Mediobanca da Mattioli a Geronzi. L’ex salotto buono del potere economico italiano è adesso un groviglio spaventoso di azioni, dove i controllati controllano i controllanti e viceversa. Un jurassic park del capitalismo nostrano, che rischia di peggiorare con una ancora maggiore concentrazione con Generali
Per molto tempo Mediobanca e Generali hanno costituito quasi un tutto unico; il possesso di una quota azionaria di molto rilievo nel capitale della seconda ha permesso a lungo alla banca d’affari milanese di governare sostanzialmente il colosso assicurativo. Così, ad esempio, tra il 1999 e il 2002 Mediobanca ha cambiato per ben tre volte il presidente della società triestina. Ma negli ultimi tempi il legame sembra indebolirsi. La situazione potrebbe ora cambiare ulteriormente e anche drasticamente a breve. Appare comunque importante trattare insieme delle vicende delle due strutture, che sono oggi al cuore di una inusitata concentrazione di potere industriale-finanziario-politico nel nostro paese e che con le recenti vicende dell’Unicredit sembra avviarsi a diventare ancora più minacciosa.
Mediobanca e la sua storia
Quando, dopo la fine della seconda guerra mondiale, Raffaele Mattioli, allora alla guida della Comit, pensò di creare Mediobanca, il suo obiettivo era quello di avviare una struttura che avrebbe cercato di sopperire ad una deficienza storica del sistema finanziario nazionale, quella della cronica mancanza di fonti di capitale a lungo termine per le imprese (De Cecco, Ferri, 1996).
Lo stesso Mattioli sarebbe peraltro rimasto probabilmente sorpreso se avesse potuto assistere ad alcuni almeno degli sviluppi successivi della sua creatura. Prima Enrico Cuccia indirizzerà progressivamente l’istituto verso orizzonti per alcuni versi diversi da quelli immaginati dallo stesso Mattioli. Il declino relativamente recente dell’istituzione è poi da collegare a diversi mutamenti nella situazione, dall’apertura del mercato finanziario italiano, alla morte dello stesso Cuccia, alla rottura dei rapporti con la famiglia Agnelli. Per quanto riguarda l’evoluzione più recente bisogna ricordare inoltre, oltre alla creazione da parte dell’istituto milanese di una propria banca di deposito, Che Banca!, il cui stile di comunicazione avrebbe fatto certamente inorridire il banchiere siciliano, anche l’arrivo alla presidenza dell’istituto di Cesare Geronzi, un manovriero molto legato ai palazzi romani – per tutta la sua vita Cuccia, al contrario dello stesso Geronzi, si era tenuto lontano da Roma e dalla politica- . Egli è diventato per alcuni anni il presidente della stessa struttura, mentre era toccato da diverse procedure giudiziarie ancora in corso di definizione. Si tratta di una persona interessata soprattutto ai giochi di potere e molto meno allo sviluppo imprenditoriale della struttura, sulla quale peraltro cercano di vegliare dei manager capaci, apparentemente sostenuti sino ad oggi dal maggior azionista dell’istituto, Unicredit, in chiara contrapposizione allo stesso Geronzi; questo almeno prima della cacciata di Profumo dalla stessa Unicredit. Nel frattempo Geronzi è comunque traslocato alle Assicurazioni Generali, da dove ora minaccia di scalare la stessa Mediobanca.
Al momento della sua fondazione, al capitale della banca milanese partecipano in misura maggioritaria le banche appartenenti al gruppo Iri, e, in maniera più ridotta, il grande capitale privato, che sarà comunque il principale beneficiario del sistema.
Con Cuccia la banca diventerà una struttura simile alle storiche banche d’affari di stampo francese, nelle quali, oltre alle attività di investment bank – con la consulenza finanziaria alle imprese, in particolare per le operazioni di ristrutturazione, di fusioni ed acquisizioni, per il reperimento di risorse finanziarie sui mercati, per la collocazione in Borsa, ecc.-, si afferma anche un’attività di presa di partecipazione nel capitale delle stesse imprese. Per molto tempo Mediobanca controllerà nella sostanza gran parte della finanza italiana.
La banca tenderà a concentrare su di sé un grande potere sfruttando anche le risorse delle allora tre banche di interesse nazionale facenti capo all’Iri e delle Generali, nonché mantenendo una estesa rete di relazioni internazionali. La banca diventerà il “salotto buono” delle grandi imprese italiane, dove si concorderanno le strategie di sviluppo, o anche di sopravvivenza, non tanto delle grandi imprese nazionali, ma soprattutto delle grandi famiglie, dagli Agnelli ai Pirelli.
