Fare dell’affaire pensioni una questione di rapporti tra vecchi e giovani è in primo luogo una scelta ideologica degli economisti neo-liberali, per i quali, soprattutto nelle analisi del risparmio e dunque dei sistemi previdenziali, non esistono classi, ma solo generazioni
La più riuscita falsa notizia circa il sistema pensionistico italiano è probabilmente quella che esso avvantaggi i vecchi, ossia i pensionati, a grave danno dei giovani: questi ultimi, con i loro contributi, pagano ai primi pensioni che, per quanto basse nella maggioranza dei casi, non sono state meritate con una adeguata contribuzione durante la vita lavorativa, e però avranno a loro volta in futuro pensioni bassissime. Farne una questione di rapporti tra vecchi e giovani (non c’è equità intergenerazionale, secondo il gergo corrente) è in primo luogo una scelta ideologica degli economisti neo-liberali, per i quali, soprattutto nelle analisi del risparmio e dunque dei sistemi previdenziali, non esistono classi, ma solo generazioni. In secondo luogo, però, è anche un’affermazione falsa su come funziona il nostro sistema pensionistico, e sugli effetti dell’intervento Monti-Fornero nel novembre 2011. Non è vero che coloro che, se sono fortunati, entrano oggi nel mondo del lavoro o che ci sono già, ma sono ancora lontanissimi dal traguardo della pensione, avranno pensioni da fame domani perché oggi pagano alti contributi che finanziano le pensioni in essere. Avranno pensioni da fame perché il loro lavoro, anche quando c’è, non è stabile, e perché le loro retribuzioni sono basse, e quindi il montante contributivo, la somma di tutti i contributi versati, su cui saranno calcolate le loro pensioni sarà insufficiente. Questo è un risultato necessario del sistema contributivo: quanto hai versato, tanto ti sarà restituito. Se i contributi pensionistici dei più giovani fossero oggi più bassi, le loro pensioni in futuro sarebbero ancora più basse. Le iniquità del sistema pensionistico italiano sono in realtà in primo luogo intragenerazionali, tra diversi gruppi sociali delle stesse generazioni.
Le valutazioni del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps (seduta del 2 febbraio 2015) prevedono per quest’anno che il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) privati chiuda con un attivo di 412 milioni; ma questo modesto attivo è ilrisultato di un attivo di ben 8,5 miliardi del vecchio Fondo di questo nome e di un passivo di circa 8,1 miliardi dei fondi speciali in esso confluiti: Trasporti, Elettrici, Telefonici e Inpdai, i dirigenti industriali, i quali da soli costituiscono la metà di questo disavanzo. Le differenze sociali e di reddito si leggono facilmente nelle differenze tra le pensioni medie dei diversi fondi (dati 2010 del NuVsp). Si tratta di € 20.300 per i Trasporti, 25.400 per i Telefonici, 24.500 per gli elettrici, e 49.200 per i dirigenti industriali, mentre gli altri lavoratori dipendenti arrivano a 11.100. Il bilancio economico del FPLD dice dunque che i dipendenti privati delle fasce di reddito più basse attualmente occupati, e che sono ovviamente delle più diverse età, dai neoassunti agli ultrasessantenni in vista della pensione, pagano contributi che coprono abbondantemente le pensioni in atto delle medesime fasce di reddito e anche quelle, in disavanzo, di gruppi sociali che hanno da 2 a 5 volte il loro livello di reddito. Questi disavanzi sono dovuti, anche se non esclusivamente, alla combinazione tra la pratica che vigeva in questi comparti di facili promozioni negli ultimi anni della carriera e di un calcolo retributivo della pensione che premia in misura cospicua le pensioni di chi ha avuto una carriera lavorativa con considerevoli aumenti di reddito nel corso degli anni, mentre regala ben poco a chi tipicamente, come i lavoratori di più basso livello, ha solo modesti incrementi. Tutta la retorica sull’equità del contributivo in astratto ha solo mascherato la totale assenza di qualsiasi intervento di riequilibrio di avanzi e disavanzi delle gestioni pensionistiche dei dipendenti privati.
