012.
Le stime ufficiali del voto di mafia lo quantificano in trecentomila preferenze (il 15% all’incirca di quelle valide nel 2012). Ma questa stima andrebbe disaggregata per realtà territoriali. Qualcuno, ragionando intorno alle dichiarazioni sul tema dei pentiti, si azzarda a proporne una valutazione ben più ampia. Il voto della mafia coinvolgerebbe, in varie forme, un milione di elettori (quasi il 50% dei voti validi nel 2012)[1]. Occorre annotare che, proprio in questi ultimi giorni, malgrado la repressione giudiziaria, la mobilitazione della cosiddetta società civile e le nuove metodologie di verifica sulla “presentabilità” dei candidati, in alcune importanti città siciliane (Palermo, Trapani) “Cosa Nostra” dimostra di aver ripreso il controllo del territorio (Palermo) o comunque di non perdere rapporti consolidati con la politica (Trapani).
Andiamo alla seconda premessa. Come è noto, nelle ultime elezioni siciliane si è registrato un notevolissimo tasso di astensione (il 55%). L’opinione prevalente è che, in questa ricorrenza, la mafia abbia preferito anch’essa una forma di astensione. Intanto, perché il suo rapporto con la politica è al centro, da qualche tempo, di un’attenzione d’indagine, potremmo dire, spasmodica, tale per cui i costi di “esposizione” sono troppo alti. Poi, per l’assenza in Sicilia, oggi, di “grandi affari”: l’Expo è a Milano, non a Palermo. Oppure, perché si preparava a trattare la scadenza politica nazionale, limitandosi, come sostiene un pentito (Gaspare Mutolo), a mandare messaggi ai politici.
Un parametro in base al quale si è ritenuto di giudicare l’orientamento politico della mafia, nelle passate elezioni in Sicilia, è la totale astensione da parte dei detenuti per reati di mafia. Forse questo parametro – a parer nostro – poteva essere utilizzato tempo addietro, ora non più. Immaginiamo che i detenuti, senza alcun retropensiero, votino in maggioranza per un certo partito o per un certo candidato. Paradossalmente oggi il loro voto sarebbe controllato (e quindi subito interpretato) assai più di quanto “Cosa Nostra” riuscirebbe a fare nei singoli seggi. Altri, piuttosto, tendono a coglierne un preciso significato (Ingroia). L’astensionismo nelle carceri siciliane in occasione delle elezioni regionali potrebbe esser stato un gesto plateale di disimpegno elettorale da parte del mondo del carcere, riferibile a Cosa Nostra, che è anche una minaccia di disinteresse per queste elezioni politiche.
C’è stata un’ulteriore interpretazione dell’astensione. Nello scenario di una crudele recessione dell’economia italiana che provocherà, si prevede, un ulteriore aumento della disoccupazione, la situazione dei conti dello Stato e degli Enti Locali appare assolutamente drammatica. Non si tratta più di manovrare redistribuzioni di risorse finanziarie; si tratta di “tagliare” non potendo rispettare, per forza di cose, alcun criterio di discrezionalità. Chi si è astenuto potrebbe avere percepito questa incombente minaccia.
Veniamo ora a formulare qualche ipotesi di risposta alla domanda che ha fatto da incipit a questa breve analisi: come voterà “Cosa Nostra” al prossimo appuntamento elettorale? Nel ricordo del voto in Sicilia, qualcuno (Ingroia) ha messo in guardia da conclusioni affrettate: la mafia c’è, è presente e guarda sempre la politica. Nei momenti di passaggio, se non ha accordi stabiliti si prepara a trattare, subito dopo le elezioni. (“Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2012). C’è un altro aspetto da cogliere. Quasi in sintonia con quanto emerge dalla letteratura specialistica, dalle inchieste e dai sondaggi oggi – lo si desume anche dalle intercettazioni – l’atteggiamento delle cosche è di profondo disprezzo per la politica, dalla quale si richiedono accordi precisi, garanzie puntuali in cambio di voti. Ma come è stato giustamente posto in rilievo (Bellavia) mentre nel caso delle elezioni locali è immediata la verifica dell’accordo, nel caso invece di una competizione nazionale, con la legge esistente, è ben difficile per un politico siglare accordi del genere con la certezza di poterli rispettare. C’è un altro profilo di approfondimento: la compravendita dei voti. Prezzi stabili: 300 preferenze valgono al momento sul mercato 15 mila euro. Ma quest’indotto economico elettorale non offre elementi per un racconto credibile sull’orientamento del voto mafioso. Le “famiglie” semplicemente controllano il territorio e quindi chi gestisce il voto di scambio (Bellavia). Si capovolge allora il senso della risposta. Per comprendere l’obiettivo del voto mafioso dovremo passare dalla previsione ex ante alla valutazione ex post.
È il momento di concludere. Il voto mafioso inciderà sui risultati finali quand’anche si esprimesse come astensione. Sono da attendersi, però, comportamenti legati a singoli territori più che a indicazioni generali per questa o quella coalizione. Il “porcellum” e l’abolizione delle preferenze, forse suggeriscono a “Cosa Nostra” più che vendere voti in proprio o farli confluire su questo o quel candidato di attendere, se così possiamo definirlo, un responso scaturito dal voto mafioso in libertà. E poi di selezionare i soggetti sui quali esercitare pressioni per ottenere “favori” (affari, condoni, leggi ad hoc).
[1] E.Bellavia, Il voto invisibile della mafia. Quei trecentomila consensi in attesa di nuovi padroni, La Repubblica Palermo, 17 febbraio 2013