Il sistema Mediobanca
Il sistema messo in piedi da Cuccia poggiava su alcuni pilastri fondamentali:
1) sfruttamento pieno della leva di capitale delle imprese: la formazione di società a cascata permette di controllare con pochi mezzi propri dei grandi gruppi anche molto articolati;
2) emissione di azioni con diritti di voto diseguali: così gli azionisti di controllo possono di nuovo governare con poche risorse dei grandi imperi;
3) partecipazione al capitale dei singoli gruppi, a fini di sostegno, delle altre imprese facenti parte del sistema; tra i vari soci si firma poi un patto di sindacato, blindato a favore della famiglia di riferimento di ogni società;
4) reperimento delle risorse finanziarie necessarie ai vari gruppi da parte di Mediobanca, tramite la rete delle banche Iri e Generali.
Così è accaduto, nel caso più estremo, che la famiglia Pirelli e poi Tronchetti Provera controllassero un gruppo di grandi proporzioni come la stessa Pirelli detenendo soltanto circa lo 0,7% del suo capitale sociale complessivo.
Ma il salotto buono escludeva una serie di nuovi attori che si affacciavano progressivamente sulla scena del nostro paese, da De Benedetti a Berlusconi , mentre si occupava comunque poco o per nulla delle medie e piccole imprese. Inoltre, esso gestiva gli affari delle aziende ignorando del tutto la tutela delle minoranze azionarie – in realtà si trattava spesso di maggioranze, senza alcuna rappresentanza e senza alcun potere – e con una totale opacità informativa.
Ma progressivamente il sistema Mediobanca perde colpi; l’emergere di altri protagonisti industriali che, esclusi dal sistema, riescono comunque ad andare avanti per altre vie, soprattutto l’apertura delle frontiere finanziarie con l’arrivo di aggressivi concorrenti, nazionali e non, che oggi fanno una concorrenza spietata alla banca milanese, degli attriti sempre più evidenti con alcuni grandi partner, la cessazione del sostegno finanziario da parte di alcuni grandi gruppi bancari nazionali alle operazioni della stessa Mediobanca, che ora si trova a disporre in maniera sicura soltanto delle risorse di Che Banca!, piuttosto ridotte, sembrano segnare quanto meno il declino dell’istituzione, colpita poi anche dalla morte di Cuccia.
Per andare avanti intanto la media impresa, in mancanza nel nostro paese del sistema della haus bank, ricorreva ad una serie di misure alternative: essa puntava, oltre che sull’autofinanziamento, sulla rete di parentele e relazioni, mentre stringeva dei legami, a volte favoriti da reti politiche, con le banche locali, ecc.; ma in molti casi essa era alla fine costretta, per carenza di risorse finanziarie, a ridimensionare i suoi piani di sviluppo.
Oggi Mediobanca è un istituto di nessun peso sul piano internazionale, con una posizione certo di rilievo sul mercato italiano delle attività di investment bank, ma niente di più; essa mantiene un’importanza fondamentale nel sistema finanziario del nostro paese soprattutto per il fatto che detiene delle partecipazioni azionarie strategiche in alcune grandi imprese.
Azionisti e partecipazioni
Appare a questo punto necessario delineare il quadro dei maggiori azionisti di Mediobanca e della Generali, nonché quello delle loro principali partecipazioni. Le cifre che seguono sono di larga massima. Esse sono tratte dai bilanci delle due società, integrate da alcuni articoli di stampa ( tra i quali: Righi 2010, Giannini 2010, a, Giannini, 2010, b, Manacorda, 2010)
Il capitale di Mediobanca vede la presenza di Unicredit con l’8,7% del totale, azionisti esteri con circa il 10% (Bollorè e Groupama francesi, con circa l’8% e la tedesca Commerzbank); ci sono poi le quote di varie banche e fondazioni bancarie, anch’esse abbastanza rilevanti, infine Mediolanum (Doris-Berlusconi) con il 3,4%, Fondiaria-Sai (Ligresti) con il 3,8, la stessa Generali con il 4%.
Appare opportuno segnalare che la composizione dell’azionariato è cambiata abbastanza nell’ultimo periodo. Così, ad esempio, sono usciti dei soci storici importanti come Fiat e il gruppo Orlando, mentre sono rimasti Pirelli e Ligresti, è entrato il duo Berlusconi-Doris, si sono affacciate le fondazioni bancarie, resta anche al suo posto il gruppo francese guidato da V. Bollorè (Mucchetti, 2010, a).
Per quanto riguarda invece le partecipazioni dell’istituto, prima di tutto bisogna ricordare il possesso del pacchetto di azioni di controllo relativo delle Generali, con un 15% circa del capitale di questa società, poi l’1,4% in Banca Intesa -Generali a sua volta ha il 4,7% della stessa Intesa-; Mediobanca possiede inoltre il 14,5% di Rcs –che controlla a sua volta, tra l’altro, il Corriere della Sera- e partecipa al patto di sindacato della casa editrice, che vede presenti anche Generali, con il 3,9%, poi Fiat, Pirelli, Banca Intesa, quest’ultima con il 5%, nonché la Fonsai di Ligresti- ; l’istituto, insieme ancora a Generali, partecipa al controllo anche di Telecom Italia, attraverso la Telco, con un 12,98% del capitale della stessa, mentre sempre Generali ha il 28,0%, Telefonica il 46,2% e Intesa San Paolo l’11,6%.
