I numeri, i fatti, le prospettive dei “pesci grossi”. Con quest’articolo sbilanciamoci.info inizia un viaggio-inchiesta nelle grandi imprese italiane. Una serie di istantanee raccontate e non patinate. Cominciamo dalle parti del Capo: la Mondadori
La Mondadori è una società quotata in borsa, controllata con oltre la metà del capitale dalla finanziaria di partecipazioni Fininvest, a sua volta partecipata da numerose finanziarie con lo stesso prefisso “Italiana holding” e suffisso un numero compreso tra 1 e 24, ufficialmente riconducibili al dott. Silvio Berlusconi o a membri della sua famiglia.
L’attività del gruppo Fininvest si estende in Italia in ogni campo del settore della comunicazione: televisiva e cinematografica, attraverso il gruppo che fa capo alla società quotata Mediaset; della carta stampata con il gruppo Mondadori; radiofonica e pubblicitaria sia con Mediaset che con Mondadori; sportiva con il Milan; finanziaria con il gruppo quotato Mediolanum.
La presenza estera è limitata alla Spagna nel settore televisivo e alla Francia in quello dei periodici. Al di là di alcune limitate sovrapposizioni tra Mediaset e Mondadori, la struttura societaria del gruppo Fininvest attribuisce un ruolo ben definito a ciascuna controllata.
Il gruppo Mondadori copre il segmento di mercato più tradizionale della carta stampata, con un’attività che si estende dalla produzione libraria a quella delle riviste periodiche, dalla raccolta pubblicitaria alla commercializzazione al dettaglio; la presenza nei quotidiani è assicurata dalla quota del 40 per cento circa nella società europea di edizioni controllata per la restante quota dalla Paolo Berlusconi editore che pubblica “Il giornale”.
In una fase in cui la carta stampata soffre la concorrenza dell’editoria elettronica, le linee strategiche della Mondadori sono volte a concentrare l’attività nel core business editoriale (nel secondo semestre del 2008 ha ceduto la storica attività di stampa) e ad avviare alcuni progetti multimediali, prevalentemente insieme a Mediaset, la cui portata, tuttavia, non sembra tale da rappresentare una concreta opzione di riconversione produttiva.
Il 27 aprile l’assemblea degli azionisti ha approvato i bilanci 2009 del gruppo Mondadori e della capogruppo chiusi rispettivamente con un utile di 34,3 mln di euro e di 53,2 mln di euro; come l’anno scorso, quando il risultato consolidato fu di 97,1 mln di euro (66,2 per la capogruppo), è stato deciso di non distribuire alcun dividendo agli azionisti. Si tratta di un comportamento non usuale per la controllante Fininvest che “limitandosi alla gestione di carattere finanziario della partecipazione detenuta” decide in genere di ripartire fra i soci la quasi totalità del risultato delle partecipate.
A prima vista la prudenza dei soci e degli amministratori non sembra giustificata dai dati di bilancio: il patrimonio netto del gruppo è pari a circa 545 milioni di euro, un valore lievemente superiore all’indebitamento finanziario e nell’ultimo anno si è avuta una diminuzione delle passività finanziarie nette dell’ordine di 140 milioni di euro.
La relazione degli amministratori mette tuttavia in evidenza che nel 2009 la “situazione di mercato [è stata] di straordinaria complessità e negatività”. Il fatturato consolidato si è attestato a 1.540,1 mln di euro, in diminuzione del 15,3% rispetto ai 1.819,2 mln di euro del 2008 e del 21,4% rispetto ai 1.958,6 mln di euro dell’anno precedente; sebbene alla riduzione del giro d’affari abbia contribuito la citata cessione dell’attività di stampa, la contrazione dei ricavi ha riguardato, come già l’anno precedente, tutte le aree di affari:
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Servizi pubblicitari 250,4 mln (-24,4%)
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Periodici Italia 494,3 mln (-14,1%)
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Periodici Francia 343,5 mln (-8,2%)
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Radio 13,8 mln (-6,8%)
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Direct 20,9 mln (-6,3%)
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Libri 425,7 mln (-2,0%)
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Retail 194,0 mln (-0,3%)
Le difficoltà commerciali si sono riflesse nel processo di formazione del reddito con il peggioramento di tutti i margini reddituali del gruppo, malgrado le drastiche azioni di contenimento dei costi e in particolare di quelli del personale, scesi dell’8%, anche per la diminuzione della compagine, ridottasi di 175 unità, principalmente all’estero (il dato è al netto del deconsolidamento della divisione stampa che impiegava oltre 1.300 addetti). Delle varie aree di business soltanto la divisioni libri ha mantenuto un contributo apprezzabile alla redditività aziendale. La partecipazione di minoranza nella società editrice de “Il giornale” ha pesato sui conti dell’ultimo triennio per non meno di 25 milioni di euro.
