La crescita delle disuguaglianze di mercato è stata un tratto comune a tutti i gruppi di paesi della UE-15 dopo la crisi. E il welfare ha dimostrato il suo ruolo cruciale nell’arginare la caduta
In questo articolo, facendo uso dei dati raccolti nell’indagine campionaria EU-SILC, mostriamo alcuni dati sull’evoluzione della disuguaglianza dei redditi in Europa nel quadriennio 2008-2011, ovvero nel periodo immediatamente seguente l’esplosione della crisi economico-finanziaria. I dati sono presentati distinguendo i paesi della UE-15 in base all’area geografica di appartenenza che, come messo in luce dalla letteratura di social policy, è utile anche a definire gruppi di paesi che si differenziano per tipo di sistema di welfare. Distinguiamo, quindi, quattro gruppi di paesi: Nordici, Anglosassoni, Continentali (l’Europa centrale) e Meridionali.
Prima di mostrare i risultati delle nostre elaborazioni, per meglio interpretare le possibili cause delle differenze fra paesi bisogna sottolineare che le disuguaglianze economiche derivano da processi complessi, che possono essere osservati da prospettive diverse e nei quali operano, spesso in interazione tra loro, molteplici fattori. La letteratura suggerisce che il benessere economico individuale vada valutato guardando al reddito disponibile equivalente, ovvero alla somma di tutti i redditi di mercato, quale che ne sia la fonte (lavoro dipendente e autonomo, capitale, rendita), percepiti dai membri di un nucleo familiare, al netto delle imposte e al lordo dei trasferimenti, resi equivalenti tenendo conto, mediante le apposite scale, della diversa dimensione dei nuclei familiari. Ma i redditi disponibili, e la disuguaglianza di questi, originano da un processo di formazione dei redditi – e, quindi, delle disuguaglianze – che si compone di almeno di tre stadi: nel primo – relativo alle retribuzioni individuali – gli individui offrono lavoro e dal contratto che ottengono dipendono salario, durata dell’impiego e frequenza dei periodi di disoccupazione; nel secondo – relativo ai redditi equivalenti di mercato – gli individui si compongono in nuclei familiari il cui reddito complessivo dipende non soltanto dai redditi di lavoro dei suoi componenti (e quindi, in modo cruciale, dal numero di percettori di salari), ma anche da altri eventuali redditi di mercato, da capitale o rendita. Nell’ultimo stadio si assiste all’intervento redistributivo dello Stato, che si concreta attraverso imposte e trasferimenti, dando così origine ai redditi disponibili.
Per meglio evidenziare quanto della disuguaglianza sia legata a processi di mercato o all’azione redistributiva pubblica, di seguito valutiamo come sia variata nel corso del periodo 2008-2011 la disuguaglianza (misurata attraverso il coefficiente di Gini, che vale 0 nel caso di perfetta equidistribuzione e 1 nel caso di massima concentrazione) guardando a 3 concetti di reddito (calcolati a livello familiare e resi equivalenti per comparare individui appartenenti a famiglie di diversa numerosità): il reddito di mercato (ottenuto, come detto, sommando i redditi da lavoro e da capitale e rendita, al lordo delle imposte personali, percepiti da ogni membro di un nucleo familiare), quello lordo (ottenuto aggiungendo al reddito di mercato i trasferimenti pubblici in moneta, anch’essi al lordo delle imposte) e i redditi disponibili (ottenuti sottraendo i contributi sociali e le imposte personali dai redditi lordi).
La disuguaglianza dei redditi disponibili – la variabile, rispetto alla quale, come detto, si valuta solitamente la distribuzione del benessere economico – si differenzia fortemente fra i gruppi di paesi (Tabella 1). Come atteso, i paesi Nordici sono caratterizzati dai valori più bassi, mentre i più alti si registrano nei paesi Anglosassoni e in quelli Meridionali. Si osserva però una certa convergenza della disuguaglianza, dato che nel periodo 2008-2011 l’indice di Gini risulta cresciuto nel Nord e nel Centro Europa, mentre è diminuito nelle 2 aree a più elevata disuguaglianza.
A conferma del fatto che una data distribuzione dei redditi disponibili può nascondere meccanismi alla base profondamente diversi, va evidenziato che in tutti i paesi la disuguaglianza pre-intervento pubblico, ovvero quella nei redditi di mercato, è aumentata in misura cospicua nella UE-15, con la parziale eccezione dei paesi Meridionali, dove l’aumento è stato più contenuto. La redistribuzione agisce quindi diversamente nei vari paesi.
