La Commissione europea è dotata dei poteri di sanzione nei confronti degli Stati “ribelli” o inadempienti. Ma come anche i casi più recenti dimostrano, le sanzioni sono subordinate di fatto a precise scelte politiche
In questi tempi di liti in seno all’Unione europea sulle manovre di bilancio dei Paesi “indisciplinati” – in prima fila il nostro – può risultare interessante andare a vedere cosa prevedono le regole europee e ricordare quali meccanismi e quali sanzioni sono previsti per colpire gli Stati “ribelli” o inadempienti. Come vedremmo sono sanzioni anche pesanti, ma del tutto subordinate di fatto a scelte politiche come illustrano i casi anche più recenti.
Non si procede nei riguardi del surplus della bilancia commerciale tedesca che dal 2007 supera il massimale del 6% previsto dalla Mip (Macroeconomic imbalance procedure), né nei confronti della Francia che ha un deficit superiore al 3% oramai da 8 anni, dal fatidico 2008 ovvero dall’inizio della grande crisi. Sforando tale massimale non di poco se si considera che il deficit francese ha raggiunto il 7,5% nel 2009, l’8% nel 2010 e il 6% nel 2011.
In altre parole, questi meccanismi sanzionatori si potranno applicare di fatto ai Paesi minori, ma non sono stati realmente previsti per i grandi Paesi fondatori della Unione europea. Un’Unione che si erge a “stato di polizia economica”, secondo l’espressione di Alessandro Somma, ma che, in realtà, incontra grandi difficoltà applicative.
Consci del problema, gli ultras del Nord Europa hanno nel corso degli anni spinto, con qualche successo, la UE ad inasprire le sanzioni e le procedure. Al Trattato di Maastricht del 1992, si sono aggiunti i regolamenti del six pack (2011) e del two pack (2013). Con essi è stato stabilito, in particolare, l’obbligo per gli Stati membri di convergere verso l’obiettivo il pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5%, nonché l’obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60% del PIL di adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, nella misura di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia del 60%. Infine, è previsto un semi-automatismo delle procedure per l’irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto. Le sanzioni sono, infatti, raccomandate dalla Commissione e si considerano approvate dal Consiglio a meno che esso non le respinga con voto a maggioranza qualificata (“maggioranza inversa”) degli Stati dell’area euro. La maggioranza qualificata inversa (la cd. “doppia maggioranza”) rappresenta un eventualità di difficile attuazione. Si raggiunge, infatti, tale maggioranza soltanto quando sono soddisfatte due condizioni: che il 55% degli Stati membri voti contro e che gli Stati membri che si oppongono alla sanzione costituiscano insieme almeno il 65% della popolazione totale dell’UE (con l’ovvia esclusione del Paese “sanzionato”).
Per gli Stati membri che hanno adottato l’euro l’iter prevede degli avvertimenti e, in ultima istanza, delle sanzioni finanziarie, comprese ammende fino allo 0,2% del PIL (circa 3,2 miliardi per l’Italia), in caso di mancato rispetto delle norme preventive o correttive, oppure allo 0,5% del PIL (circa 8 miliardi per l’Italia) se il mancato rispetto delle norme correttive si protrae nel tempo. Inoltre, gli Stati membri potrebbero subire una sospensione degli impegni o dei pagamenti da parte dei fondi strutturali e di investimento dell’UE (a norma dell’art. 23 del Regolamento n. 1303/2013 dei Fondi strutturali). Va ricordato che per il programma 2014-2020 le somme stanziate a favore dell’Italia sono pari a circa 44 miliardi.
Si potrebbero teoricamente prevedere delle ritorsioni da parte del Paese sanzionato, in particolare da parte dei Paesi che contribuiscono maggiormente al bilancio europeo. Tale possibilità è stata fatta balenare dal Premier italiano nelle sue ultime dichiarazioni. Anche se le cifre citate da Renzi risultano un po’ eccessive. Il cosiddetto “saldo netto” (la differenza tra i contributi dell’Italia al bilancio UE ed i fondi ricevuti) è previsto mediamente pari a 3.850 milioni di euro l’anno per il periodo 2014/2020. Diamo, dunque, all’Europa circa 4 miliardi in più l’anno di quanto riceviamo dalla stessa.
La flessibilità adottata con la Comunicazione della Commissione del 13 gennaio 2015 è solo “un velo che nasconde in realtà intatti i rapporti di forza politici ed economici“ (De Ioanna e Piga – Il Sole24ore). Si è dunque aperto quello che è stato definito “il mercato delle indulgenze”.
D’altronde quando sono ben 18 i Paesi con “squilibri eccessivi”, com’è accaduto nel 2014, sarebbe forse il caso di porsi la questione se non siano proprio le regole che sono “eccessive” e sbagliate. Negli anni 2012, 2013 e 2014, la Commissione ha ritenuto necessario procedere all’indagine approfondita nei riguardi, rispettivamente, di 12, 13 e 18 Paesi membri dell’UE (tra cui l’Italia). Nel novembre 2014 la Commissione ha identificato squilibri macroeconomici in 16 Stati membri, cinque dei quali registravano squilibri eccessivi (Bulgaria, Francia, Croazia, Italia e Portogallo). Per quanto concerne il 2015, la Commissione ha ritenuto che 18 Stati membri rischiavano di presentare squilibri macroeconomici.
L’8 agosto 2016 il Consiglio ha convenuto di non imporre ammende nei confronti di Portogallo e Spagna per la mancata adozione di misure efficaci intese a correggere i loro disavanzi eccessivi. Ha intensificato la procedura per i disavanzi eccessivi per entrambi i paesi, fissando nuove scadenze per la correzione.
In pratica, dunque, la Commissione europea non ha mai finora proposto nessuna sanzione. Questo è uno dei motivi per il quale i “falchi” tedeschi propongono di togliere alla Commissione i suoi poteri di vigilanza sui bilanci nazionali per trasferirli al Fondo salvataggi (Esm), oppure a un Super Ministro del Tesoro europeo. Queste eventualità, come quella di forti sanzioni per uno dei maggiori Paesi, in realtà, segnerebbero l’inizio della fine della stessa Unione.