Poche luci e molte ombre nel decreto “del fare” appena varato dal governo delle larghe intese. Tra le misure peggiori la cancellazione della tassa sulle barche di lusso
Il decreto di 80 articoli del governo Letta – il decreto del “fare”- presenta luci ed ombre.
Tra le misure migliori, sicuramente lo stanziamento di 3 miliardi di euro (prendendoli dalle risorse sul Ponte sullo Stretto e – temporaneamente – dalla Tav) per le cosiddette “piccole opere” -dalla messa in sicurezza delle scuole alla manutenzione del territorio, dal trasporto pubblico locale alla riqualificazione energetica degli edifici – e altre opere sicuramente più utili della Tav: come la linea C della metropolitana di Roma.
Tra le misure peggiori – anche dal punto di vista simbolico – la cancellazione (per le barche fino a 14 mt) o la riduzione (per quelle fino a 20 mt) delle tasse sulle barche di lusso o giù di lì. Si trattava di quel po’ di patrimoniale che abbiamo – accanto all’imposizione fiscale sugli immobili – e che Monti, giustamente, aveva introdotto: con il decreto del “fare”, si toglie in questo modo un po’ di tasse alle classi di reddito medio-alte. Che tutto questo faccia ripartire il settore della nautica è abbastanza improbabile. E comunque: a parte la questione di giustizia fiscale sono ben altri i settori industriali da far ripartire e da aiutare e con i quali far rilanciare l’economia e creare nuovi posti di lavoro.
Vi sono poi altre misure – incentivi ed agevolazioni alle imprese per gli investimenti, sblocco parziale del turnover all’università, il taglio della bolletta elettrica, la semplificazione amministrativa, ecc – di cui è difficile valutare da subito l’impatto e soprattutto la realizzabilità in tempi brevi. Si staglia sullo sfondo del decreto “fare”, l’incubo dell’aumento di un punto dell’Iva (probabilmente rimandato alla discussione sulla legge di stabilità) e l’abolizione (totale o parziale sulla prima casa): la soluzione per il momento è il rinvio.
Ma questo elenco di misure in ordine sparso e l’incertezza sull’Iva e sull’Imu rimanda ad una questione di fondo: qual è la linea di politica economica, strategica, del governo? Saccomanni e Letta avevano preso un impegno – all’atto dell’insediamento di questo governo – di presentare una “nota di variazione” al Def del governo Monti, presentato quando la precedente compagine stava già facendo le valigie, e quindi da riscrivere. È passato più di un mese, ma di questa “nota di variazione” (determinante per capire qual è la linea del governo) non si ha notizia: c’è chi dice che arriverà a settembre. Nel frattempo il governo naviga a vista e rimanda le questioni più scottanti.
Si può sicuramente “fare” meglio, allora. Abbiamo bisogno di risorse, e tante: riducendo la spesa (militare e delle grandi opere) e con una politica fiscale che chieda a chi ha di più. Questo il punto di fondo. Tra i nodi non sciolti c’è proprio quello di una politica fiscale che abbassi l’imposizione su lavoro e imprese e la aumenti su patrimoni e rendite. Per il momento non è questa la linea intrapresa dal governo. Ma è questo ciò di cui il paese ha bisogno.