La più alta riduzione del coefficiente di Gini si registra quando ai redditi di mercato si aggiungono i trasferimenti pubblici in moneta: nei paesi Nordici e in quelli Continentali nel 2011 l’indice di Gini si riduce di circa 200 punti percentuali quando si passa dai redditi di mercato a quelli lordi. Similmente, una riduzione del grado di disuguaglianza, ma ben più contenuto di quello imputabile ai trasferimenti, si osserva grazie all’azione redistributiva svolta dalle imposte personali, come si verifica comparando il coefficiente di Gini dei redditi lordi e disponibili.
A segnale di processi di creazione delle disuguaglianze di reddito non uniformi nelle aree dell’UE-15, va altresì evidenziato come la graduatoria fra gruppi di paesi vari in base al concetto di reddito a cui ci si riferisce: i paesi Meridionali, ad esempio, sono nel 2011 largamente i più egualitari in base ai redditi di mercato, ma i più diseguali in base a quelli disponibili.
La distanza nei livelli e nella dinamica fra la disuguaglianza dei redditi di mercato e quella dei redditi disponibili evidenzia il ruolo svolto dalla redistribuzione (via imposte dirette e trasferimenti pubblici in moneta) nell’attenuare le disparità che hanno origine nei mercati. Il modo più immediato per valutare l’intensità della redistribuzione consiste nel misurare la differenza percentuale fra il coefficiente di Gini dei redditi di mercato e quello dei redditi disponibili (Figura 1). Sulla base di questo indicatore i paesi del Nord Europa risultano i più progressivi – nel 2011 l’indice di Gini si dimezza quando si tiene conto di imposte e trasferimenti –, seguiti da quelli Continentali, mentre l’ultimo gradino della scala è occupato dai paesi Meridionali. Va comunque rilevato come, in tutte le aree geografiche, l’intensità della redistribuzione sia aumentata nella prima fase della crisi, a compensazione dell’accresciuta disuguaglianza creata dai mercati.
In realtà, osservare un aumento dell’intensità della redistribuzione così calcolato non è sufficiente per dedurre che un paese stia rafforzando le misure di contrasto alla disuguaglianza. A causa di una serie di complessità di natura metodologica, nel valutare l’impatto della redistribuzione si tiene infatti conto unicamente delle imposte dirette e dei trasferimenti monetari; ciò vuol dire che vengono omesse alcune voci del bilancio pubblico molto rilevanti per il benessere individuale, oltre che variabili nel corso del tempo. Nello specifico, le misure di reddito disponibile (e dunque della redistribuzione) solitamente adottate non consentono di valutare l’effetto sulla disuguaglianza nel benessere economico della riduzione della spesa per i trasferimenti pubblici in natura (ad esempio, per sanità e long-term care) e dell’incremento delle imposte indirette, ovvero di alcune delle misure di austerità introdotte dai governi europei per far fronte agli effetti della crisi. In aggiunta, il confronto fra redditi di mercato e disponibili tende a sopravvalutare l’effettivo impatto della redistribuzione, dato che, in tal modo, si finiscono per considerare come redistributivi tutti i redditi da pensione, indipendentemente dall’effettivo grado di progressività del sistema previdenziale (un anziano che riceve solo reddito da pensione, anche se di importo elevato, risulta avere un reddito di mercato nullo e pertanto beneficia in misura cospicua della redistribuzione, anche se, almeno in una qualche misura – molto alta in sistemi di tipo contributivo –, le pensioni dipendono dalle retribuzioni conseguite durante la carriera lavorativa).
Più in generale, la valutazione dell’effettivo impatto redistributivo dell’intervento pubblico richiederebbe di prendere in considerazione l’influenza di ogni tipo di politica pubblica sulla formazione delle disuguaglianze di mercato (ad esempio, valutando gli effetti delle liberalizzazioni del mercato del lavoro sui livelli salariali). Bisognerebbe, in altri termini, chiedersi qual è il ruolo dell’azione pubblica nel funzionamento dei mercati e nella creazione delle disuguaglianze che si formano in essi.
Ad ogni modo, al di là di tali aspetti sicuramente rilevanti, ciò che emerge più evidente dalla comparazione qui presentata è come la crescita della disuguaglianza di mercato sia stata un tratto comune a tutti i gruppi di paesi della UE-15 nel quadriennio seguente all’esplodere della crisi. Pur tenendo conto delle difficoltà di stima prima richiamate, il welfare state – cardine del tanto spesso vituperato “modello sociale europeo” – ha, dunque, dimostrato ancora una volta il suo ruolo cruciale, contribuendo quantomeno ad attenuare l’ulteriore crescita della disuguaglianza originata dai mercati, in primis da quello del lavoro.