L’economista Giovanni Dosi, a lungo consulente di Luigi Di Maio, boccia la politica economica dell’esecutivo gialloverde, a cominciare alla legge sul reddito di cittadinanza, e critica la «subalternità» a Salvini. L’Espresso
Il reddito di cittadinanza? «Principio giusto applicato male». Quota 100? «Una legge sbagliata». La flat tax per le partite Iva? «Un favore agli evasori». E, nel complesso, la manovra di bilancio «fa crescere la spesa corrente, mentre sacrifica gli investimenti che sono la vera molla che può innescare la ripresa». La bocciatura della politica economica del governo arriva dall’economista Giovanni Dosi, uno degli studiosi italiani più conosciuti e ascoltati nei circoli accademici internazionali. Una bocciatura a dir poco sorprendente perché Dosi, 64 anni, professore ordinario della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nei mesi precedenti il trionfo elettorale del 4 marzo scorso aveva messo la sua dottrina e la sua esperienza al servizio dei capi dei Cinque Stelle, a cominciare da Luigi Di Maio. Adesso invece il professore bolla l’azione dell’esecutivo come «inadeguata e dilettantesca» oltre a denunciare la «subalternità» del Movimento grillino alla Lega di Matteo Salvini.
«Il decreto sicurezza varato da questo governo – attacca Dosi – rappresenta un vulnus senza precedenti ai principi sanciti dalla Costituzione repubblicana».
Eppure i Cinque Stelle erano usciti dalle urne ben più forti rispetto alla Lega. Come si spiega questa debolezza nei confronti dell’alleato?
«Penso che sin da principio Di Maio abbia dovuto pagare un prezzo politico per avere il via libera di Salvini all’approvazione del reddito di cittadinanza, il provvedimento-bandiera del Movimento, che invece è visto come una iattura da buona parte della base leghista. Poi, i temi della sicurezza e dell’immigrazione si sono imposti nel dibattito pubblico e, anche qui, i Cinque Stelle non sono stati capaci di imporre temi a loro più congeniali come il lavoro, la difesa dei diritti dei più deboli, l’ecologia».
Non ci sono solo peccati di omissione. Il decreto sicurezza è stato votato e difeso anche dai Cinque Stelle. Senza contare i provvedimenti sull’immigrazione, dalla chiusura dei porti agli attacchi alle Ong. Anche qui, in concreto, non si vedono chiare prese di distanza da parte del Movimento. Non le pare?
«È vero. Ed è un errore catastrofico. Sono scelte che allontanano dal Movimento una parte importante della propria base elettorale».
Infatti c’è chi prevede un gran tonfo dei Cinque Stelle alle prossime elezioni europee. C’è ancora tempo per correggere la rotta?
«Voglio ribadire che la politica italiana in tema di immigrazione è indegna di un Paese democratico. E per di più proprio questa politica ha consentito a Salvini di andare all’incasso incamerando capitale politico fino a trasformarsi, quantomeno nella percezione comune, come il vero leader del governo».
Una trappola in cui i Cinque Stelle si sono infilati da soli. Come possono uscirne?
«Semplice, bisogna staccare la spina il più presto possibile a questo governo. Solo così c’è ancora qualche speranza di salvare il Movimento recuperando una parte dei voti che altrimenti rischiano di andare perduti per sempre. Lo strappo servirebbe anche ad arginare una deriva autoritaria che io considero sempre più pericolosa e che non va assolutamente sottovalutata. Vorrei ricordare che anche Adolf Hitler fino al 1932 era considerato dai più come un bullo che le sparava grosse».
Anche l’andamento dell’economia, da poco entrata in recessione, sembra annunciare tempi bui. Eppure il premier Giuseppe Conte e Di Maio parlano di boom in arrivo. Possibile?
«Scambiano i loro desideri per la realtà e, sottostimano, o forse non comprendono, gli ostacoli alla crescita economica, che sono enormi. Prima di loro anche Silvio Berlusconi ci aveva abituati alle sparate propagandistiche più assurde, ma quantomeno erano accompagnate da un talento da imbonitore che questa classe di governo non possiede».
A proposito di sparate: è stato detto che la manovra di bilancio, grazie al reddito di cittadinanza avrebbe “abolito la povertà”. Siamo sulla buona strada?
«Premetto che a mio parere una misura come il reddito di cittadinanza andava comunque introdotta con l’obiettivo di alleviare la stato di sofferenza sociale di ampie fasce della popolazione. Detto questo, la legge varata da questo governo mi sembra un pasticcio».
Perché?
«Perchè si è mischiato un provvedimento contro la povertà con il più classico dei sussidi di disoccupazione. Il risultato è una norma complicatissima che rischia di non funzionare né in un senso né nell’altro con gran spreco di risorse. Ho il sospetto che la legge così come la conosciamo sia il frutto , di nuovo , di un cedimento all’alleato leghista che considera l’aiuto contro la povertà come un premio a chi passa la giornata sul divano. E così, per annacquare il testo, si sono messi insieme interventi che andavano gestiti separatamente».
A parte le considerazioni di principio, l’applicazione concreta della legge appare complicatissima, tra navigator, centri per l’impiego inadeguati, competenze suddivise tra enti (comuni, regioni, Inps) che appaiono impreparati al compito e non attrezzati al dialogo tra di loro. Problemi risolvibili strada facendo?
«Questo lo capiremo nei prossimi mesi. Di certo fin d’ora si può dire che il modo in cui è stata impostata la legge, e la sottovalutazione di alcuni problemi pratici, appaiono come una chiara dimostrazione dell’approccio dilettantesco di questo governo a temi di straordinaria importanza per il futuro del Paese».
