A Barcellona si incontra ancora qualche ciminiera, a ricordare un tempo che sembra preistoria ma non è poi così distante. Una di queste svetta su una vecchia fabbrica tessile, il principale complesso di archeologia industriale rimasto in città: dove un tempo sferragliavano i telai, oggi c’è una città nella città, un microcosmo lontano da traffico, […]
A Barcellona si incontra ancora qualche ciminiera, a ricordare un tempo che sembra preistoria ma non è poi così distante. Una di queste svetta su una vecchia fabbrica tessile, il principale complesso di archeologia industriale rimasto in città: dove un tempo sferragliavano i telai, oggi si tengono concerti, conferenze, dibattiti, c’è chi impara i mestieri e chi i mestieri li insegna e li pratica, si va a scuola di circo, si gioca a basket, si fanno attività per bambini, il sabato si organizzano mercatini e la gente passeggia, si ferma e si relaziona. Una città nella città, un microcosmo lontano da traffico, shopping e movida, un luogo che fa restare umani. Attorno alla fabbrica, poi, si sogna un quartiere cooperativo, basato su un’economia solidale, che come stella polare non abbia il profitto ma le persone. E qualche seme è già stato piantato.
Questa fabbrica è Can Batlló e se il nome vi dice qualcosa, non vi state sbagliando. <<Si chiama così – mi racconta Marc Dalmau i Torvà, antropologo e sociologo, nato e cresciuto in zona – perché appartenuta a una delle grandi famiglie della città, i Batlló, che commissionarono ad Antoni Gaudì la famosa casa al civico 43 di Passeig de Gràcia>>. La celebre Casa Batlló, tra i più grandi capolavori dell’architettura moderna.