Per il capo economista della Bce Philip Lane le divaricazioni di reddito sono ormai troppo profonde, ma il pericolo maggiore è la spirale inflattiva. E i governi devono “sostenere i redditi di chi soffre di più tassando chi sta meglio”.
Capitale e lavoro. Nascosto sotto le sembianze della contemporaneità l’antico conflitto si ripropone e prende forme sempre diverse. I salari in Europa sono troppo bassi. Lo dicono i sindacati, ma ora lo riconosce anche la Banca Centrale Europea, la Bce. Lo erano prima della pandemia e lo sono diventati ancora di più oggi con i pesanti effetti della crisi da guerra. I costi energetici sono solo una delle voci che stanno creando il panico. I lavoratori di tutti i paesi europei non ce la fanno e la contrattazione per il salario e per migliori condizioni di lavoro stenta a partire, frenata dalla disoccupazione e dalla generale precarizzazione del lavoro. Che fare?
La soluzione più logica sarebbe quella di dare massino spazio alla contrattazione tra aziende e sindacati e di ripensare i sistemi fiscali. Da qui la novità che ci arriva direttamente dalla Bce. La ricetta potrebbe essere quella di tassare i più ricchi per far pesare meno il caro energia sulle fasce più deboli della popolazione. Il suggerimento è arrivato dal capo economista della Bce, Philip Lane, intervistato da Der Standard, quotidiano austriaco nato nel 1988, sul modello del New York Times, schierato nell’area della sinistra liberale (qui la traduzione in inglese sul sito della Bce). “Lo shock energetico che stiamo vivendo – ha dichiarato Lane – è enorme. Sono le persone più povere ad essere maggiormente colpite. Dal punto di vista dell’equità, ma anche da una prospettiva macroeconomica”. “I governi – spiega il capo economista della banca centrale – dovrebbero sostenere il reddito e i consumi delle famiglie e delle imprese che stanno soffrendo di più. La questione principale è se parte di questo sostegno debba essere finanziato da aumenti delle tasse per coloro che stanno meglio. Questo potrebbe assumere la forma di un aumento delle imposte sui redditi più alti o sulle industrie e le imprese che restano altamente redditizie nonostante lo shock energetico. Se si sostiene chi ne ha bisogno attraverso un aumento delle tasse, l’effetto sull’inflazione è minore rispetto all’aumento del deficit”.
Anche Philip Lane ammette che i salari – al palo da troppi anni – dovranno essere in parte adeguati all’inflazione, ma aggiunge che in questa fase sarebbe errato pensare di poter recuperare interamente il potere d’acquisto perso dalle buste paga poiché questo comporterebbe un costo eccessivo per le imprese e quindi l’innescarsi della temuta rincorsa tra prezzi e salari. “I sostegni dei governi a favore dei soggetti più deboli dovrebbero quindi rafforzarsi”, ribadisce. Per il capo economista della Banca centrale i salari potranno quindi essere solo in parte adeguati. Un colpo al cerchio e una alla botte, perché in fondo Lane dice di essere d’accordo con l’accusa rivolta dai sindacati alle aziende secondo cui starebbero alzando i prezzi a prescindere, approfittando dello scenario inflazionistico che rende più giustificabili i rincari. Le aziende, spiega Lane nell’intervista, “non dovrebbero aspettarsi lo stesso livello di redditività di quando l’inflazione era bassa. Mantenere un equilibrio a livello collettivo è importante. Per tornare a un’inflazione più bassa, dobbiamo renderci conto che la redditività delle imprese diminuirà per un po‘ e che nemmeno i salari potranno tenere il passo con l’inflazione”. Della serie: non facciamo torto a nessuno.