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Come e dove scoppierà la prossima?

Dalle banche? Dagli hedge funds? Dalle valute? O altrove? Mentre ci si interroga sul come e quando del prossimo choc, governo e banche sono presi in trappola

“…i governi, le banche centrali e le authority sembrano impotenti. Avevano promesso di voltare pagina, ma si sono infilati in negoziati inconcludenti…” (M. Mucchetti)

“…la ricetta che trasforma le ricchezze di oggi nei disastri di domani è nota da tempo. Aggiungi un po’ di rischio qua, uno spruzzo di innovazione finanziaria là, nonché un po’ di rapacità per insaporire, lascia decantare il tutto per alcuni anni e, prima che tu te ne accorga, avrai un crisi calda e ben cotta nelle tue mani…” (F. Guerrera)

“…considerando tutto quello che sappiamo, potrebbe non esserci una via d’uscita sicura…” (W. Munchau)

Premessa

Circa un anno fa pubblicavamo su questo stesso sito un articolo che intravedeva le ragioni specifiche per cui si sarebbe potuta innescare in un futuro non troppo lontano una nuova crisi dell’economia (Comito, 2008).

Lo stesso argomento viene, in queste ultime settimane, discusso con un certo interesse sulla stampa economica internazionale, in particolare sulle colonne del Financial Times, sicuramente il giornale che va informando di più e meglio, sin dall’inizio del fenomeno, sul tema della crisi, lasciando spazio ad opinioni anche molto differenziate.

Il punto di partenza dell’analisi che segue è quello che, almeno sino ad oggi, ben poco è stato fatto per riformare i meccanismi economici e finanziari, nazionali ed internazionali, che hanno prodotto le difficoltà in atto. I governi, i parlamenti, le organizzazioni internazionali, fanno finta di agitarsi sul problema, ma si tratta di una commedia a cui non fa sostanzialmente attenzione più nessuno. Va aggiunto che da quando si sono messi a suo tempo in opera i provvedimenti di liberalizzazione delle attività finanziarie e di deregolamentazione dei movimenti di capitale, si è registrata nel mondo una serie di crisi, di dimensioni più o meno rilevanti, ad una distanza media di pochi anni l’una dall’altra.

Le varie ipotesi in campo

Da quale area potrebbe quindi sbucare la prossima? Le opinioni in proposito appaiono varie. Ne elenchiamo alcune:

1) per Guerrera (Guerrera, 2009) la discussione ruota oggi intorno alle grandi banche, ma può darsi che la prossima crisi venga invece da qualche altro settore della finanza, al momento trascurato; dalla bolla dei mari del Sud nel Settecento, al crollo del 1929, sino al caso della Enron, i cattivi nel dramma finanziario sono costantemente cambiati.

Così, mentre le banche stanno riducendo la loro attività in business quali il trading in proprio e la finanza strutturata, temendo l’arrivo di regole più severe, il campo tende ad essere occupato dagli hedge fund e da altri tipi di organizzazioni finanziarie meno regolate, che costituiscono il sistema finanziario ombra. Il punto è che, come sempre, alti rischi significa la speranza di alti profitti. Oggi negli Stati Uniti le entità non bancarie possiedono circa la metà di tutti i prestiti dubbi del paese. In teoria la Fed sta ottenendo i poteri per controllare anche tali istituzioni, ma mettere le mani su dei gruppi che non rivelano pressoché nulla sulle loro attività sarà molto difficile. Così c’è la possibilità che l’epicentro della prossima crisi sia un hedge fund di media grandezza la cui rete di relazioni d’affari lo trasformi in una sorta di Bear Stearns del settore;

2) per Munchau (Munchau, 2009), invece, le difficoltà verranno forse dalla borsa. E’ ormai chiaro da qualche tempo che i mercati azionari globali sono di nuovo entrati un una bolla. Sembra di essere tornati alla situazione del 2003 e del 2004, scrive l’autore, quando le bolle immobiliare, del credito, delle materie prime, avevano cominciato a gonfiarsi, aiutate dal basso livello dei tassi di interesse e dalla assenza di inflazione. Ma la situazione di oggi presenta una grande differenza: il crack arriverà ancora prima.

La ragione forse più importante per la crescita di questo nuovo boom è costituita ancora una volta dal livello molto basso dei tassi di interesse, che induce gli investitori a impiegare il loro denaro in tutti i tipi di attività rischiose. Per tutto quello che ne sappiamo, afferma Munchau, non sembra esserci alcuna via d’uscita da tale situazione;

3) anche per Roubini (Roubini, 2009), l’economista che con maggiore precisione aveva a suo tempo previsto lo scoppio delle difficoltà in atto, all’origine della prossima crisi si trova il livello molto basso dei tassi di interesse, che sta gonfiando i prezzi non solo dei mercati azionari, ma anche quelli di tutte le altre attività rischiose, dal petrolio, alle materie prime, alle valute di alcuni paesi; essi sono anche spinti verso l’alto dalla migliore situazione economica che si riscontra ora in vari paesi. Ma i prezzi delle attività a rischio sono in ogni caso cresciuti troppo, troppo presto e troppo velocemente se li si confronta con i fondamentali dell’economia.

