Il Consiglio Supremo di Difesa vuole avere l’ultima parola in materia di F35. Ma per legge è il Parlamento che decide investimenti e stanziamenti sui sistemi d’arma
Con l’avallo del Presidente Napolitano, il Consiglio Supremo di Difesa – esaltato, sembra, dalle gesta dei militari in Egitto – ha detto al Parlamento: sui sistemi d’arma, ed in particolare sugli F35, non provate a mettere bocca. Cacciabombardieri, portaerei, carri armati: è tutta roba nostra, dicono i militari. Il Parlamento se ne stia tranquillo e non prenda decisioni (cioè non ponga “veti”), anche se fa quello che normalmente un Parlamento mette in opera per le sue ordinarie funzioni: approva leggi e vota atti di indirizzo politico (mozioni e risoluzioni) e ispettivo (interrogazioni e risoluzioni).
La settimana scorsa la Camera dei deputati ha votato due mozioni sugli F35. La prima (promossa da deputati Sel, M5S e alcuni del Pd e Scelta Civica) chiedeva lo stop definitivo agli F35 ed è stata bocciata. La seconda, della maggioranza di governo e approvata, ha di fatto rinviato la decisione e ha comunque bloccato nuove acquisizioni di cacciabombardieri, in attesa di una nuova decisione parlamentare.
Il fatto che il Parlamento se ne sia occupato e che sia stata approvata una timidissima mozione che comunque sospende temporaneamente gli acquisti degli F35 ha fatto infuriare i militari. Si tratta di una posizione inaccettabile, soprattutto in una democrazia che non accetta di stare sotto tutela. Non siamo né in Egitto, nè in Turchia. In una democrazia matura i militari non sono al di sopra degli altri poteri e della legge e sicuramente sono soggetti al potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Come tutti.
In più – sul finire della scorsa legislatura – è stata approvata una discutibilissima legge delega sulla difesa (che garantirà più risorse per le armi alle Forze Armate) che comunque prevede che il Parlamento (articolo 4 della legge 244 del 2012) si esprima sui sistemi d’arma e ne autorizzi o blocchi investimenti e stanziamenti annuali. Il Consiglio supremo della difesa sembra dimenticarsi di questa legge, che deve rispettare e alla quale deve sottomettersi.
Tra l’altro il Ministro della difesa Mauro ha provocatoriamente affermato che il Parlamento avrebbe pure potuto decidere di riportare gli F35 da 90 a 131. Ma allora perché il Parlamento può decidere di aumentare il numero di F35 ma gli è vietato discutere se interromperne la produzione? Lo stesso ministro, che – in sintonia con il Consiglio supremo della difesa – ha seguito con sufficienza e fastidio il dibattito parlamentare sugli F35, ha definito in modo spericolato e demagogico i cacciabombardieri come “strumenti di pace” e poi, suscitando un po’ di ilarità, ha detto che per “amare la pace, bisogna armare la pace”.
Se vuoi la pace, prenditi gli F35, sembra dire il ministro. E il Consiglio supremo di difesa si incarica di dirci che la democrazia va bene, ma non troppo, per favore, soprattutto se interferisce con i privilegi della casta dei militari. Si tratta di affermazioni gravi e inaccettabili per un paese democratico e che ha una Costituzione che con l’articolo 11 (l’Italia ripudia la guerra) ci dice chiaramente che aerei come gli F35 sono incompatibili con la pace. Un occasione per ribadirlo c’è: tra 10 giorni il Senato voterà altre mozioni sugli F35. Ci sono quelle di Sel e dei 18 senatori del Pd guidati fa Felice Casson che chiedono la sospensione del programma F35. Il Parlamento non si faccia intimidire dai militari e voti l’11 luglio al Senato lo stop agli F35 destinando le risorse al lavoro. La democrazia è più importante dei cacciabombardieri.