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Alla ricerca della verità nascosta: il Pil di Usa e Cina

Con il summit di Tianjin dei primi di settembre l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai a guida cinese è apparsa come il primo passo di un nuovo ordine mondiale. Ma resta il rebus della valutazione del Pil della Cina e anche di altri Paesi, su cui le stime divergono.

Premessa

Con le sue continue mosse destabilizzanti, Donald Trump sembra alla fine privilegiare, tra i tanti punti di conflitto, quello con la Cina, seguendo in questo, e sviluppando, i lasciti in proposito di Joe Biden e della sua stessa prima presidenza, nonché le mosse di Obama. 

Il punto di partenza delle ostilità può essere fatto risalire al 2015, quando la Cina lanciava la Belt and Road Initiative e contemporaneamente il piano 2015-2025 per l’avanzamento tecnologico del Paese (cf. Jeffrey Sachs). Questi due progetti hanno cominciato ad allarmare seriamente i gruppi dirigenti degli Stati Uniti e l’allora presidente Barack Obama arrivò a lanciare il suo slogan “Pivot to Asia” (peraltro, gli statunitensi impararono presto a sostituire la parola “Asia” nella frase con “Indo-Pacifico”, per sottolineare che l’America c’entrava a pieno titolo con l’intera regione). 

Ora la postura di lotta di Trump appare certamente motivata dal fatto che il Paese asiatico minaccia di raggiungere e anche di superare gli Stati Uniti, quando non lo abbia già fatto, sul fronte commerciale, economico, tecnologico, finanziario, militare – cosa impensabile sino a poco tempo fa in un Paese che si ritiene guidato da Dio, almeno secondo i suoi gruppi dirigenti, ma anche secondo una larga parte dell’opinione pubblica. 

Probabilmente l’ostinazione di Trump appare anche guidata da valutazioni e informazioni a noi non note sui temi citati. In ogni caso il Paese asiatico appare un osso molto duro anche per gli Stati Uniti.

Sul piano economico in particolare normalmente, quando si parla della Cina, si aggiunge di solito l’espressione “la seconda economia del mondo”. Ora, questa definizione, vera o falsa che sia, sembra andar bene ad ambedue i protagonisti presenti sulla scena: agli Stati Uniti, che si sentono così confermati e confortati nel loro supposto primato mondiale, ma anche alla Cina, che tende in generale a mantenere, secondo la tradizione, un profilo basso e preferisce essere ancora considerata un Paese in via di sviluppo, appartenente al Sud del mondo.

La realtà potrebbe essere molto diversa da come viene presentata e, cercando di capire come stanno veramente le cose, si giustifica meglio la rabbia di Trump, che ha presumibilmente a disposizione le cifre reali sui vari fronti, cifre che non devono essere plausibilmente molto lusinghiere per il suo Paese. 

I dati ufficialmente noti

Nessuno, almeno ufficialmente, sa in realtà quanto sia grande il Pil cinese, ma neanche veramente quello statunitense. Si tratta apparentemente di un grande buco informativo, una carenza grave degli istituti di statistica nazionali e internazionali, carenza dovuta plausibilmente, per la gran parte, a ragioni politiche. Del resto c’è anche chi mette in discussione la stessa validità del Pil come strumento di misura.

-Il Pil dei vari paesi a valori nominali

Secondo le previsioni della Banca Mondiale per il 2025 il Pil degli Stati Uniti, a valori nominali o di mercato (che sono poi le cifre che circolano, prese per buone di recente anche da Massimo D’Alema nelle interviste rese dopo il suo viaggio a Pechino per assistere alla parata militare) si collocherebbe alla fine intorno ai 26,9 mila miliardi di dollari (su un totale a livello mondiale di 103 mila miliardi), mentre quello della Cina si fermerebbe a 19,5 mila miliardi, con un valore quindi pari soltanto a circa il 75% di quello statunitense. Si tratterebbe comunque di risultati molto lusinghieri per la Cina se consideriamo che nel 2000 il Pil statunitense era pari ad otto volte quello cinese (cf. Jeffrey Sachs).

Dunque a conti fatti, il prodotto interno lordo del primo Paese al mondo sarebbe pari al 26,1% di quello mondiale, mentre quello del secondo in lista si collocherebbe al 18,9 %. Insieme, le due grandi potenze controllerebbero così il 45% del totale, una percentuale enorme.

Seguirebbero la Germania con 4,9 mila miliardi, il Giappone, con 4,4 mila miliardi, e poi a ruota l’India, con 4,3 miliardi (quindi il Pil cinese sarebbe pari a circa 4,5 volte quello indiano), mentre quello russo si collocherebbe sui 2,2 mila miliardi, collocandosi così solo all’11° posto in classifica, mentre l’Italia si troverebbe all’ottavo. 

Alla fine, si tratterebbe di valori tutto sommato ancora consolanti per gli Stati Uniti e più in generale per i paesi del Nord del mondo.

