Bruxelles boccia la legge “umanitaria” con cui il parlamento greco ha stanziato 200 milioni a favore delle famiglie in condizioni di “estrema povertà”. Perchè? Sembra che a Bruxelles si sia tornati alle idee di politica economica del 1932: in presenza di recessione e disoccupazione si attuano politiche di austerità
In un angolo di Piazza Omonia, ad Atene, a metà strada tra i palazzi del potere e una zona di quartieri degradati, un edicolante affigge al muro le prime pagine dei giornali. Davanti, una piccola folla di persone anziane li legge. Hanno l’aspetto di insegnanti o impiegati in pensione, leggono con attenzione, in silenzio: non possono più permettersi di comprare il giornale. La scena ricorda l’atmosfera che si poteva percepire a Belgrado attorno al 2001, quella di una città ferita, in cui è facile precipitare dalle classi medie intellettuali e impiegatizie alla povertà. Qui non si vedono gli squarci delle bombe nelle case, come si vedevano a Belgrado, ma lo smarrimento è lo stesso. Il degrado si vede ovunque. Non sono stati i missili, ma le misure di austerità, dopo cinque anni, a mettere in ginocchio la città e il paese.
L’ultimo episodio è stato il 18 marzo. Il direttore degli affari economici della UE, Declan Costello, irlandese, ha seccamente bocciato la legge “umanitaria”, che il parlamento greco stava discutendo. Di cosa si tratta? Di una proposte di legge che stanzia 200 milioni a favore delle famiglie che vivono in condizioni di “estrema povertà”, ovvero con redditi pro-capite sotto i cento euro al mese (sotto i 6000 euro annui nel caso di famiglie con più di quattro membri). Il parlamento greco questa volta non si è lasciato intimidire, e la proposta, approvata, è diventata la Legge 4320 del 19 marzo 2015. Al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, la dirigente responsabile della sua attuazione ci spiega i tre assi su cui è articolata:
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aiuto alimentare, per 153.000 persone (attraverso la distribuzione di carte pre-pagate, accettate dai negozianti locali)
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aiuto finanziario per l’affitto, a favore di 30.000 nuclei familiari (con una soglia di 70 euro a persona)
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fornitura gratuita di elettricità per l’abitazione principale, fino a 300 kwh all’anno, con ripristino dei collegamenti interrotti per morosità.
Tutte queste misure “umanitarie” si propongono di alleviare situazioni di estrema povertà e di forte disagio sociale, in un contesto in cui oltre il 30 per cento della popolazione è ormai minacciata dalla povertà. La loro attuazione richiede un grande sforzo organizzativo: si tratta di mettere in rete e di coordinare autorità centrali e locali, insieme a associazioni del volontariato e ONG. Anche con le chiese locali, il governo ha avviato una collaborazione per coordinare le iniziative di lotta alla povertà.
Come vengono finanziati i 200 milioni stanziato dalla Legge 4320 ? Attraverso tagli alle spese di diversi ministeri (ad esempio riducendo il numero dei consiglieri), e attraverso una “donazione” da parte dell’esercito. Si tratta peraltro di una somma relativamente modesta, se confrontata ad altre voci di spesa. E che non accresce l’indebitamento. Tutto a posto ? Allora come spiegare la reazione rabbiosa del direttore Costello, che dall’alto del suo ufficio di Bruxelles (e del suo più che confortevole stipendio) si permette di condannare, in un paese alla periferia dell’Unione, i poveri a dover essere ancora più poveri ? Si tratta purtroppo di una manifestazione estrema di un’ideologia economica, di un dogma cieco, che sta conducendo l’Europa, non solo la Grecia, al declino. Sembrerebbe che a Francoforte e a Bruxelles si sia tornati alle idee di politica economica del 1932, prima di Roosvelt, prima di Keynes: in presenza di recessione e di disoccupazione di massa, oggi come all’inizio degli anni Trenta, si pensa di dover attuare politiche di “austerità”, in primo luogo di riduzione del debito, che hanno un forte impatto restrittivo, e finiscono per peggiorare la situazione economica (si veda l’articolo di Thomas Fazi, “Riforme strutturali: ecco come si uccide un paese”, pubblicato su Sbilanciamoci del 17 marzo 2015). E’ quanto è avvenuto puntualmente in Grecia dal 2010 a oggi: il costo sociale spaventoso dell’austerità non ha migliorato, ma aggravato la situazione macroeconomica e l’indebitamento.
Il premio Nobel Joseph Stiglitz ha recentemente scritto che “la Grecia può salvare l’Europa”, nel senso che il cambiamento politico ad Atene può stimolare l’UE e l’Eurozona a cambiare rotta, e a perseguire politiche economiche più espansive e meno autodistruttive. Non è stato il caso finora: l’estrema durezza negoziale dell’UE nei confronti della Grecia mette a rischio non solo il futuro di quel paese, ma anche il nostro, dell’Italia e dei paesi del Sud Europa. Non è facile discernere quanto di questo accanimento sia dovuto a puro acciecamento ideologico e quanto alla difesa a tutti i costi degli interessi dei creditori. Di certo non si tratta di una politica nell’interesse dei popoli europei, neanche di quelli della Germania o dei paesi del Nord Europa.
Resta la speranza che la ragionevolezza prevalga sui propositi punitivi verso chi, per primo, ha avuto il coraggio di non allinearsi ai dogmi dell’austerità, e che l’Europa, solidale con la Grecia, aiuti finalmente se stessa.