I maggiori azionisti del Leone, oltre a Mediobanca, già citata, sono la Banca d’Italia con il 4,49%, De Agostini con il 2,7%, Caltagirone con il 2%, Intesa con l’1,4%, Blackrock, un grande fondo statunitense, con il 2,9%. Il 70,9% si trova invece collocato sul mercato.
A sua volta Generali, con il 4% di Mediobanca, è uno dei soci più importanti del patto di sindacato della banca d’affari; l’istituto assicurativo è anche azionista di rilievo di Banca Intesa con il 5.0% circa, partecipa al patto di sindacato Pirelli con il 5,5%, sempre insieme a Mediobanca – che possiede il 3,95%- e anche a Intesa San Paolo e a Fonsai. Ha ancora partecipazioni in Impregilo – il 3,3% –, nell’Editoriale l’Espresso – il 2,0% –, nella Saras di Moratti – con il 5,0% –, oltre alle quote in alcuni grandi gruppi assicurativi e bancari internazionali.
Come si può constatare, si tratta di un groviglio spaventoso di azioni, dove i controllati controllano i controllanti e viceversa (Giannini, 2010, a). I molteplici conflitti di interesse che questa situazione genera sono tenuti sotto controllo da un sistema di complicità diffuso e da una totale acquiescenza da parte delle cosiddette autorità di controllo. Si è creato così un gruppo di potere dalle dimensioni mostruose, per altro verso un jurassic park del capitalismo nostrano (Giannini, 2010, c), anche se per la verità i due attuali responsabili operativi della stessa banca hanno cercato di recente di eliminare alcuni di tali grovigli; essi sono riusciti così a vendere le quote azionarie precedentemente possedute dalla banca in Ciments francais, Commerzbank, Fonsai, Ferrari, Fiat, dimezzando così i pacchetti azionari acquisiti nell’era Cuccia.
Mentre quest’ultimo era comunque molto selettivo nella scelta dei partecipanti al salotto buono, la situazione attuale è diversa. Come già accennato, Geronzi ha spinto in direzione di un avvicinamento della galassia Mediobanca-Generali alla politica, in particolare verso Berlusconi e Tremonti e ha stretto ancora di più i legami con l’imprenditoria più bisognosa di sostegno finanziario e meno incline invece all’innovazione imprenditoriale (Pirelli, Ligresti, Impregilo, Benetton, Caltagirone e simili). Egli ha così contribuito in misura rilevante al deterioramento del già controverso modello del salotto buono.
Alla fine, il periodo della gestione Geronzi a Mediobanca non ha prodotto nulla di nuovo sul piano imprenditoriale, ma esso ha innovato abbastanza sul fronte delle relazioni di potere nel nostro paese. Il nuovo incarico del soggetto, come presidente di Generali, potrebbe portare più o meno agli stessi effetti, anzi c’è anche da temere che la situazione si aggravi rapidamente.
(continua – prossima puntata sulle Generali)
Testi citati nell’articolo
Bennewitz S., Generali, l’agenda del dopo-Bernheim, La Repubblica, Affari & finanza, 15 marzo 2010
Bonafede A., Concentrazioni, i magnifici cinque gruppi, La Repubblica, Affari & finanza, 26 aprile 2010, a
Bonafede A., Il nuovo ciclo di Generali, La Repubblica, Affari & finanza, 31 maggio 2010, b
Comito V., Storia della finanza d’impresa, Utet libreria, Torino, 2002, 2° volume
De Cecco M., Ferri G., Le banche d’affari in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996
Giannini M., Geronzi verso le Generali, il potere economico si blinda, La Repubblica, 1 febbraio 2010, a
Giannini M., La mossa del gattopardo, La Repubblica, 27 marzo 2010
Giannini M., Fusione Mediobanca-Generali, Geronzi prepara la nuova battaglia, La Repubblica, 4 aprile 2010, c
Lex, Generali/Mediobanca: gerontocratic Italy, www.ft.com, 18 febbraio 2010
Manacorda F., Generali, l’era Geronzi, più poteri agli azionisti, La Stampa, 24 aprile 2010
Mucchetti M., Il potere dei manager e la nuova Mediobanca, Corriere della sera, 20 maggio 2010, a
Mucchetti M., Polizze, la grande sfida con Allianz e Axa, Corriere della Sera Economia, 22 marzo 2010, b
Righi S., Generali, la potente ragnatela del Leone, Corriere della Sera Economia, 22 marzo 2010