Salvini in campagna elettorale aveva promesso l’abolizione della Legge Fornero. Da qui la sua insistenza sulla cosiddetta “quota 100” che alla fine è stata varata in accoppiata con il reddito di cittadinanza. Che giudizio dà di questa riforma pensionistica?
«Quota 100, se estesa all’intera platea dei lavoratori, è una legge sbagliata».
In che senso?
«Nel senso che andare in pensione a 62 anni dopo 38 di servizio può essere giustificabile per chi svolge mansioni cosiddette usuranti. Penso ad alcune categorie di operai, oppure agli insegnanti, soprattutto quelli della scuola primaria. Diverso è il discorso per gli altri lavoratori. Per loro andavano studiate misure diverse, con minore impatto sulla finanza pubblica. Diversa ancora è la situazione delle donne, che hanno vite lavorative più brevi e discontinue anche a causa della maternità. Per loro quota 100 o qualcos’altro di simile è invece giustificabile».
Il reddito di cittadinanza è stato descritto anche come un modo per rilanciare i consumi e quindi la crescita. È d’accordo con questa lettura?
«Il denaro che verrà messo in circolo, resta da vedere come e con quali tempi, potrà in teoria avere un effetto benefico sul fronte dei consumi. Temo però che il contributo effettivo alla ripresa si rivelerà tutto sommato contenuto. Ci vuole ben altro per rimettere in moto il Paese».
Che cosa?
«Per cominciare servirebbe un piano straordinario di investimenti pubblici. Ci sono aree in cui l’intervento dello Stato è a dir poco urgente. Pensiamo per esempio ai lavori per arginare il dissesto idrogeologico, destinato a diventare un problema sempre più grave per effetto dei cambiamenti climatici. Oppure alle grandi opere, non solo come nuove costruzioni ma come manutenzione di quelle esistenti: strade, viadotti, ferrovie. Gli stanziamenti in manovra su questi capitoli di spesa sono insufficienti. E anche settori fondamentali per la crescita del Paese, come istruzione, università e ricerca sono stati del tutto trascurati nella legge di bilancio».
Nella lista delle grandi opere c’è anche la Tav, a cui i Cinque Stelle si oppongono da sempre.
«Un altro errore, a mio parere. Se proprio si dovevano fare delle concessioni all’alleato Salvini, la Tav era una materia da mettere sul tavolo del negoziato, invece di cedere sul fronte dei diritti civili. Tra l’altro, opere come la Torino-Lione creano occupazione e le considero positive anche dal punto di vista ecologico, perchè tolgono dalla strada migliaia di Tir».
Ci sono vincoli di bilancio di cui tener conto. Con tutti questi investimenti aggiuntivi diventa ancora più difficile rispettare il famoso tetto del 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil imposto dall’Unione Europea, non trova?
«Si è gonfiata la spesa corrente con provvedimenti di dubbia efficacia come quota 100 . Invece si sarebbe dovuto trattare con Bruxelles per ottenere maggiori margini di flessibilità per la spesa in conto capitale. Sono convinto che negoziando in maniera accorta ci sarebbero state ottime possibilità di far valere le nostre ragioni».
E invece…
«E invece il governo è andato fin da subito allo scontro frontale. I Cinque Stelle hanno assecondato fin da subito le sparate propagandistiche di Salvini. La musica veniva suonata da tutto il governo, ma lo spartito era quello della Lega».
Come era prevedibile, la flat tax promessa da Salvini in campagna elettorale è rimasta nel libro dei sogni. La Lega però ha portato a casa una mini flat tax per le partite Iva. Che ne pensa?
«È una norma che produrrà un aumento dell’evasione da parte di professionisti e partite Iva in generale. Per Salvini è un successo: quella è in gran parte la sua base elettorale. Anche qui Cinque Stelle hanno fatto corsa di retroguardia portando acqua al mulino della Lega».
Però è Di Maio che è andato sul balcone a festeggiare l’abolizione dela povertà, che ha ribadito per mesi che «non si arretra di un millimetro nel negoziato con Bruxelles, salvo poi dover riscrivere la manovra. Senza contare altre sortite imbarazzanti come quelle di Laura Castelli, sottosegretario all’Economia. Insomma, non è solo colpa di Salvini, anche i Cinque Stelle ci hanno messo del loro nel sabotare il dialogo con Bruxelles, non trova?
«Ribadisco quanto detto prima: l’approccio al negoziato con Bruxelles è stato dilettantesco. Fare la faccia feroce con l’Europa non porta a nulla di positivo, come è stato ampiamente dimostrato dall’esito della trattativa».
Si è scelto di andare all’attacco anche di alleati come la Francia, con polemiche come quella sul Franco coloniale. Utile?
«No, tutt’altro. Nessuno nega che la Francia abbia enormi responsabilità storiche per il suo passato coloniale e il suo presente neocolonialista, ma il Franco coloniale non ha nulla a che fare con l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa. E alimentare polemiche futili serve solo a danneggiare la posizione dell’Italia in trattative delicate come quella di Fincantieri per l’acquisizione della francese Stx».
Con l’Italia in recessione e l’Europa intera che rallenta, c’è già chi prevede che sarà necessario rimettere mano ai conti pubblici e varare una manovra correttiva in corso d’anno. È un’ipotesi plausibile?
«Sarebbe un disastro. Credo che neanche i falchi del Nord Europa possano pensare di chiedere all’Italia un sacrificio simile. Nuovi tagli al bilancio pubblico darebbero il colpo di grazia a un economia già in affanno».
Tratta da l’Espresso online