La riduzione d’autorità delle pensioni retributive dei cosiddetti benestanti non è una una misura equitativa. Ridurre le pensioni a un conflitto generazionale fra giovani e anziani o fra diverse categorie di anziani è sbagliato. E la nostra Costituzione indica la strada da seguire, quella della progressività dell’imposta sul reddito
Come scrissi già l’anno scorso su Pagina 99, c’è una sorta di giustizialismo imperante fra alcuni economisti liberali, che li porta a proporre con foga l’idea di una riduzione d’autorità delle pensioni retributive dei cosiddetti “benestanti”, laddove tale categoria è variamente definita (la forchetta varia, a seconda dei casi, dai 10.000 ai 2.000 euro lordi mensili). La misura è proposta in termini apparentemente equitativi: questi pensionati benestanti avrebbero conseguito vantaggi indebiti grazie ad un sistema pensionistico in passato eccessivamente generoso e manterrebbero, dunque, il loro benessere a spese di tutti gli altri, lavoratori, pensionati, contribuenti. Andrebbero dunque colpiti, così da liberare risorse per i giovani e gli anziani più poveri, per ridurre le tasse e quant’altro.
Non ritengo tale ragionamento convincente, per diverse ragioni.
Innanzitutto, perché ai pensionati “benestanti” sono state calcolate pensioni in base alla legge, dunque non vi è alcun indebito, come già sancito dalla Corte Costituzionale. Le regole passate possono anche non piacere (furono, ad esempio, indigeribili quelle applicate all’ex fondo dirigenti d’azienda quando, sull’orlo del fallimento, confluì nell’Inps nel 2003) ma disconoscerle, oltre a minare le basi della legalità, contribuirebbe ulteriormente a minare la fiducia nello stato.
In secondo luogo perché, se si vuole colpire i benestanti, c’è un mezzo alternativo, perfettamente legittimo e, anzi, esplicitamente fatto proprio dalla nostra Costituzione: l’aumento delle aliquote Irpef sui redditi alti, ovvero l’aumento del grado di progressività del sistema fiscale. E’ la strada indicata dalla Costituzione, che invece non permette, fra i benestanti, di distinguere quelli che ci piacciono da quelli che non ci piacciono.
In terzo luogo, i risparmi di spesa di una simile manovra sarebbero necessariamente molto ridotti se si andassero a colpire le pensioni effettivamente elevate (verosimilmente, in alcune ipotesi circolate, al massimo un miliardo al netto delle minori entrate fiscali sulle pensioni tagliate), mentre potrebbero diventare rilevanti solo andando ad incidere anche su pensioni attorno ai 2.500 euro lordi mensili, il che vorrebbe dire andare ad incidere ulteriormente sui ceti medi.
In quarto luogo, in quest’ultimo caso si rischierebbe di snaturare definitivamente il nostro sistema pensionistico, trasformandolo, ex post, da tutela dello standard di vita precedente a strumento che fornisce una prestazione bassa e uniforme per tutti. Se vogliamo tornare a perseguire l’egualitarismo dei redditi, sono d’accordo. Ma non si può accettare la differenziazione retributiva nel lavoro e poi pretendere che i redditi dei pensionati siano tutti uguali, a meno che, appunto, non assegnare al sistema pensionistico pubblico un compito ben più limitato dell’attuale e privatizzare il resto.
In quinto luogo, non esiste nel bilancio pubblico un qualche vincolo per cui, per finanziare la spesa sociale o ridurre le imposte, bisogna necessariamente tagliare le pensioni. Tant’è vero che negli ultimi decenni è successo quasi regolarmente l’opposto: sono state tagliate le pensioni e si è tagliata la spesa sociale, mentre le imposte sono aumentate, e questo anche quando il Parlamento aveva votato l’impegno ad utilizzare i risparmi pensionistici per il sociale, come avvenne in occasione dell’aumento dell’età di pensionamento delle donne. Il fatto è che le priorità di bilancio sono indipendenti dalle modalità di finanziamento. Il bisogno di posti negli asili nido o di fondi per le non autosufficienze non si modifica che li finanzi con minore spesa pensionistica o con altro!
In conclusione, ritengo scorretto ridurre le pensioni a un conflitto generazionale fra giovani e anziani o fra diverse categorie di anziani (quelli prima e post riforma). Il problema, come peraltro ormai chiaro anche a livello internazionale, è, molto più classicamente, un problema di ricchi e poveri. E già la nostra Costituzione indicherebbe la strada da seguire, quella della progressività dell’imposta sul reddito. Il tutto, senza negare problemi, storture e discrasie passate e presenti del sistema pensionistico.