L’Italia che vogliamo/Per evitare che siano le fasce più deboli della popolazione a pagare i costi della crisi da Covid-19 è urgente una riforma fiscale in chiave fortemente progressiva e redistributiva, che combatta elusione ed evasione, colpisca profitti e rendite, armonizzi i sistemi impositivi in Europa.
La pandemia da Covid-19 ha colpito e colpirà duramente un’economia, come la nostra, già fragile e indebolita dalle persistenti conseguenze negative della Grande Recessione del 2008 e della crisi dei debiti sovrani del 2011. Come sottolineato nell’appello di Sbilanciamoci! “Un’Italia in salute, giusta, sostenibile” questa nuova crisi, inedita sia per natura che per entità nell’era del capitalismo maturo e globalizzato, rischia di esacerbare i livelli già insostenibili delle disuguaglianze economiche e sociali[1] registrati negli ultimi anni in Italia e in Europa.
Sarà dunque necessario un cambio di rotta nella gestione della finanza pubblica e un ripensamento delle politiche fiscali e impositive in chiave fortemente redistributiva, affinché non siano le fasce della popolazione più deboli a farsi carico delle conseguenze economiche della pandemia.
Negli ultimi anni, le manovre economiche e finanziarie in Italia hanno seguito linee direttrici comuni e sostanzialmente orientate dai vicoli europei, primo fra tutti il pareggio di bilancio (art. 81 Cost.), lungo il “sentiero stretto” del rigore nella gestione dei conti pubblici come unica prospettiva di convergenza tra “centro” e “periferia” e di mantenimento della fragile struttura dell’Unione Monetaria Europea (Ume).
Da questo punto di vista, la recente decisione della Commissione Europea di sospendere – facendo ricorso alla general escape clause – il Patto di Stabilità e Crescita per consentire ai Paesi membri di fronteggiare in modo adeguato le conseguenze economiche della pandemia potrebbe rappresentare l’occasione per un cambio di rotta. Anche se occorrerà in ogni caso attendere il prossimo anno e capire cosa seguirà alla sospensione dei vincoli e quale sarà la strada che vorrà intraprendere l’Europa negli anni a venire.
Quello che è certo è la conferma, come sostenuto negli ultimi anni da numerosi economisti, della sostanziale incompatibilità tra una politica economica dettata dalla commistione letale tra ordoliberismo e cosidetto “Keynesismo bastardo” – ossia l’inseguimento ossessivo del rigore nei conti pubblici guidato da dibattuti meccanismi di stima dell’indebitamento strutturale e dell’outpup gap[2] – e una prospettiva di rilancio reale dell’economia del Paese lungo un percorso di crescita e di sviluppo sostenibile incentrato su investimenti, innovazione e occupazione di qualità.
Su questo sfondo, le conseguenze economiche e sociali della pandemia richiederanno uno sforzo concreto per affrontare le catastrofiche previsioni macroeconomiche presentate nel DEF 2020 – con una caduta del Pil dell’8% per il 2020, un rapporto indebitamento netto-Pil previsto per il 2020 al 10,5% e al 5,7 per il 2021 e un rapporto debito-Pil pari al 155% per il 2020 e al 152 per il 2021 – ma anche per ridurre il peso insostenibile delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza attraverso un chiaro programma redistributivo.
Un segnale certamente positivo contenuto nel DEF 2020 riguarda la decisione, conseguente alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, di eliminare le “clausole di salvaguardia”, la cui sterilizzazione – necessaria a impedire aumenti delle aliquote Iva e accise – è costata dal 2011 ad oggi circa 96 miliardi di euro e che, rappresentando una quota preminente delle risorse stanziate per le manovre finanziarie degli ultimi anni, avrebbero potuto e dovuto essere impiegate per il rilancio del Paese.
Come sottolineato da molti, questa ennesima crisi economica avrà effetti eterogenei, sia sul lato della domanda che sul lato dell’offerta, colpendo l’economia reale ma potenzialmente anche quella finanziaria, e richiederà quindi uno sforzo coordinato a livello nazionale e internazionale all’altezza della situazione.
Di conseguenza, il sistema fiscale e impositivo ricoprirà un ruolo centrale nell’affrontare le conseguenze economiche della pandemia e sarà indispensabile, a tal fine, immaginare una programmazione di breve, medio e lungo periodo per invertire alcune macro-tendenze che hanno caratterizzato le manovre degli ultimi anni[3]. Vale a dire: (i) il graduale spostamento del carico impositivo dai patrimoni ai redditi, e dai redditi di impresa a quelli da lavoro dipendente; (ii) il frequente ricorso a regimi di tassazione separata – ad esempio sulle rendite finanziarie o sui premi di produttività – che hanno concorso alla frammentazione della base imponibile impedendo la piena realizzazione di un sistema impositivo di carattere progressivo; (iii) il ricorso a misure di riduzione del costo del lavoro e di incentivo fiscale come canali privilegiati di stimolo alla “competitività” delle imprese.
Al contrario, è necessario ridisegnare un sistema fiscale organico e fortemente redistributivo lungo le linee direttrici fornite dall’art. 53 della nostra Costituzione, ossia nel rispetto del principio della capacità contributiva e informandolo alla progressività dell’imposizione.
