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A Bruxelles per la giusta transizione dell’automotive

L’Alleanza Clima Lavoro in delegazione nella capitale belga per incontrare Commissione ed europarlamentari italiani. Serve una forte regia europea, con politiche e risorse coordinate, per fermare la crisi dell’industria auto e per governare una giusta transizione verso la mobilità elettrica e sostenibile.

Le dimissioni dell’Amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares, improvvise ma non inattese alla luce delle disastrose performance del gruppo ex Fiat, e l’avvio di una stagione di durissima mobilitazione sindacale con l’indizione di scioperi a tappeto e a oltranza negli stabilimenti Volkswagen in Germania, sono solo gli ultimi accadimenti di una vicenda – quella della crisi dell’automotive in tutta Europa – che assume contorni sempre più drammatici. E che rischia di travolgere lavoratori, imprese e territori in un settore chiave che vale l’8% del PIL europeo e dà lavoro, direttamente o indirettamente, a 14 milioni di persone.

Non solo: il destino dell’auto appare legato a doppio filo a quello degli obiettivi del Green Deal europeo. Per contribuire alla neutralità climatica entro il 2050, il settore trasporti dovrà infatti ridurre del 90% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Nel nostro continente – occorre ricordare – i trasporti sono responsabili di oltre un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e di oltre il 30% delle emissioni di CO2. E più del 90% delle emissioni totali è causato dal trasporto su strada. È per questa ragione che la decarbonizzazione del settore non può che essere al centro del percorso della (e della contesa sulla) transizione ecologica.

Il 2035, in particolare, rappresenta uno snodo cruciale in questa partita. La modifica del Regolamento UE 2019/631, partorita ad aprile 2023 con la conclusione del Trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commissione europea e la pubblicazione del Regolamento 2023/851, stabilisce che a partire da quella data non si potranno più produrre mercato veicoli alimentati a benzina e diesel. Eppure oggi questa scadenza è apertamente messa in discussione da molti Governi – a cominciare da quello italiano – e formazioni politiche, da ultimo il Partito Popolare Europeo (PPE), prima forza all’Europarlamento. Sulla base di queste pressioni, la Presidente della Commissione UE, Ursula Von der Leyen, sembra aver aperto alla possibilità di un rilassamento della normativa.

In una fase così critica, dopo la pubblicazione a giugno scorso della lettera-appello rivolta ai canditati italiani alle elezioni europee e a ridosso dell’insediamento della nuova Commissione guidata da von der Leyen con il suo secondo mandato, l’Alleanza Clima Lavoro si è recata in delegazione a Bruxelles per sostenere le ragioni di una giusta transizione e per avanzare le sue proposte sull’automotive e la transizione dei trasporti di fronte ai rappresentanti della Direzione Generale per l’Ambiente della Commissione europea e agli europarlamentari italiani di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Verdi e Sinistra Italiana e PPE.

Non un passo indietro sulla transizione

La delegazione dell’Alleanza Clima Lavoro, formata dai rappresentanti di Sbilanciamoci!, CGIL Piemonte, Motus-E, Transport&Environment e Legambiente, ha innanzitutto criticato il modo strumentale e pretestuoso con cui le colpe della crisi dell’auto – una crisi industriale e occupazionale che perdura da vent’anni e che ha caratteri strutturali – vengono fatte ricadere sul Green Deal e la nuova motorizzazione elettrica, giustificando agli occhi dell’opinione pubblica i tentativi di “sabotaggio” dei regolamenti comunitari e delle tappe prefissate per conseguire il traguardo delle emissioni zero nel campo dei trasporti.

Al tempo stesso, l’Alleanza Clima Lavoro ha rimarcato la gravità della situazione a livello industriale e occupazionale, esprimendo la necessità di mettere subito in campo azioni e risorse per sostenere senza esitazioni il percorso di una giusta transizione verso la nuova mobilità elettrica e sostenibile che sia fondato sui due pilastri della decarbonizzazione e dell’abbattimento dell’inquinamento, da un lato, e dalla tutela del lavoro e del futuro degli stabilimenti e dell’intera filiera produttiva, componentistica compresa, dall’altro.

