Il rimborso integrale dei piccoli risparmiatori, come avvenuto recentemente nel caso Monte Paschi, è sbagliato sotto molti punti di vista perché spezza il pilastro su cui poggia la stessa esistenza di un mercato finanziario
Le immagini dei risparmiatori infuriati fuori dalle sedi delle banche sono l’emblema dell’intricata vicenda dei salvataggi bancari. La cronaca riporta casi di persone senza nessuna conoscenza finanziaria, anche anziani e malati, a cui sarebbero state vendute obbligazioni subordinate e veri e propri titoli tossici. Troppo spesso dai vertici delle strutture arriva l’ordine di portare a casa commissioni e utili a ogni costo, piazzando qualsiasi cosa a chiunque. In casi di truffe o abusi e comunque di prodotti venduti senza fornire le necessarie informazioni a una clientela non in grado di comprenderle e gestirle, è più che giusto tutelare e rimborsare i risparmiatori.
Se la tutela del risparmio è fondamentale, lo è anche di più chiarire quali e quanti sono stati i comportamenti scorretti o apertamente illegali. Va fatto per i risparmiatori, per i contribuenti chiamati, tramite le tasse, a pagare questi salvataggi, e per la tenuta e credibilità del sistema bancario e finanziario. E’ necessario identificare le responsabilità e chiarire, caso per caso, cosa è successo. In mancanza di una tale chiarezza, il rimborso integrale dei piccoli risparmiatori, come avvenuto nel recente caso di Monte dei Paschi, è sbagliato, rischioso e ingiusto, da una pluralità di punti di vista.
Sociale. Siamo sicuri che chi ha investito in obbligazioni subordinate di Monte Paschi siano davvero poveri raggirati che hanno visto distruggersi il risparmio di una vita, o piuttosto parliamo di persone con un reddito medio-alto e che investono una parte modesta del proprio patrimonio alla ricerca di qualche guadagno in più? E in questo caso, fare pagare un conto da 20 miliardi di debito all’insieme dei contribuenti, non rappresenta un trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, in cui tutti siamo chiamati a rimborsare chi ha voluto rischiare più del dovuto? Sicuramente i casi sono diversi, e come detto andrebbero valutati uno per uno. Come descritto da Roberta Carlini su Internazionale (http://www.internazionale.it/opinione/roberta-carlini/2017/01/09/banche-fallimento-risparmiatori), è però vero che mediamente chi investe in titoli bancari ha un reddito superiore alla media.
Finanziario. Rimborsare integralmente chi aveva comprato le obbligazioni subordinate è pericolosissimo perché spezza il pilastro su cui poggia la stessa esistenza di un mercato finanziario: il legame tra rischio e rendimento. Se un titolo ha un alto rendimento ma è considerato poco rischioso, tutti vorranno comprarlo. L’alta domanda ne farà salire il prezzo, e comprandolo a un prezzo più alto avremo un rendimento minore. Specularmente se tutti vogliono vendere un titolo rischioso il prezzo scende, e comprare a un prezzo più basso significa un maggiore rendimento. Rischio e rendimento sono due facce della stessa medaglia. I titoli tedeschi rendono pochissimo perché sono considerati ultra-sicuri, quelli italiani un po’ di più, e la differenza di rendimento (lo “spread”) dipende precisamente dalla differenza di rischio tra Germania e Italia. Le obbligazioni di banche in difficoltà dovranno rendere ancora di più per essere appetibili, e quelle subordinate ancora di più. Se però interviene lo Stato rimborsando integralmente le subordinate vendute alla clientela retail e prima che siano accertate eventuali responsabilità, si spezza il principio fondamentale di funzionamento dei mercati, ovvero il rapporto tra rendimento e rischio. Al culmine del paradosso, nella moderna finanza esistono speculatori che scommettono sull’intervento pubblico di salvataggio per guadagnare sulla paura dei più poveri (http://www.nonconimieisoldi.org/cosa-non-va-nella-finanza/monte-paschi-scommesse-salvataggio/).
Economico. Spezzare il rapporto rischio-rendimento è un costo gigantesco per raggiungere l’obiettivo di puntellare la traballante fiducia nel sistema bancario. In pratica, il messaggio è: continuate a investire nelle banche, perché tanto se le cose vanno male alla fine c’è il paracadute pubblico. Da domani, a parità di rendimento e altri fattori, gli investitori sanno che dovranno preferire un titolo bancario a uno di un altro settore. Una ditta di computer o di cioccolatini per finanziarsi emette obbligazioni, che possono andare in default. Quelle di una banca, no. Voi quali comprereste? In altre parole, con i salvataggi bancari si sancisce una disparità di trattamento con altri settori merceologici.
Legale. Giuste o sbagliate che siano, ci siamo dati delle regole su scala europea. A inizio 2016 è stato introdotto il bail-in, che prevede che per il salvataggio di una banca debbano essere azionisti, poi obbligazionisti e infine eventualmente anche alcuni correntisti a pagare, e unicamente in ultima istanza ci possa essere un intervento dello Stato. Non ci piacciono? Dovremmo lottare per cambiarle, o meglio ancora, non avremmo dovuto approvarle solo un anno fa e rifiutare l’applicazione della Direttiva sul bail-in. Come segnalato sul blog di Finance Watch (http://www.finance-watch.org/hot-topics/blog/1316), se ti dai delle regole, e al primo caso concreto cerchi ogni possibile scappatoia per non applicarle e arrivare a un salvataggio pubblico, che valore possono avere le stesse normative?
Politico. Le ricadute di quanto affermato al punto precedente non sono unicamente in una perdita di credibilità delle normative europee, ma anche e forse soprattutto del nostro Paese. Per l’ennesima volta, l’immagine che diamo in Europa non sembra certo quella di correttezza e serietà, per non dire di peggio. Il problema non è tanto di immagine, ma molto più concreto. Nel momento in cui cerchi di “sbattere i pugni sul tavolo” per chiedere – come afferma di fare il nostro governo – la fine dell’austerità, maggiore flessibilità per rilanciare investimenti ed economia, e la rinegoziazione del Fiscal Compact, ma fai 20 miliardi di euro di debito per salvare le banche, ti metti in una posizione di ulteriore debolezza. Aggirare le regole europee per fare nuovo debito non sembra il miglior biglietto da visita per andare in Europa a parlare di regole e debito.
Bancario. In ultimo, l’approccio scelto dovrebbe essere considerato sbagliato persino dal punto di vista bancario. Si continua a intervenire con misure una tantum, rispondendo – spesso tardi e male – alle emergenze. Manca un approccio sistemico, perché non si vuole ammettere che ci sia un problema sistemico. Non sono le proverbiali mele marce, non sono poche banche che hanno venduto prodotti inadatti o che si ritrovano i conti in crisi, in un sistema altrimenti sano. Va cambiato approccio e vanno cambiate le regole, tanto su scala internazionale, quanto europea, quanto da noi in Italia. Ancora prima serve un cambiamento culturale e di educazione critica tra i risparmiatori e nel nostro rapporto con la finanza. Un cambio di rotta e di mentalità che continua a non esserci, e dove sembra che l’unico ruolo dello Stato e della politica sia rimanere in attesa del prossimo giro di salvataggi. Con tutti i costi, le inefficienze, gli impatti e le ingiustizie che si porta dietro.