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A quanto ammonta veramente il pil cinese?

Nel 2012 il prodotto interno cinese potrebbe superare quello degli Stati uniti. Alcuni calcoli sensati a sostegno di un’ipotesi solo apparentemente clamorosa

“… osservare la situazione con calma; consolidare le nostre posizioni; trattare le questioni sul tappeto in maniera tranquilla; nascondere le nostre capacità e aspettare che venga il nostro tempo; essere capaci di mantenere un profilo basso, non cercare mai di reclamare un ruolo di guida…” (Deng Xiaoping)

Negli scorsi mesi i principali media dei vari paesi hanno dato molto risalto alla notizia secondo la quale il pil cinese dovrebbe superare quest’anno quello del Giappone, collocando così il grande paese emergente al secondo posto nella classifica mondiale delle potenze economiche, dopo gli Stati Uniti.

Per alcuni aspetti si tratta peraltro di una non- notizia, perché il calcolo del pil per i due paesi, nelle valutazioni sopra citate, è fatto utilizzando il criterio dei prezzi di mercato; pochi media hanno invece ricordato come, in realtà, usando il più corretto metodo della parità dei poteri di acquisto, la Cina abbia superato il pil del Giappone già circa una decina di anni fa.

Ma l’informazione, per quanto incompleta, ci porta a riflettere meglio sull’attuale peso relativo dell’economia cinese rispetto a quella statunitense, con gli inevitabili riflessi che il risultato di tale misura si può portare inevitabilmente dietro rispetto alla situazione e alle prospettive economiche e politiche del mondo.

Tale riflessione viene stimolata, più di recente, dalla pubblicazione, a cura dello statunitense Conference Board (The Conference Board, 2010), di uno studio, citato con un certo dettaglio dal Wall Street Journal (Di Leo, 2010), in cui si fa l’ipotesi che il pil cinese, utilizzando come misura dell’output il criterio della parità dei poteri di acquisto, possa superare quello statunitense già nel 2012 e come esso nel 2020 potrebbe superare quello del paese rivale di circa il 60%.

Dal momento che tali conclusioni, che possono apparire sorprendenti, coincidono abbastanza, anche se non esattamente, con alcune mie valutazioni in merito, valutazioni che avevo peraltro evitato di pubblicare perché mi sembravano troppo stravaganti rispetto a quelle che circolavano correntemente, a questo punto riporto di seguito i miei appunti.

Parto dalla considerazione che gli organi di informazione hanno ricordato come il pil cinese – che dovrebbe crescere quest’anno intorno al 10%- dovrebbe raggiungere nel 2010, utilizzando per il calcolo il criterio tradizionale dei prezzi di mercato, all’incirca i 5.500 miliardi di dollari, ciò che rappresenterebbe, di fronte ad un’economia statunitense il cui corrispondente valore del pil dovrebbe quest’anno collocarsi intorno ai 14.800 miliardi, una percentuale di circa il 37% “soltanto”. Incidentalmente, ricordiamo che le stime più accreditate danno il pil cinese in crescita ancora almeno del 9,5% nel 2011, mentre per quello statunitense si avanza la corrispondente cifra dell’1,5-1,6%.

Ma bisogna poi aggiungere al calcolo, cosa che fanno in pochi, anche il peso dell’economia sommersa, che, nel caso cinese, secondo i calcoli del National Economic Research Institute, un ente non governativo dello stesso paese, sarebbe molto rilevante, come è del resto comune sensazione tra gli addetti ai lavori; essa ammonterebbe a circa 1500 miliardi di dollari (Lex, 2010), ciò che rappresenterebbe una percentuale di circa il 27% rispetto a quella ufficiale. Il pil cinese, così ricalcolato, raggiungerebbe allora i 7000 miliardi di dollari, un valore che sarebbe a questo punto pari a circa il 47% di quello Usa.

Evitiamo di aggiungere ancora qualcosa al valore delle cifre cinesi in relazione al fatto che, secondo molti, nei calcoli del governo la stima quantitativa per il settore dei servizi appare per alcuni aspetti sottovalutata; tale potenziale aggiunta potrebbe, grosso modo, essere bilanciata dal peso del settore dell’economia sommersa sul pil statunitense, peso in genere stimato come relativamente poco significativo.

Ma si pone la questione relativa al calcolo del pil utilizzando, invece del criterio dei prezzi di mercato, quello, già citato, della parità dei poteri di acquisto. Si tratta di una valutazione molto delicata da effettuare, soggetta come è a molte incertezze anche metodologiche.

Ricordiamo a questo proposito, ad esempio, come la Banca Mondiale, alcuni anni fa, abbia ad un certo punto clamorosamente rettificato del 40% -in senso negativo- delle precedenti stime che essa aveva fatto con lo stesso criterio relativamente al peso dell’economia cinese e di quella indiana.

Sulla complessità e sulle differenze tra di loro delle varie metodologie disponibili in proposito si veda sempre la ricerca del “Conference Board” (The Conference Board, 2010). Lo studio ricorda i differenti criteri utilizzati dall’Ocse, dal Fmi, dalla Banca mondiale, da A. Maddison e da altri studiosi, nonché quello impiegato dallo stesso Conference Board. Il metodo scelto da quest’ultimo organismo fornisce comunque dei valori un po’ superiori a quelli della Banca mondiale e del Fmi.