Tutto questo è possibile: la transizione è in grado di creare buona occupazione e coniugare le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente non è un libro dei sogni. Al contrario, è miope e controproducente accumulare ulteriori ritardi o – peggio – tornare sui propri passi rispetto agli obiettivi del Green Deal e al processo di transizione ecologica. Questo processo deve però essere governato e coordinato – proprio a partire dal livello comunitario – sulla base di un indirizzo organico, raccordando, armonizzando e finanziando adeguatamente piani, strumenti e risorse. In tal senso, nel corso degli incontri che si sono susseguiti a Bruxelles con gli interlocutori politici e istituzionali europei, l’Alleanza Clima Lavoro ha identificato e condiviso una serie di temi e priorità:

  • Un piano industriale verde per la transizione dell’automotive in Europa che – nel tenere ferme la scadenza del 2035 e la neutralità climatica al 2050 – convogli fondi pubblici (anche con l’attivazione di strumenti di debito comune europeo) e privati e garantisca l’allocazione di risorse, lo sviluppo di infrastrutture e tecnologie per l’elettrificazione e l’implementazione di programmi di formazione, accompagnando le imprese e i lavoratori nella riconversione alla nuova mobilità elettrica. In questo quadro, non è ammissibile una revisione dei regolamenti comunitari sulle emissioni inquinanti nei trasporti che preveda l’apertura, in nome della neutralità tecnologica, ai biocarburanti e ai carburanti sintetici. Per quanto riguarda il nostro Paese, nell’ambito del piano industriale verde, da un lato occorre allineare gli investimenti pubblici per la transizione elettrica con quelli privati (il 90% del totale) e dall’altro è necessario assicurare un uso più efficace dei fondi europei: ad esempio, sono state spese finora meno del 30% delle risorse del PNRR destinate alle infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici.
  • Un piano europeo di ammortizzatori sociali, cruciale per dare certezze e sostenere i lavoratori dell’intera filiera dell’automotive colpiti dalle crisi industriali e dalla cassa integrazione e per promuovere il loro aggiornamento e/o la loro riqualificazione professionale. In questo quadro, il tema del miglioramento delle competenze per la transizione verde assume un ruolo di primo piano, anche e soprattutto per il settore auto: l’Europa deve identificare le skills necessarie per il futuro e implementare – a partire da una migliore dotazione e utilizzo del Just Transition Fund – programmi educativi e di reskilling che coinvolgano lavoratori e nuove generazioni.
  • Investimenti su batterie, materiali critici e riciclo: la crisi di Northvolt e il blocco del progetto di gigafactory a Termoli sono due esempi recenti che stanno a richiamare l’urgenza da parte dell’Europa e dell’Italia di recuperare terreno quanto prima sul fronte della produzione di batterie elettriche, dell’approvvigionamento e il trattamento dei materiali critici e dello sviluppo – quanto mai cruciale e strategico in una chiave di competitività – di una filiera del riciclo. A tal proposito, occorre migliorare da subito l’operatività dello EU Battery Fund e la regolamentazione e il calcolo del Battery carbon footprint, che penalizza le batterie prodotte in Europa, con una migliore impronta di carbonio e dunque meno inquinanti, rispetto a quelle prodotte in Cina.
  • Sostegno alle flotte aziendali e leasing sociale: in Italia oltre il 40% delle auto nuove nel 2023 sono state immatricolate dalle aziende (in Europa si arriva al 60%). Le auto aziendali rappresentano un potenziale volano per la transizione green dell’automotive e per la decarbonizzazione dei trasporti. Questo canale rappresenta la netta maggioranza delle vendite per cinque delle principali case auto europee (Volvo, Volkswagen, BMW, Stellantis e Mercedes). Occorrono pertanto politiche fiscali mirate per incentivare la sostituzione di veicoli aziendali con modelli elettrici, ciò che garantirebbe in tempi rapidi lo sviluppo di un mercato dell’usato accessibile per le persone meno abbienti. Al contempo, il varo di programmi di leasing sociale per le utilitarie elettriche, sul modello della sperimentazione francese, imprimerebbe un importante slancio alla produzione di vetture a zero emissioni collocate nei segmenti A e B, a beneficio delle classi più basse di reddito.
  • Una gestione oculata dei dazi europei sulle auto elettriche cinesi: questa misura recentemente stabilita dalla UE deve essere gestita con accortezza e lungimiranza, anche nell’ottica di tenere aperta la strada del negoziato con Pechino. Da un lato, i dazi possono servire a proteggere – seppur momentaneamente – il mercato europeo della produzione auto a zero emissioni di fronte alla pervasiva penetrazione di veicoli made in China, dall’altro lato, non si può pensare che essa risolva automaticamente e in un sol colpo il problema del grave ritardo industriale e competitivo dell’Europa rispetto al gigante asiatico. Peraltro la misura può innescare – come sta sta già accadendo – dinamiche di ritorsione commerciale e tensioni geopolitiche che rischiano di danneggiare l’Unione europea per prima: ad esempio, la Cina ha già dato indicazione di non produrre più auto nei Paesi UE che hanno votato a favore dei dazi.

