Al voto il Documento di economia e finanza: già smentito e superato dagli eventi, mantiene l’impostazione dell’Agenda Monti. E non è chiaro cosa cambieranno Letta e Saccomanni
Lunedì 6 e martedì 7 maggio il parlamento discuterà e approverà il Documento di economia e finanza (Def) scritto dal governo Monti e che poi dovrà essere aggiornato entro la fine del mese dal nuovo governo Letta. Il Def che sarà approvato con i voti della maggioranza il 7 maggio è sostanzialmente un documento inservibile. I conti sono in gran parte da rivedere, le stime sono gonfiate, non c’è un’agenda di priorità per il futuro ed il “programma nazionale di riforma” è essenzialmente senza indicazioni e contiene solo l’elencazione delle misure in corso.
Inoltre il Def da approvare è sopravanzato dagli eventi: con le proposte di Letta di “superamento” dell’Imu e di cancellazione dell’aumento dell’Iva previsto a partire dal mese di luglio, i conti del Def vanno radicamente rivisti: servono per queste misure dagli 8 ai 10 miliardi di euro, che ancora non si sa dove Letta troverà. Bisognerà aspettare la “nota di aggiornamento” del governo prevista entro un paio di settimane per capire come verranno applicate e coperte queste misure e per capire nella sostanza qual è il vero Def e gli indirizzi di politica economica del governo nei prossimi mesi.
Il Def che verrà approvato dal Parlamento martedì 7 è quindi sostanzialmente un Def per larga parte “finto”. E nonostante questo – anche se verrà approvato con un voto “tecnico” che sostanzialmente rinvia la vera discussione alla nota di aggiornamento- è un Def da bocciare e rinviare al mittente. Nel Def c’è la riproposizione delle politiche seguite dal governo Monti nei suoi 17 mesi di lavoro: la riforma Fornero, le grandi opere, le liberalizzazioni dei servizi pubblici, la riforma pensionistica, l’alienazione del patrimonio pubblico, ecc. La “fotografia” scattata nel Def del governo Monti è la rivendicazione di politiche sbagliate e da rifiutare: quelle dell’austerità, della rinuncia alla crescita, della mortificazione dell’equità sociale. E il “programma nazionale di riforma” oltre ad essere sostanzialmente una scatola vuota contiene altresì una serie di obiettivi modestissimi rispetto al piano “Europa2020” (come la riduzione del tasso di disoccupazione e dell’abbandono scolastico, l’aumento degli investimenti nella ricerca e lo sviluppo delle rinnovabili) che anche se venissero realizzati, non ci farebbero allontanare dalla posizione di fanalino di coda dei paesi europei.
Ma se il Def in discussione è una sorta di sigillo sui 17 mesi del governo Monti, non è detto che il nuovo governo -nella sua ispirazione di fondo- se ne discosti molto, come ha fatto intendere il nuovo ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni nell’audizione in parlamento del 2 maggio scorso. Forse si potranno trovare delle risorse per dare seguito alle promesse di Letta (accontentando così’ il Pdl sull’Imu), ma il rigore sulla spesa (cioè nuovi tagli) non sembra venir meno. E quindi, ad eccezione delle misure su Iva e Imu, la nuova “nota di aggiornamento” non è detto che porti altre variazioni significative, se non qualche nuovo e reiterato decalogo di buone intenzioni. E mentre per l’Imu e l’Iva le scadenze sembrano certe, per cassintegrati, esodati e precari ci sono solo molte promesse e nessuna data sicura.
A parole sempre di più in molti (anche quelli che fino a qualche settimana fa avevano una diversa opinione) si scagliano contro le politiche di austerità, nei fatti sono ancora i mercati e le tecnocrazie europee a dettare la linea. Tra vecchio Def di Monti e la prossima “nota di aggiornamento” del governo Letta, la parola “discontinuità” è tutta ancora da scrivere. E con questa anche la parola “fine” alle politiche di austerità sembra lontana.