Tassazione progressiva di redditi e patrimoni
Per questa via, a livello nazionale, occorrerà in primo luogo operare una rimodulazione della struttura delle aliquote Irpef in modo da garantire e potenziare il principio della progressività a vantaggio delle fasce di reddito più basse, e maggiormente esposte alle conseguenze economiche della pandemia, in modo da consentire anche un minimo rilancio dei consumi e quindi lo stimolo di una componente fondamentale della domanda aggregata. Contestualmente, è necessario eliminare i diversi regimi di tassazione separata dei redditi al fine di ricomporre la base imponibile Irpef, comprensiva a quel punto di tutte le fonti di reddito (il cosiddetto comprehensive income principle), e di ricondurla alla progressività dell’imposta.
In secondo luogo, occorre introdurre forme di imposizione patrimoniale progressiva, tenendo conto sia della dimensione sia della tipologia dei patrimoni – immobiliari e finanziari – per distribuire in modo adeguato, equo e sostenibile il peso di questa ennesima crisi. In questo senso, è da accogliere positivamente la proposta, avanzata nelle settimane passate da alcuni economisti[4], di una patrimoniale europea sull’1% più ricco della distribuzione dei patrimoni per far fronte alla crisi Covid a livello continentale.
Senza dimenticare che un ulteriore, importante strumento di contrasto alle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza dovrebbe essere rappresentato dal potenziamento della tassazione dei patrimoni ereditati e delle donazioni, sempre a carattere progressivo.
Contrasto a evasione ed elusione, armonizzazione della fiscalità europea, tassazione dell’economia digitale
Inoltre, l’ingente quantità di risorse necessarie per affrontare la crisi rende indispensabile una stretta definitiva di fronte all’entità e alla diffusione dei fenomeni di evasione ed elusione fiscale, che riguardano principalmente l’economia italiana, ma anche il contesto europeo e internazionale. A questo proposito, un primo passo concreto potrebbe riguardare l’erogazione dei finanziamenti stanziati nel “Decreto Liquidità” solo a quelle imprese che hanno o si impegnano a riportare la propria sede fiscale in Italia.
In seguito, guardando al problema da una prospettiva più ampia, è prioritaria un’armonizzazione della fiscalità europea, soprattutto con riferimento ai redditi societari: risale ormai al 2011 la proposta della Commissione Europea sul consolidamento delle basi imponibili[5], che è ancora in attesa di trovare consenso tra i Paesi membri. Occorre decidere dunque se il futuro dell’architettura politica, istituzionale ed economica europea sarà orientato verso configurazioni coordinate e integrate – anche a livello fiscale – oppure verso una competizione non-cooperativa incentrata prevalentemente sul dumping fiscale. In quest’ultimo caso, è bene ricordarlo, continueremmo a tollerare pratiche di erosione della base imponibile[6] da parte dei gruppi multinazionali operanti mediante stabile organizzazione, occulta e non, incentrate su una pianificazione tributaria infragruppo al di là del bene e del male e sulla sistematica localizzazione delle relative attività economiche in Paesi – spesso membri dell’Unione Europea, peraltro – con fiscalità di vantaggio.
Infine, seppur risultano apprezzabili le iniziative sulla Web tax, ossia l’imposta sui servizi digitali introdotta con la Legge di Bilancio del 2019, è necessario un potenziamento di tali strumenti impositivi, ad esempio tramite tassazione delle transazioni relative all’e-commerce, affinché possano rappresentare strumenti adeguati e idonei ad accompagnare la transizione digitale e le trasformazioni che stanno investendo le economie contemporanee.
Note
[1] Per un approfondimento si vedano due recenti contributi sul rapporto tra disuguaglianze e Covid-19: M. Franzini “La pandemia non è uguale per tutti. Covid-19 e disuguaglianze”, in Eticaeconomia; G. Dosi e M. E. Virgillito “Tutti uguali davanti alla pandemia?”, in ScienzaInRete.
[2] Su questo punto rimandiamo a un precedente contributo: L. Fanti e M. Gallegati “Gli incalcolabili danni dell’economia mainstream”, in Per l’Italia del dopovoto. Vicoli ciechi e vie d’uscita, Sbilanciamoci! 2018; F. Saraceno, La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia, LUISS University Press 2018.
[3] Per un approfondimento si veda il capitolo dedicato al fisco del Rapporto della Campagna Sbilanciamoci! “Stiamo meglio o peggio di cinque anni fa? Un bilancio di fine legislatura”, Sbilanciamoci! 2018, e L. Fanti e P. Pekka “Quale Fisco all’orizzonte?”, in sbilanciamoci.info.
[4] C. Landais, E. Saez, G. Zucman “A progressive European wealth tax to fund the European Covid response”, in Vox CEPR Policy Portal.
[5] Ci riferiamo alla proposta della Commissione Europea sulla Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB).
[6] Nonostante il fenomeno dell’erosione della base imponibile, il cosiddetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), sia in realtà oggetto di analisi e raccomandazioni da parte dell’Ocse ormai da diversi anni. Si veda in proposito il recente “BEPS Action 13” sulla necessità di rendicontazione country-by-country da parte delle società multinazionali.