Contro la deriva italiana ed europea, ci sono cose concrete da fare subito. Ci prova l’alleanza Change for Europe. Perché non discuterne in un summit “dal basso” a Roma, città simbolo dell’unificazione d’Europa?
Nell’economia finanziaria fortemente interconnessa nella quale viviamo, diventa assai complicato definire i confini tra economia produttiva, finanza e speculazione.
Le agenzie di rating hanno dettato l’agenda politica a Usa e Europa. Lo hanno fatto applicando alle finanze degli Stati parametri e indicatori utilizzati per le finanze aziendali. Lo hanno fatto grazie alle difficoltà di Obama e di una Europa rimasta nel guado della sua integrazione politica.
Contestualmente siamo dentro un ridisegno complessivo dei rapporti della geopolitica e della “geoeconomia” in senso multipolare. Nel 2025 Cina, India, Messico Russia, Brasile e Corea del sud faranno da soli metà della crescita economica mondiale. Nel 2013 il Brasile supererà l’Inghilterra, nel 2019 il Messico farà altrettanto con l’Italia e nel 2050 le sette economie emergenti saranno del 64% più grandi di quelle del G-7.
È imperativo rilanciare il dibattito sulla democrazia europea, una democrazia inclusiva capace però di decidere e di battere sul tempo le cavallette del capitalismo del terzo millennio.
In questo senso è molto importante l’iniziativa di Change for Europe che mette insieme Vendola, Martin Schulz, Jacques Delors, Daniel Cohn-Bendit, Marine Aubry e tanti altri su una piattaforma rosso-verde fondata su una politica fiscale europea comune,.
Senza una assunzione di responsabilità su scala sovranazionale rischiamo di abbaiare alla luna e di ridurre tutto a beghe provinciali fuori contesto. Non sarà sfuggito a nessuno credo che il problema a queste latitudini non è solo Berlusconi. Oggi la credibilità del paese è di fatto garantita dal capo dello stato e dal prossimo presidente della Bce Mario Draghi. Entrambi svolgono, spesso straripando, una funzione che va ben al di là dei compiti assegnati dalla Costituzione e dalla consuetudine.
Il nostro è un paese alla deriva: dati sulla disoccupazione giovanile sono eloquenti così come il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno smesso di studiare, che non seguono corsi e che non cercano lavoro. Il 16% del totale, di gran lunga il più alto tra i paesi occidentali, fa spavento. Così come l’inaccessibilità del credito che consegna i giovani ad una precarietà esistenziale senza via di fuga. In questo quadro, appare difficile immaginare persino l’indignazione come capacità di vertenzialità diffusa di medio periodo.
Per questo dovremmo nei prossimi giorni costruire come campo largo del centro sinistra e forze sociali una piattaforma credibile radicalmente alternativa. Lo sciopero generale della Cgil del 6 settembre è stato il segnale che serviva. Otto ore di sciopero in cento piazze del paese per rappresentare al meglio le mille forme del disagio di chi non può essere spremuto ulteriormente.
Occorrono misure concrete e rapide che si basino su principi di equità e giustizia sociale e che vedano quali obiettivi primari fra gli altri, la lotta all’evasione fiscale basata sulla tracciabilità, la tassazione delle rendite finanziare al 23%, una patrimoniale al 5per1000, 15% sui capitali scudati, l’aumento della tassa di successione, la tassazione sulle emissioni di CO2, ma anche la riduzione della spesa militare (con il ritiro dall’Afghanistan e lo stop al progetto degli F35), il passaggio all’open source nella pubblica amministrazione, la cancellazione delle grandi opere, la valorizzazione dei servizi pubblici locali e del welfare comunale, il reddito minimo e il taglio ai costi della politica (una Camera, meno parlamentari, stipendi drasticamente ribassati). Sul fronte delle entrate, poi, è convincente la contromanovra da 60 miliardi, 30 da destinare al debito e 30 per la ripresa, proposta da Sbilanciamoci. Sono queste alcune delle possibili strade per ricostruire economie sane e sostenibili.
Sarebbe utile organizzare a Roma (città simbolo della unificazione europea) un summit che veda la presenza del campo della sinistra europea (socialisti, comunisti, verdi), dei sindacati, della intellettualità diffusa, di chi si oppone anche nell’accademia al mantra del pareggio di bilancio, dei movimenti della insubordinazione giovanile generalizzata, delle autonomie locali e delle città, vero cuore pulsante dell’Europa dei popoli, per trovare strategie e piattaforme condivise su scala continentale.
Lo spazio per ridare dignità alla sovranità popolare si situa in questo tornante stretto. Tenere insieme la dimensione globale, quella europea e quella nazionale.
Il saccheggio della economia del terzo millennio si vince con idee forti e alleanze sovranazionali, con la mobilitazione e la pratica dell’egemonia culturale. La logica del saccheggio si vince riproponendo la cura di ciò che è comune, contro le solitudini e la disperazione di soggettività che devono ritrovare voce e speranza. Il tempo dell’alternativa è adesso, dobbiamo coltivarlo nelle piazze di casa nostra e in quelle d’Europa preparando un’alternativa di governo che deve e può essere una alternativa di società.