La Commissione Europea ha varato un piano di aiuti pari a 700 milioni di euro per fornire assistenza ai migranti che premono sulle frontiere della Fortezza Europa
Di emergenza in emergenza, la situazione delle migliaia di persone che arrivano sul territorio europeo -o che drammaticamente provano a raggiungerlo-, insieme alle (in)capacità gestionali dei diversi paesi membri, peggiorano di giorno in giorno. L’ultima misura lanciata dalla Commissione Europea è un “Emergency Assistance instrument”, un piano di aiuti per 700 milioni di euro. “Per la prima volta mobilitiamo risorse e denaro per consentire all’Europa di agire a livello umanitario dentro i propri confini, e non solo nelle crisi del Terzo Mondo”, ha annunciato ieri di fronte al Parlamento europeo il portavoce della Commissione Margaritis Schinas – significativamente un rappresentante greco, scelto dal presidente di Commissione Juncker.
E’ infatti la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale che l’Unione prevede un piano di aiuti umanitari all’interno del proprio territorio: indice che la situazione è sempre più complessa, nonostante le varie istituzioni europee discutano da mesi con l’obiettivo ufficiale di trovare una soluzione. Il 18 e 19 febbraio scorsi il Consiglio europeo ha sollecitato la Commissione a intervenire in modo più incisivo per garantire la necessaria assistenza umanitaria, in linea con quanto previsto dall’articolo 122(1) del Trattato di Lisbona (che prevede lo stanziamento di aiuti per venire incontro alle difficoltà di paesi membri legate a catastrofi naturali o eventi eccezionali). Ma il fatto che ad oggi nulla sia stato risolto, anzi che al contrario ci sia stato un costante deterioramento – come dimostrano le moltissime situazioni di crisi presenti nei paesi membri, e in particolare nelle zone di frontiera – è palesemente legato al fatto che la priorità europea, stando alle varie misure intraprese, sia sempre stata l’esternalizzazione della “questione migratoria” fuori dal proprio territorio, o il confinamento della stessa nei territori di ingresso, piuttosto che lo sviluppo e il rafforzamento di politiche di accoglienza adeguate alla situazione.
“Con questo piano, saremo in grado di fornire assistenza in modo molto più rapido, all’interno della stessa Unione”, ha affermato il Commissario europeo per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi Christos Stylianides. Di fronte alle continue sollecitazioni nazionali e alla drammatica situazione che i migranti vivono alle frontiere, dove le persone arrivano a morire letteralmente di stenti nella civile Europa del 2016 (solo per alcuni esempi http://www.agi.it/estero/2016/02/07/news/dramma_migranti_in_bulgaria_in_due_muoiono_di_freddo-496451/, http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2015/09/05/migranti-neonato-arrivato-morto-su-isola-greca_8fd29d2f-b063-4bea-beab-b26a3e4b7197.html), viene da chiedersi perché la Commissione abbia atteso tanto prima di varare questa misura. Che comunque presenta caratteristiche su cui sarebbe bene mantenere alta l’attenzione.
I fondi stanziati dall’Unione andranno in “particolare a quei paesi europei che si trovano lungo la rotta dei Balcani [..] maggiormente interessati dai massicci arrivi di rifugiati e migranti”, come sottolinea la Commissione, riproponendo la pericolosa distinzione tra le persone in arrivo, con la quale si prevede una facilitazione dei rimpatri attraverso le procedure sollecitate negli hotspot (sulla cui pericolosità si è espresso proprio ieri il Tavolo sull’Asilo, e recentemente la Commissione di inchiesta su Cie e accoglienza del Senato). Anche se non viene nominato alcun paese, appare chiaro dai criteri di stanziamento previsti che la maggior parte dei fondi andrà ad Atene, a fronte delle condizioni economiche del paese e dell’alto numero di arrivi che si stanno registrando nel territorio ellenico: su 131.724 migranti giunti sulle coste europee attraverso il Mediterraneo nei primi due mesi del 2016, oltre il 90% (122.637) sono sbarcati in Grecia (dati Unhcr).
I 700 milioni di euro previsti dal piano avanzato dalla Commissione – che arriverebbero dal “budget generale dell’Unione, in uno spirito di solidarietà, insieme a eventuali contributi di donatori pubblici e privati”, come si legge molto genericamente nel documento – dovrebbero coprire un arco temporale di tre anni; nello specifico, 300 milioni di euro sono previsti nell’immediato, mentre i restanti 400 dovrebbero essere divisi tra il 2017 e il 2018. I fondi andranno a implementare, come si legge nel documento, “azioni atte a preservare la vita, alleviare le sofferenze, tutelare la dignità umana”: nel concreto, prima assistenza sanitaria, servizi educativi, prima accoglienza e tutto quanto ad essa legata – come l’installazione di bagni chimici o di riserve di acqua. Misure di assistenza emergenziale che dovranno essere attivate in un sistema di coordinamento tra stati membri e ong, tra le quali la Croce Rossa e l’Unhcr, sulla base della “solida esperienza sviluppata dal Dipartimento per la protezione civile e gli aiuti umanitari, e sulle competenze acquisite nelle operazioni messe in campo dall’UE nei paesi del Terzo Mondo”.
Le valutazioni (per lo più di plauso) del piano varato dalla Commissione sembrano eludere un punto fondamentale: le misure concrete previste nel documento prefigurano la creazione di veri e propri campi profughi in Europa, o meglio in quegli stati europei più esposti ai flussi migratori, senza che né l’Unione né gli altri stati membri si siano impegnati ad adottare una strategia di accoglienza comune e coordinata a livello europeo. Di fronte alle stragi in mare – che non accennano a diminuire -, le barriere con il filo spinato, la creazione di nuove strutture detentive, i soldi elargiti a diversi paesi terzi per non far entrare i migranti nel territorio europeo (ad esempio si vedano l’accordo con la Turchia , o i fondi previsti per Macedonia e Serbia), il piano annunciato non prevede affatto una misura di accoglienza comune, né una politica di riconoscimento dei diritti e di conseguente inserimento della popolazione migrante nel tessuto sociale ed economico europeo. Al contrario, si inserisce nel binario dell’esclusione, della divisione, della concentrazione di tante persone in aree di segregazione, dove la negazione o le violazioni dei diritti saranno inevitabilmente all’ordine del giorno.
In sintesi la scelta è ancora una volta cinica, miope e crudele: se proprio non riusciamo a impedire che i migranti entrino in Europa, segreghiamoli il più possibile nelle sue periferie.
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