Il contesto in cui greci ed europei si trovano a vivere sembra non lasciar alcuno spazio politico che non sia quello di un’amministrazione dignitosa della sopravvivenza. Una condizione che pone vertiginosi interrogativi politici
Come abbiamo scritto all’indomani dell’indizione del referendum del 5 luglio, l’avventura politica di Tsipras e del suo partito, Syriza, hanno rappresentato la novità più sorprendente nel monocorde scenario dell’Europa neoliberale. A fronte di una socialdemocrazia europea impegnata nell’esecuzione diligente dei diktat elaborati sull’asse Berlino-Bruxelles, Syriza è riuscita nell’ardua impresa di garantire la maggioranza dei voti – nell’ala sinistra del parlamento ateniese – a chi quei diktat li ha subiti pagandone l’intero prezzo.
Dopo sei defatiganti mesi, quando il muro di gomma delle ‘istituzioni’ è emerso in tutta la sua evidenza, il coraggio del giovane governo greco è parso accrescersi, anziché cedere alle volontà repressive della controparte. L’indizione del referendum, infatti, ha prodotto l’illusione che un uso coraggioso degli strumenti democratici potesse ribaltare le sorti della lotta a favore della classe subalterna e degli ultimi. La formidabile partecipazione al voto del popolo greco, così come la decisione di non astenersi assunta da parte del movimento anarchico, sono stati, in questo senso, eventi di assoluta importanza.
Quanto è avvenuto dal giorno successivo al referendum è, ormai, cronaca nota. L’entusiasmo dell’OKI si è rapidamente trasformato in terrore nell’istante in cui ci si è accorti che al di là del tavolo stesse sedendo un solo soggetto: il pilota automatico. L’ horror vacui che ne è seguito ha condotto all’approvazione di un accordo parossistico per la sua violenza economica e distopico rispetto al grido popolare lanciato con il referendum. La confusione successiva ha assunto le forme di una lacerazione nella carne viva della società greca. Syriza, il cui grande merito è stato quello di riunire le frastagliate anime della sinistra greca nonché quello di ridare fiducia alla componente giovanile della società, si è divisa e la maggioranza dei suoi giovani hanno abbandonato il partito. Il partito di destra Nea Demokratia, precedentemente ridotto al coma politico dagli scandali e dall’insoddisfazione popolare, ha recuperato la sua forza. Quest’ultimo sembra aver beneficiato, nuovamente, di una prospettiva in cui il cambiamento radicale non è un dato mentre, al contrario, una delle fonti di sopravvivenza torna ad essere la capacità di mettersi nella traiettoria dei miseri flussi di spesa pubblica previsti.
Il risultato delle elezioni del 20 settembre, tuttavia, ha ancora una volta stupito gli europei. Tsipras ha mantenuto gran parte del proprio consenso ed avrà di nuovo la possibilità di governare. Questo risultato, però, ha coinciso con il dato di astensione più alto in Grecia sin dalla fine della seconda guerra mondiale. E con la crescita del movimento neonazista Alba Dorata, votato in massa dai disoccupati secondo quanto riportato dagli exit poll. Unità Popolare, partito formato in fretta e furia da chi ha lasciato Syriza in disaccordo rispetto all’approvazione del terzo Memorandum, è rimasta fuori dal parlamento. Le uniche voci contrarie all’applicazione del Memorandum e del suo carico di sofferenze sociali saranno, dunque, quelle di Alba Dorata e del Partito Comunista Greco.
Lo scenario che si profila all’orizzonte non appare affatto roseo. E di questo sembrano essere perfettamente consapevoli anche i dirigenti di Syriza, nonostante le dichiarazioni di circostanza. La firma del Memorandum, inoltre, ha già prodotto dei frutti concreti. Tsipras ha dovuto tagliare le pensioni minime e cedere la gestione degli aeroporti più redditizi del paese ad una società pubblica tedesca. Negli stessi giorni, forse per garantire la solidità del patto con i nazionalisti di ANEL, il governo greco ha firmato un importante accordo militare con Israele. Quest’accordo sancisce una costante collaborazione militare tra i due stati – per farsi un’ idea, alcune caratteristiche dell’accordo sono analoghe a quelle che legano Israele e gli USA – e garantisce la possibilità per l’esercito israeliano di condurre esercitazioni nelle acque territoriali greche.
Il contesto in cui greci ed europei si trovano a vivere, dunque, sembra non lasciar alcuno spazio politico che non sia quello di un’amministrazione dignitosa della sopravvivenza. In un quadro generale in cui l’unico cambiamento ammissibile è quello che coincide con un peggioramento delle condizioni di vita della classe subalterna. Una condizione di questo tipo pone vertiginosi interrogativi politici.
Quando le conseguenze sociali del memorandum saranno pienamente dispiegate, queste colpiranno una popolazione che avrà sperimentato l’inefficacia degli strumenti democratici a cui si è affidata in precedenza. Con il rischio che i greci associno quell’inefficacia al colore politico di chi aveva prospettato, in assoluta buona fede, la possibilità di cambiare per mezzo degli stessi strumenti. E’ necessario tener conto dei pericoli legati a quest’ultimo scenario. In questo senso, la necessità di un dibattito serio e privo di tabù a sinistra circa le varie opzioni politiche sul tavolo – come la necessità, emersa chiaramente durante il dibattito alla Camera, di non eludere la considerazione del piano B proposto da Varoufakis, Fassina ed altri – è di vitale importanza per affrontare i tempi difficili che abbiamo di fronte.