Ma l’autore si sofferma in particolare su di un fenomeno apparentemente laterale. La debolezza del dollaro sui mercati valutari internazionali sta alimentando per Roubini un gigantesco meccanismo di carry trade. Gli investitori, spinti dalla debolezza della valuta e dai bassissimi tassi di interesse, tendono ad indebitarsi nella valuta statunitense e ad impiegare le risorse così ottenute per acquistare sul mercato attività ad alto rendimento ed inevitabilmente ad alto rischio. Consideriamo peraltro il fatto, afferma l’autore, che in realtà tali investitori stanno acquistando denaro addirittura a tassi di interesse negativi, dell’ordine del -10-20% su base annua, dato che la continua caduta del prezzo del dollaro porta loro rilevanti guadagni in conto capitale. Così, i rendimenti di una strategia di questo genere si sono collocati intorno al 50-70% dall’inizio di marzo ad oggi. Essa va avanti in tutto il mondo con un processo cumulativo. Ma un giorno la bolla scoppierà – immaginiamo cosa potrà succedere se il dollaro dovesse rivalutarsi o anche, per alcuni versi, semplicemente stabilizzarsi – portando dovunque ad una corsa ad uscire dal gioco e all’affondamento conseguente e in contemporanea dei mercati delle azioni, delle materie prime, del credito, dei valori dei paesi emergenti;

4) intanto Rogoff e Reinhart (citati in Foroohar, 2009), avanzano l’ipotesi che venga allo scoperto una crisi valutaria, originata dal livello molto elevato del debito pubblico di qualche stato;

5) sin qui le ipotesi fatte dagli studiosi citati. Ma si potrebbe ovviamente pensare anche ad altre ragioni. Una ulteriore potrebbe essere proprio quella trascurata da Guerrera e farebbe riferimento ad una crisi scoppiata per i problemi di qualche grande banca, che trascinerebbe con sé, anche per i suoi legami sistemici, una parte consistente del sistema finanziario e troverebbe i governi in grande difficoltà e in carenza di risorse sufficienti nel far fronte alla questione. L’ipotesi diventerebbe molto concreta nel caso in cui gli governi non arrivassero, come del resto sembra, a governare più strettamente di oggi il sistema finanziario.

Qualche dato empirico sulle bolle in atto; l’origine delle liquidità mondiali

A conferma di quanto segnalato sopra dai vari studiosi, bisogna ricordare che in effetti da sei mesi tutti i prezzi, da quelli dei titoli azionari di borsa, a quelli dei mercati obbligazionari, in specifico per quanto riguarda i titoli pubblici, a quelli delle materie prime, con oro e petrolio in primo piano, tendono ad aumentare. Dal marzo 2009 ad oggi l’indice S&P della borsa di New York è così aumentato del 58%, mentre il Nasdaq è cresciuto del 67%; i mercati emergenti sono saliti del 95%, mentre il prezzo del petrolio è andato su del 132% dal livello di febbraio (Forrooher, 2009). Alla borsa di Taiwan il valore delle azioni è pari ormai a 100 volte gli utili delle imprese e a 90 volte in Australia (P. Artus, citato in Gatinois, 2009). L’indice Hangseeng della borsa di Hong Kong, dopo aver raggiunto un punto di minimo nell’ottobre del 2008, un anno dopo era cresciuto del 72%. Intanto, quest’anno, negli Stati Uniti verranno emessi titoli pubblici per 1300 miliardi di dollari ed in Europa per 900 miliardi. Infine, la liquidità mondiale non è mai cresciuta come in questo momento. Tra il 1990 e il 2007 il livello della moneta in circolazione è aumentato in media del 15% all’anno; oggi il ritmo è superiore a più del 30% (Artus, in Gatinois, 2009).

Ci si può chiedere quale sia l’origine delle liquidità che sembrano ormai inondare di nuovo il pianeta e gonfiare le varie bolle. I punti di partenza del fenomeno sembrano essere diversi: oltre alle liquidità generate dai governi e dalle banche centrali dei paesi sviluppati per far fronte alla crisi, bisogna soprattutto ricordare da una parte i paesi, come la Cina, con un’ eccedenza strutturale della loro bilancia commerciale e che riversano in gran parte tali surplus sui mercati finanziari di tutto il mondo, dall’altra i paesi produttori di petrolio e di materie prime, che trasformano di nuovo quasi tutti gli eccedenti in prodotti finanziari (D. Cohen, in Gatinois, 2009).

Conclusioni

Più passa il tempo, più ci si va convincendo che una nuova crisi finanziaria potrebbe scoppiare presto, anche se le opinioni relative a su quale fronte essa potrebbe ripartire sono relativamente differenziate.

Per altro verso, le banche centrali e le autorità politiche si trovano di fronte ad una specie di trappola. Se esse alzano i tassi di interesse e riducono la disponibilità di credito, bloccano quel poco di ripresa che è in atto ed anzi minacciano appunto di far decollare una nuova crisi; se invece tengono bassi i tassi e mantengono una larga disponibilità di credito, continuano ad alimentare le varie bolle sopra descritte, che prima o poi scoppieranno inesorabilmente.

Il problema è ovviamente aggravato in prospettiva dal fatto che le casse dei principali stati del pianeta –tranne quelle cinesi e di qualche paese del Medio Oriente- sono ormai state svuotate dalla crisi attuale e lo scoppio di un nuovo incidente di percorso a relativamente breve termine porterebbe a grandi difficoltà di intervento.

Una situazione indubbiamente difficile.

Testi citati nell’articolo

– Comito V., La crisi attuale e quella futura, www.sbilanciamoci.info, 29 ottobre 2009

– Foroohar R., Boom and gloom, www.newsweek.com, 30 ottobre 2009

– Gatinois C., Le grand retour de la bulle spéculative, www.lemonde.fr, 2 novembre 2009

– Guerrera, Countdown to next crisis, www.ft.com, 16 ottobre 2009

– Mucchetti M., Quella finanza che non cambia, www.corriere.it, 7 novembre 2009

– Munchau W., Countdown to the next crisis is already under way, www.ft.com, 18 ottobre 2009

– Roubini N., Mother of all carry trades face an inevitabile bust, www.ft.com, 1 novembre 2009