La legge finanziaria appena approvata dal governo non dà uno scossone all’economia in crisi, non porta aiuto alla parte più sofferente del paese, non crea posti di lavoro e non ha alcun segno di equità. Più che stabilizzare l’economia, stabilizza la maggioranza delle larghe intese
La legge di stabilità appena presentata è un provvedimento che non porta equità e sollievo al paese, non combatte la crisi e non rilancia l’economia. Se con un modestissimo taglio al cuneo fiscale mette qualche euro nelle tasche dei lavoratori dipendenti, con il taglio (dal 19 al 17%) alle detrazioni per le spese mediche e scolastiche se li riprende con abbondanti interessi. Di fronte alla crescente povertà del paese, nessuna idea migliore è venuta al governo Letta se non il rifinanziamento della Social Card un po’ più ampliata e qualche soldo in più per il fondo per le politiche sociali e il fondo non autosufficienza (mentre si taglia l’indennità di accompagnamento), salvo poi mettere nelle condizioni i Comuni di tagliare i servizi sociali per mancanza di risorse e trasferimenti dallo Stato. Comuni che potranno dal prossimo anno usufruire da una parte dello sblocco assai parziale del patto di stabilità interno e dall’altro potranno usufruire della Trise – la “continuazione dell’Imu con altri mezzi” – che però porterà meno soldi alle amministrazioni comunali dell’Imu e oltre ai proprietari colpirà anche gli inquilini in affitto. Per la copertura della rata di dicebre dell’Imu non si hanno notizie.
Di politiche per il lavoro non c’è traccia (a parte le risorse dovute per la cassa integrazione in deroga): anzi ce n’è ma con il segno negativo. Il blocco dei contratti dei dipendenti della Pubblica amministrazione nel 2014 e del turn over fino al 2018 significherà da una parte una perdita netta di reddito di qualche punto di reddito per centinaia di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie e dall’altra una diminuzione di efficienza della Pubblica amministrazione e la perpetuazione di rapporti di lavoro precari e a tempo determinato. Di politiche industriali c’è pochissimo (la proroga di un anno del bonus edilizio ed energetico, che ancora non viene stabilizzato) e la spesa pubblica continua ad essere massacrata: ben 7-8 miliardi di tagli (in gran parte lineari) nel 2014, ancora tutti da verificare, ma almeno la sanità si è salvata. Però di soldi pubblici se ne stanziano per le navi da guerra (ben 5 miliardi nei prossimi 15 anni) e per altri grandi opere (3 miliardi), tra cui i 400 milioni inutili al Mose. Tra le entrate ci sono le dismissioni: nella legge di stabilità ce ne sono per 3,2 miliardi di euro, anche se la recente nota di aggiornamento del Def approvata qualche settimana fa ci dice che per i prossimi anni il governo prevede di ricavare ben 7,5 miliardi l’anno per abbattere il debito pubblico. Questo significa che dismetteremo o svenderemo una parte significativa del nostro patrimonio pubblico per fare cassa, salvo poi – come è successo in questi anni – pagare affitti capestro (per gli uffici ministeriali e della pubblica aministrazione) degli stessi immobili appena venduti.
Si era vociferato un paio di giorni prima di un aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 22%, ma non se n’è fatto nulla: Saccomani non ne vuole sapere, come anche a qualsiasi revisione dell’imposta sulle transazioni finanziarie, introdotta l’anno scorso con la legge di stabilità del governo Monti e che è, in quella versione, una misura modestissima. Ci si è limitatati ad alzare l’imposta di bollo (dall’1,5 al 2 per mille) sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari.
È una manovra senza qualità, che più che stabilizzare l’economia, stabilizza la maggioranza delle larghe intese: non dà uno scossone all’economia in crisi, non porta aiuto alla parte più sofferente del paese, non crea posti di lavoro e non ha alcun segno di equità. È una manovra economica che fa galleggiare il governo e però non impedisce al paese di continuare ad affondare. È una deriva pericolosissima, regressiva ed attendista, che deprime l’economia e impoverisce la società. Per questo la legge di stabilità del governo Letta va rifiutata e sostituita con altre misure (come quelle che Sel proporrà nella iniziativa pubblica del 28 ottobre, per info: www.giuliomarcon.it) che abbiano il segno del lavoro, della giustizia sociale, della sostenibilità.