Anche sulla base di tali cifre molti economisti e giornalisti, soprattutto statunitensi, non mancano di esercitarsi sulla previsione di quando l’economia cinese raggiungerà quella statunitense; diversi tra di loro, considerando anche le presunte difficoltà attuali dell’economia del Paese asiatico (in realtà negli ultimi anni la crescita del Pil cinese si è aggirata intorno al 5,5% annuo, non poco, anche se nel periodo precedente i tassi di sviluppo erano parecchio superiori) hanno concluso di recente, con evidente soddisfazione propria e della stampa anche del nostro Paese, che questo non avverrà forse mai in un prevedibile futuro. Del resto molti di loro prevedono periodicamente l’imminente crisi dell’economia del Paese asiatico. Lo fanno già dai tardi anni Ottanta del Novecento.

-E con il criterio della parità dei poteri di acquisto

Se considerassimo invece sempre le stime della Banca Mondiale, ma utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto, questa volta prendendo a riferimento il 2024, troveremmo delle profonde differenze di scenario ed anche diverse importanti sorprese. Mentre il Pil totale a livello mondiale si collocherebbe al livello di 194,8 migliaia di miliardi, quasi il doppio rispetto a quello nominale (prima sorpresa), questa volta si troverebbe nettamente in testa al gruppo il Pil cinese, con 38,2 mila miliardi di dollari, ciò che lo renderebbe pari al 131,0% di quello Usa, stimato quest’ultimo in 29,2 mila miliardi di dollari, (seconda sorpresa). Il Pil cinese questa volta sarebbe pari al 19,6% di quello mondiale, mentre quello Usa si collocherebbe al 15,0% del totale. Questa volta il Pil congiunto delle due maggiori economie mondiali sarebbe pari in totale al 34,6% di quello mondiale, molto meno del dato ottenuto con il precedente criterio di valutazione. Bisogna poi considerare che nel 2025 la Cina dovrebbe guadagnare ancora qualche punto di vantaggio, collocandosi al 134-35% di quello Usa. 

Seguirebbe l’India con 16,2 mila miliardi (questa volta il pil cinese sarebbe pari “solo” a 2,4 volte rispetto a quello indiano (terza sorpresa). E l’economista statunitense Jeffrey Sachs avanza la previsione che il Pil indiano dovrebbe superare quello degli Stati Uniti entro 10-15 anni. Sempre seguendo le valutazioni della Banca Mondiale troveremmo poi sorprendentemente al quarto posto, seppure a rilevante distanza (quarta sorpresa), la Russia con 6,9 mila miliardi (quasi nessuno lo avrebbe immaginato; le sanzioni occidentali hanno evidentemente funzionato da importante corroborante per l’economia della federazione) e poi il Giappone a 6,4 mila miliardi, che supererebbe così la Germania, collocata al sesto posto. L’Italia questa volta si troverebbe in tredicesima posizione, con tendenza ad un’ulteriore discesa rispetto ai Paesi del Sud del mondo che incalzano. Ma questa non appare una sorpresa.

Si potrebbe aggiungere per sovrammercato che, sempre considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale stimano che il Pil complessivo dei Paesi del Sud del Mondo si aggirerebbe ormai intorno al 60% del totale mondiale, percentuale con tendenza alla crescita, surclassando quello dei Paesi ricchi. Analogamente, cioè utilizzando lo stesso criterio di misura, si potrebbe evincere che il Pil dei primi sette Paesi del Sud del mondo sia ormai nettamente superiore a quello dei Paesi del G-7, organizzazione che comprende quelli che una volta erano i Paesi più ricchi del mondo e che oggi tendono a costituire soltanto una specie di fortino del mondo occidentale, quasi un circolo di pensionati sia pure ancora benestanti che scrutano l’orizzonte con preoccupazione per individuare l’eventuale arrivo dei barbari. Al contrario della Fortezza Bastiano, però, i barbari sono veramente alle porte e nei giorni dell’ultimo incontro dello Sco (acronimo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, fondata nel 2001) a Tianjin hanno cominciato a bussare.

Quindi, sulla base dei dati citati, si affermerebbe in modo abbastanza netto il sorpasso economico della Cina sull’agguerrito rivale. La realtà potrebbe essere anche molto più favorevole al Paese asiatico di quanto appaia ufficialmente e la Banca Mondiale e il Fondo Monetario internazionale, per la scarsa collaborazione del paese asiatico a sottovalutare la distanza reale che ormai si registra tra le due economie.

Qualche dubbio

Ci sono diversi indicatori che tendono a confermare lo scenario fin qui delineato.