Sempre secondo le previsioni dell’Inps la gestione dell’ex-Inpdap, quella dei dipendenti pubblici, ha un disavanzo di circa 5.5 miliardi, a sua volta ampiamente compensato dalla gestione del lavoro parasubordinato, in attivo di 7.7 miliardi. Anche qui è bene dubitare che si tratti semplicemente di un travaso di risorse da giovani a vecchi, comunque siano definite queste imprecise categorie. Al 2013, nei due gruppi compresi nel lavoro parasubordinato i collaboratori (coloro per cui il committente versa il contributo) tra i 30 e i 59 anni di età rappresentavano il 65%, i professionisti (che versano direttamente) il 73, e gli ultrasessantenni rispettivamente il 16 e il 13%. I propriamente giovani sono quindi una minoranza in un tipo lavoro fatto fondamentalmente da persone nel pieno dell’età adulta. Ma anche qui c’è un problema di rapporto tra gruppi sociali. Al 2007 il reddito medio dei collaboratori che vivevano di sole collaborazioni (circa il 70% dell’intero comparto) era di circa 13.000 euro. Al 2009 i pensionati dell’Inpdap incassavano una pensione di 20.800. Non occorre insistere sul disavanzo dei fondi dei lavoratori autonomi (commercio, artigianato, agricoltura) che ammonterà quest’anno a 9.8 miliardi, ovvio risultato del fatto che i loro contributi, anche se lentamente cresciuti dal 12% dei primi anni ’90 fino al 22,2% del 2014, continuano a essere nettamente inferiori a quelli dei lavoratori dipendenti, mentre le prestazioni sono parificate.
Se poi si guarda alla situazione patrimoniale (che riflette l’andamento cumulativo delle gestioni) del comparto dei lavoratori dipendenti, l’Inps prevede un attivo di 57.5 miliardi derivante dalla differenza tra il deficit del FPDL (126 miliardi circa) e l’avanzo patrimoniale della Gestione prestazioni temporanee (183 miliardi). Il grosso del primo è costituito dal deficit patrimoniale dei fondi speciali, pari a 91 miliardi. La seconda, GPT, è costituita dai versamenti di lavoratori e datori di lavoro, al fine di erogare cassa integrazione ordinaria, indennità di disoccupazione, malattia, maternità e assegni familiari. Il suo avanzo di esercizio per il 2015 è previsto in 960 milioni, mentre era di 1680 nel 2013. Dunque negli anni i lavoratori dipendenti, e in particolare quelli a più basso reddito, hanno versato complessivamente parecchio di più di quanto abbiano ricevuto; e, se dall’attivo patrimoniale di quest’anno si togliessero i 34.4 miliardi del debito patrimoniale dei dirigenti industriali, il fatto risulterebbe ancora più evidente (92 miliardi di attivo patrimoniale). Se ci si degnasse di guardare i conti dell’Inps (reperibili sul portale) anziché propinare pubblicità per le proprie ideologie di elezione, si potrebbe vedere facilmente che qualsiasi ragionevole riduzione dell’iniquità sociale nella struttura del sistema pensionistico italiano migliorerebbe anche il rapporto tra quello che incassano i pensionati, ossia i vecchi, tra i quali esiste una profonda discriminazione di classe, e quello che possono aspettarsi i giovani, ossia i lavoratori in qualche modo occupati, i quali pure sono socialmente parecchio eterogenei (per cambiare esempio: al 2013 tra i parasubordinati i collaboratori uomini che sono amministratori, sindaci e revisori dei conti di società hanno un reddito di 33.800 euro, i collaboratori presso la Pubblica amministrazione di 11.000). Siccome la sostanza della situazione è che i lavoratori più poveri stanno pagando il deficit dei pensionati più ricchi, è chiaro che qualsiasi riequilibrio di questa patologia migliorerebbe le possibilità di intervento dell’Inps come erogatore di prestazioni sociali. I 183 miliardi di attivo patrimoniale della GTP e i 104 miliardi della gestione parasubordinati – non esattamente briciole – sono soprattutto crediti accumulati nei confronti dei fondi privilegiati dai vari governi, non sono soldi disponibili. Ma sarebbe più decente cominciare a ragionare su questo anziché ripetere ingannevolmente che il peso delle pensioni in Italia è troppo grande e impedisce di aiutare le famiglie, di finanziare i giovani, di coltivare la scuola, e via predicando per ogni apprezzabile obiettivo.