L’aria che tira a Bruxelles

Di fronte agli argomenti e alle proposte avanzate dalla delegazione dell’Alleanza Clima Lavoro, Veronica Manfredi (Direttrice Generale della DG Ambiente della Commissione europea per Zero Pollution & Green Cities) ed Edoardo Turano (Capo Unità della DG Azione per il clima della Commissione europea per Carbon Markets & Clean Mobility) hanno ribadito l’impegno della Commissione europea a mantenere saldo il phase out dei motori endotermici al 2035.

I due rappresentanti della Commissione hanno sottolineato la necessità di lavorare a livello comunitario su piani integrati e trasversali, preannunciando la formulazione entro i primi 100 giorni dall’insediamento della nuova Commissione von der Leyen del Clean Industrial Deal, dell’Electric Industry Plan e dell’Automotive Industry Plan. Manfredi e Turano hanno anche evidenziato la necessità di implementare a livello europeo, coinvolgendo le parti sociali e industriali, un piano di formazione e riqualificazione degli occupati del settore automotive. Infine, l’Alleanza Clima Lavoro è stata invitata a inviare contributi e proposte per il miglioramento del regolamento europeo sulle batterie e l’efficienza delle filiere produttive.

Il Vicepresidente del Gruppo del Partito Popolare Europeo, Massimiliano Salini, ha affermato che il PPE è favorevole a una revisione delle sanzioni UE previste per il 2025 e destinate alle aziende automobilistiche dimostratesi incapaci di ridurre le emissioni medie di anidride carbonica, invitando a riflettere sul loro impatto sociale ed economico in un settore già in crisi. In tal senso, Salini ha ipotizzato uno slittamento delle penalties (circa 15 miliardi di euro) per evitare ripercussioni immediate sulle filiere europee. Infine, l’eurodeputato PPE ha espresso l’esigenza di perseguire la strada della neutralità tecnologica, attraverso la formulazione di un piano industriale europeo che guardi oltre l’elettrico.

La delegazione di Alleanza Verdi e Sinistra, composta da Benedetta Scuderi (eurodeputata del Gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea) e Giorgio Marasà (Responsabile esteri per Sinistra italiana), ha espresso compattezza e determinazione nel difendere gli obiettivi climatici per il 2035 e nel ribadire l’urgenza di un piano industriale europeo attento alla transizione ecologica. Rispetto ai dazi sulle auto elettriche cinesi, Scuderi e Marasà hanno rimarcato la natura provvisoria della normativa, che non deve essere interpretata come soluzione di lungo periodo per la crisi del settore automobilistico europeo, né tantomeno come alternativa a una vera e ambiziosa politica industriale comunitaria. Infine, facendo riferimento ai fondi per la transizione, i due interlocutori hanno accennato al possibile allentamento della normativa europea sugli aiuti di Stato (State aids), esprimendo però preoccupazione per l’inconsistenza di condizionalità sociali e ambientali connesse alla loro concessione e alla disparità delle risorse che gli Stati membri sono in grado di mettere in campo, con il rischio di far aumentare le disuguaglianze nell’Unione europea.

