La tecnologia blockchain non riguarda solo le criptovalute e si propone di cambiare il futuro com’è stato 50 anni fa con Internet. Un seminario al S.Anna di Pisa e a novembre il lancio di una piattaforma Ue per la PA.
Il futuro, spesso, è quella cosa di cui non ci eravamo accorti. Così a metà novembre a Malaga, in Andalusia, senza nessuna enfasi o battage pubblicitario, anzi con una certa riservatezza se non per gli addetti ai lavori, si svolgerà un convegno internazionale – dal titolo Convergence – su una innovazione destinata, a quanto pare, a ridefinire e innervare il prossimo mondo. Il paradigma del futuro si chiama blockchain e non è semplicissimo da spiegare di cosa si tratti, anche se in verità già sta entrando nelle nostre vite con piccoli passi di avvicinamento a cominciare dai sistemi di pagamento. Il blockchain è, naturalmente, qualcosa di molto più complesso, è un universo ancora selvaggio e inestricabile – i tecnici dicono che siamo ancora nella fase hype, evolutiva – dove albergano decine, centinaia di criptovalute, ma anche molto altro.
Tanto che secondo il World Economic Forum entro ill 2025 il 10% del Pil mondiale sarà generato tramite scambi in blockchain. E intanto, per avvantaggiarsi, il miliardario visionario Elon Musk ha deviato il corso di un fiume e investito centinaia di milioni di dollari al fine di creare nel deserto del Nevada un falansterio tutto basato sulla blockchain, non solo le transazioni economiche e finanziarie, ma tutto, dalla scuola, alle stesse identità dei cittadini del falansterio. (qui l’articolo del New York Times)
Per spiegare come funzioni il blockchain, in particolare per quanto riguarda le criptovalute, si utilizza spesso la storia metaforica delle monete megalitiche Rai utilizzate nell’arcipelago micronesiano delle isole Palau. Questi dischi di pietra con un buco al centro, pesanti anche quattro tonnellate, una di queste monete campeggia in una sala vetri e specchi della Bank of Canada ad Ottawa, assumevano valore per la storia intrinseca che trasmettevano, valore che aumentava e cambiava di connotazione ad ogni trasferimento. Tutti gli abitanti del villaggio in ogni caso sapevano in ogni momento a chi apparteneva la pietra, usata per matrimoni, alleanze e riscatti. Quindi non per transazioni commerciali spicciole, perché esisteva una lista “storica” di proprietari tramandata insieme alla proprietà simbolica della pietra. La pietra in sé rimaneva dunque sostanzialmente inamovibile dal suo sito altrettanto simbolico come le porte del villaggio o l’abitazione del capo-villaggio, ma la sua proprietà passava di mano in mano, virtualmente, insieme alla sua storia. (qui la storia del Rai)
Ma per andare al di là del senso monetario di questa storia, la blockchain – cioè la tecnologia di archivi e registri distribuiti e organizzati a nodi, i quali funzionano per validare le transazioni – può essere utilizzata anche per vidimare la marcatura dei tecnici addetti alla manutenzione di un impianto, oppure per far sì che un atto o un documento importante venga utilizzato da vari uffici della pubblica amministrazione senza alterazioni, eliminando la necessità di timbri e affissioni in albi pretori.
La blockchain interessa dunque non solo le banche, che per altro si sentono minacciate dal progetto Lybra avanzato da Zuckerberg. Interessa ad esempio le imprese agroalimentari impegnate nella tracciabilità dei prodotti e nello stabilire un rapporto biunivoco tra consumatori e coltivatori. Interessa le pubbliche amministrazioni per ridurre i costi e le lungaggini della burocrazia, senza dimenticare i notai, professione che rischia di essere completamente soppiantata dall’avvento delle vidimazioni degli atti tra le parti senza bisogno di soggetti terzi, utilizzando la distribuite ledger technology (in sigla DLT) cioè la tecnologia blockchain. (qui per approfondimento su DLT e criptovalute)
In ognuna delle diverse applicazioni, gli sviluppatori incontrano ancora notevoli problematiche e impedimenti. Ad esempio sul piano assicurativo e giuridico, in caso di contenziosi, ma esistono criticità anche in rapporto ad aspetti come la sovranità e l’hackeraggio dei dati. Mentre la problematicità più rilevante per le criptovalute resta la grande voracità energetica del sistema.
Un convegno sugli aspetti giuridici della diffusione prossima ventura di questa tecnologia che intende plasmare il mondo a cominciare dalla catena del valore per finire alla definizione di consenso e politica in quanto nuovo ecosistema digitale basato sulla fiducia oltre che sugli algoritmi e sulla crittografia, si è svolto sabato 12 ottobre alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nell’ambito di If (Internet Festival-Forme di Futuro).
La nona edizione del festival tra l’altro ricadeva nel cinquantesimo anniversario del primo ciclo universitario di studi di informatica in Italia, inaugurato proprio a Pisa, dove pure è stato acceso il primo collegamento italiano alla rete Internet, e quest’anno l’edizione del festival è stata tutta dedicata alle “regole del gioco”, incluso – appunto – il nuovo “gioco” dei miners, i giocatori delle varie piattaforme di bitcoin. Ma non solo loro, viste tutte le possibili applicazioni dei blocchi immutabili di catene aperte. In fondo oggi che siamo di fronte alla blockchain – hanno spiegato gli oratori – è un po’ come cinquant’anni fa, quando ancora non era chiaro quanto Internet avrebbe cambiato il mondo, né in quale direzione.
“Siamo di fronte a cambiamenti epocali di ruolo e di funzione di vari soggetti che già esistono – ha insistito infatti uno dei relatori del convegno pisano, Filippo Zatti, professore di diritto bancario nell’ateneo fiorentino – perché questo sistema di transazione fiduciaria senza intermediari (e tanto meno autorità centrali ndr) sembra spontaneo estenderlo al governo delle identità digitali nella pubblica amministrazione e nelle transazioni commerciali”. Ma ha bisogno di una struttura di regole, dell’individuazione dei soggetti di diritto, forse della modifica di protocolli consolidati.
L’ingegner Piero Marchionni, responsabile dell’implementazione dell’infrastruttura europea di blockchain per l’AGID (l’Agenzia per l’Italia digitale) ha spiegato come da oltre un anno si stia lavorando in ambito comunitario alla realizzazione di una infrastruttura in grado di creare una standardizzazione europea che metta in relazione i servizi dei 28 Paesi europei. Si lavora per estendere quello che al momento è la “carta costituzionale” di questo nuovo universo senza centro: il GDPR, cioè il Regolamento generale europeo di protezione dei dati, all’interno di un piano triennale che concerne l’applicazione dell’architettura DLT per quanto riguarda le transazioni delle pubbliche amministrazioni, non tra privati, per l’EBSI, l’European blockchain service infrastructure, che proprio nel simposio di Malaga dovrebbe vedere la luce.