Un punto riguarda le metodologie usate dai cinesi per calcolare il valore dei servizi nel Pil. Al momento della presa del potere di Mao nel 1949, gli statistici del Paese, nell’organizzare i servizi di contabilità, fecero riferimento al sistema utilizzato dall’Unione Sovietica; ma quest’ultimo paese, nel calcolo del Pil, non prendeva in considerazione il settore dei servizi, considerato improduttivo. Poi i cinesi hanno corretto la rotta, ma solo parzialmente; così ancora oggi non tutti i servizi, dalla sanità all’educazione, vengono inseriti nel calcolo (Han Feizi, 2025). Si può a questo proposito immaginare che lo facciano di proposito, per nascondere ufficialmente la loro forza economica. Inoltre i calcoli della Banca Mondiale sul Pil cinese sono basati su dati raccolti in loco solo a partire dal 2021 (Han Feizi, 2025).

Per altro verso, nella valutazione del Pil statunitense, sempre per quanto riguarda alcuni servizi, quali quelli della sanità e dell’istruzione, viene utilizzato un deflattore più basso di quello reale, per cui il valore di alcune attività appare notevolmente sopravalutato. Sempre nel calcolo del Pil statunitense sono poi compresi i rendimenti teorici in termini di affitto delle case in proprietà dei cittadini Usa, non inseriti invece nel calcolo del Pil cinese come in quello della gran parte dei Paesi del mondo. E si potrebbe continuare a elencare altre incongruenze.

-Con un metodo indiretto

Guardando al mondo dei beni e servizi reali, troviamo cifre che lasciano intravedere di nuovo una realtà molto più favorevole alla Cina.

In alcuni settori tradizionali come l’acciaio o il cemento, la produzione cinese è pari a più del 50% di quello mondiale, mentre quella Usa è pari sì e no ad un decimo. Venendo a settori più avanzati, nel campo delle energie rinnovabili la produzione cinese è un multiplo di quella Usa, mentre di nuovo in quello della robotica il mercato cinese è pari di nuovo alla metà di quello mondiale. Per quanto riguarda la produzione di auto nel 2024 siamo a 30, 2 milioni di unità per il paese asiatico contro i 10,6 milioni degli Usa. Sempre nel 2024 la Cina ha prodotto il doppio di elettricità del Paese rivale. Il Paese asiatico consuma poi sempre il doppio della carne degli Usa, e anche nelle produzioni del lusso siamo a due a uno. Infine per quanto riguarda i cantieri navali, la Cina è a più del 50% della produzione mondiale contro quasi nulla negli Usa (Han Feizi, 2025).

Conclusioni

Alla fine si può persino pensare che il Pil cinese possa collocarsi relativamente vicino ad un livello pari al doppio di quello degli Stati Uniti (Han Feizi, 2025) e quello totale dei Paesi del Sud del mondo ad un livello vicino ai due terzi del totale. E se consideriamo anche che dai più recenti studi indipendenti in tema di tecnologie emerge di nuovo una realtà sempre più favorevole alla Cina, Donald Trump ha certo motivo di preoccuparsi, anche se non sembra in grado di fare molto per raddrizzare la barra.

Ci vorrebbero studi approfonditi in materia, che peraltro nessuno sembra voler avviare.

Incidentalmente, la scelta di Bruxelles di aggrapparsi a tutti i costi agli Stati Uniti e di continuare ad ostacolare in tutti i modi le esportazioni cinesi, appare, anche alla luce delle cifre sopra indicate, profondamente sbagliata.

Ricordiamo che l’indicatore del Pil come misura del benessere di un Paese è stato contestato da molto tempo e da molti studiosi. Non rifletterebbe cose come la distribuzione del reddito, la sostenibilità ambientale, la qualità della vita, il lavoro non retribuito e così via. Sul tema si veda ad esempio le elaborazioni di Sbilanciamoci e, tra gli altri, un testo pubblicato da Pandora Rivista (Scarpelli, 2024). 

C’è inoltre chi contesta la validità del Pil sul piano puramente economico. Così Emmanuel Todd (Todd, 2024) parte dall’analisi delle spese militari di Stati Uniti, Cina, Russia. Nel primo caso esse si aggirano ormai intorno ai 1.000 miliardi di dollari, in quello cinese in qualche centinaio di miliardi, mentre in quello russo siamo intorno ad un decimo di quelle statunitensi. Ora, afferma l’autore, durante la guerra in Ucraina, la Russia ha dimostrato di riuscire a produrre molti armamenti ad un livello tecnologico pari se non superiore agli Stati Uniti, mentre la Cina sta costruendo una flotta più grande di quella statunitense. Secondo le sue conclusioni è che diventa chiaro che il Pil è superato e più in generale si svela il carattere inaccettabile dell’economia politica neoliberista, sempre più lontana dalla realtà.

Testi citati nell’articolo

– Han Feizi, What’s the real size of China’s economy?, www.asiatimes.com, 17 giugno 2025

– Scarpelli G., L’idolo bugiardo, Pandora Rivista, 16 gennaio 2024

– Todd E, La défaite de l’Occident, Gallimard, Parigi, 2024, trad.it La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore, Roma, 2024