Per il Partito Democratico (PD) erano presenti all’incontro con l’Alleanza Clima Lavoro gli eurodeputati Marco Tarquinio, Nicola Zingaretti, Annalisa Corrado, Giorgio Gori, Antonio Decaro, Matteo Ricci, Alessandra Moretti e Giuseppe Lupo. Gli eurodeputati PD si sono detti favorevoli all’apertura di un tavolo sulla revisione delle sanzioni – previste per il 2025 – per le case automobilistiche inadempienti sulle emissioni inquinanti, evidenziandone il potenziale risvolto occupazionale negativo. Tutto ciò a maggior ragione in Italia, in un contesto segnato dalla riduzione della produzione dettata dalla competizione internazionale e dal taglio di 4,6 miliardi al Fondo Automotive inserito in Legge di Bilancio dal Governo. Infine, la delegazione PD ha evidenziato la necessità di varare un Automotive Action Plan coordinato a livello europeo.

La delegazione del Movimento 5 Stelle (M5S), composta dai tre eurodeputati Pasquale Tridico, Dario Tamburrano e Gaetano Pedullà e dalla deputata italiana Vittoria Baldino, si è dimostrata concorde nel proporre un Fondo per l’automotive europeo basato su tre pilastri: sostegno al lavoro, con l’implementazione di ammortizzatori sociali temporanei con l’obiettivo del reintegro; sostegno alla domanda, attraverso misure specifiche a favore delle fasce meno abbienti; accesso alle materie prime e riduzione dei costi di produzione, attraverso agevolazioni fiscali come il credito d’imposta, imponendo al contempo stringenti condizionalità sociali e ambientali. Per quanto riguarda la revisione delle sanzioni alle case automobilistiche, il Movimento 5 Stelle ha espresso il proprio consenso, ponendo però il 2026 come limite allo slittamento della normativa. 

Una bussola per un futuro incerto

Dalle interlocuzioni dell’Alleanza Clima Lavoro a Bruxelles emerge un quadro complesso e turbolento. Alla luce dei nuovi equilibri in Commissione e in Parlamento dopo le elezioni di giugno scorso si stanno moltiplicando le voci e le pressioni – come quelle recenti del PPE – affinché vengano rinviate e/o allentate le normative che regolano le emissioni inquinanti nei trasporti, con il rischio di far deragliare il processo di transizione verso la mobilità elettrica e sostenibile. Non è da escludere che a breve queste posizioni si affermino portando alla revisione in chiave peggiorativa dei regolamenti comunitari.

Si tratta tuttavia di una prospettiva pericolosa e perdente, destinata a creare ulteriori ritardi, frammentazione e confusione sugli indirizzi di politica industriale nell’Unione europea e a disperdere risorse e investimenti. Tutto questo compromettendo il conseguimento degli obiettivi di neutralità climatica e senza assicurare alcun vantaggio strategico e competitivo all’Europa: fare del nostro continente l’ultimo hub dell’endotermico non servirà a risolvere i suoi problemi industriali e occupazionali, né tantomeno aiuterà l’ambiente e la lotta al cambiamento climatico.

In questo quadro è necessario non frenare o ritardare, ma al contrario accelerare, il passaggio all’elettrico. Ed è necessario farlo mettendo in campo programmi e interventi coordinati e organici – con una forte regia europea e un ingente finanziamento – che affrontino il nodo della competitività e del ritardo della UE rispetto a Cina e Stati Uniti e che, al contempo, tutelino e sostengano i lavoratori e le imprese dell’automotive a rischio, avendo come bussola la giusta transizione per una mobilità che non lasci indietro nessuno. Su questo vi sono, o possono essere esperiti, spazi di agibilità politica per costruire ponti e alleanze e rinsaldare un fronte unito – in Italia e in Europa – contro ogni ipotesi revisionista, riduzionista o peggio ancora clima-negazionista sulla transizione e i suoi obiettivi ambientali e sociali.