Nelle mie stime, abbastanza grossolane, faccio riferimento semplicemente a dei possibili coefficienti di conversione da utilizzare per passare, nel caso specifico cinese, dal pil a prezzi di mercato a quello calcolato con il criterio della parità dei poteri di acquisto.

Fatto 100 il valore del pil con il metodo dei prezzi di mercato, il problema fondamentale fa riferimento a questo punto a quale coefficiente di variazione utilizzare.

Se si impiegasse il criterio molto grossolano cosiddetto del “Big Mac”, che prende in considerazione il prezzo relativo del grande panino di Mc Donald’s nei vari paesi del mondo, bisognerebbe ricordare che in questo momento la cifra corrispondente è a Pechino pari a 1,95 dollari, contro i 3,90 dollari a New York; allora il coefficiente da utilizzare sarebbe di 2 volte e il pil cinese risulterebbe uguale a circa 14.000 miliardi di dollari, valore non molto discosto già oggi da quello statunitense. Presumibilmente, allora, nel 2011 l’economia cinese si collocherebbe al primo posto.

Se volessimo essere più cauti, potremmo utilizzare un coefficiente più ridotto, preso del resto in considerazione da alcuni studiosi e che si colloca al livello di 1,8. In questo secondo caso la stima del pil cinese risulterebbe pari nel 2010 a 12.600 miliardi di dollari, valore che equivarrebbe all’85% di quello Usa e in questa seconda ipotesi si può presumere, salvo qualche clamorosa e imprevedibile novità, che il pil cinese arrivi a superare quello statunitense “soltanto” verso il 2014.

Supponendo, ciò che non è peraltro del tutto scontato, che il coefficiente meno elevato utilizzato in questo secondo caso sia almeno relativamente realistico, ci troveremmo di fronte comunque ad una novità abbastanza clamorosa, destinata probabilmente a cambiare in maniera rilevante le prospettive del nostro pianeta. Va sottolineato, tra l’altro, che le previsioni attuali più correnti su quando l’economia cinese potrebbe superare quella statunitense, prima di quelle fatte ora dal “Conference Board”, facevano riferimento ad una data compresa tra il 2025 e il 2030, legando comunque, indirettamente, tale possibile risultato anche ad una serie di incertezze rilevanti su quello che potrebbe succedere da oggi sino a un tempo relativamente così distante.

Naturalmente, non si può evitare di sottolineare come, se anche la Cina raggiungesse gli Stati Uniti entro pochissimo tempo a livello di dati quantitativi complessivi, permarrebbero ancora per il paese importanti problemi.

Se intanto il paese asiatico sta attivando rapidamente al primato come pil complessivo, esso appare ben lontano dall’ottenerlo invece per quanto riguarda quello pro-capite; peraltro, le cifre sopra indicate mostrano che quello degli Stati Uniti, secondo il criterio della parità dei poteri di acquisto, è ormai pari a 4-5 volte quello cinese e non a 13-15 volte, come si suggeriva sino ad oggi.

Per altro verso, si può certo ricordare che al livello del profilo qualitativo dei rispettivi sistemi economici, quello cinese appare certamente meno sofisticato di quello statunitense, presentando in particolare un’impronta tecnologica media certamente e notevolmente inferiore; va, d’altro canto, a questo proposito, ricordato che alcuni autorevoli studi, sulla base delle tendenze recenti, valutano che la Cina potrebbe diventare il primo produttore di sapere scientifico del mondo entro il 2020 (Cookson, 2010). E’ comunque di poche settimane fa l’annuncio della messa in funzione nel paese asiatico del calcolatore più grande del mondo.

Infine, non bisogna certamente dimenticare i grandi problemi dell’economia e della società di quel paese e che vanno dalla grande diseguaglianza nella distribuzione del reddito – simile, per altro verso e per molti aspetti, a quella statunitense; il coefficiente di Gini è ormai sostanzialmente identico per i due paesi- , al grande livello di inquinamento del territorio, alle vistose crepe nel suo sistema di welfare, sino agli squilibri che uno sviluppo fortemente centrato sulle esportazioni comporta sull’economia mondiale.

Alla fine, resta comunque la sensazione che si vada assistendo già in questi anni ad una svolta fondamentale, svolta che le istituzioni ed i governi occidentali tendono ad affrontare, quando provano a farlo, in maniera del tutto inadeguata a livello economico, sociale, politico.

Testi citati nell’articolo

– Cookson C., China leads world in growth of scientific research, The Financial Times, 26 gennaio 2010

– Di Leo L., China could surpass U.S. in 2012, www.wsj.com, 11 novembre 2010

– Lex, China’s grey economy, www.ft.com, 19 agosto 2010

– The Conference Board, Global Economic Outlook 2011, New York, 2010; i risultati sintetici dello studio si trovano all’indirizzo www.conference-board.org/data/globaloutlook.cfm

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