Con la crisi, la diffusione del gruppo Mondadori si è ristretta al mercato domestico, dove si è registrato un calo del fatturato del 13,5% e alla Francia, dove si è formato circa il 22% dei ricavi; il giro d’affari realizzato negli altri Paesi si è prosciugato al 2-3% del totale. Già a livello di margine operativo, il contributo reddituale dell’attività estera è stato negativo (la perdita operativa della divisione “periodici Francia” è stata di 7,2 milioni).
Il dettaglio della situazione patrimoniale mette in luce che il patrimonio netto tangibile del gruppo (cioè al netto delle attività immateriali) è negativo per 360 milioni di euro e il disavanzo sale a 430 milioni ove si considerino gli avviamenti relativi alle partecipazioni non consolidate detenute in portafoglio (le principali: gruppo Attica Publication, gruppo Random house Mondadori, Edition Mondadori Axel Springer).
L’esame disaggregato degli oltre 900 milioni di euro di attività immateriali iscritte in bilancio si riferiscono prevalentemente:
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all’acquisizione per 408,4 milioni di euro di Mondadori France, la divisione francese in perdita del gruppo, il cui fatturato non raggiunge i 350 milioni di euro;
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per 222,8 milioni di euro al valore delle testate periodiche: “Le chasseur français”, “Closer”, “Telestar”, “Pleine vie”, edite in Francia dalla predetta divisione; di queste riviste, la principale è Le Chasseur Français, un mensile noto fin dalla fine della prima guerra mondiale per i suoi annunci matrimoniali, la cui ampia diffusione è peraltro in progressivo calo almeno da una decina d’anni;
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per 123,8 milioni di euro alle frequenze radiofoniche relative al canale “radio 101” che nell’ultimo anno ha realizzato un giro d’affari inferiore a 15 milioni di euro e registrato una considerevole perdita già a livello di risultato operativo;
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per 84,3 milioni di euro alle testate “Telepiù”, “Chi” e “Sorrisi e canzoni TV”, acquisite nel 1994 successivamente alla nota “guerra di Segrate” dalla Silvio Berlusconi Editore, per le quali la relazione degli amministratori segnala che “il comparto dei televisivi soffre da parecchi anni di un calo tendenziale delle diffusioni”.
Nelle partecipazioni non consolidate, pari, a patrimonio netto, a 143,3 milioni di euro, sono racchiuse immobilizzazioni immateriali per circa 70 milioni di euro. La situazione più problematica riguarda la casa editrice greca “Attica publication”, quotata in borsa, il cui 42% è iscritto a 37,5 milioni di euro, a fronte di attività immateriali per 34,1 milioni di euro e un risultato netto negativo per oltre 500.000 euro; nella relazione integrativa è scritto che “il valore della quotazione in borsa non è ritenuto rappresentativo del fair value”.
La svalutazione in dichiarazione dei redditi di euro degli attivi immateriali per circa 260 milioni di euro ha consentito il differimento del pagamento di imposte per circa 81 milioni.
I principi contabili internazionali applicabili alle società quotate europee (IFRS, ex IAS) richiedono che le attività immateriali siano annualmente sottoposte a test per valutare se il valore riportato in bilancio rispecchi un effettivo valore economico (impairment test). Alla luce delle suddette considerazioni e nell’attuale situazione di crisi di mercato, diventa vieppiù importante che la procedura di verifica sia realistica e condotta sulla base di proiezioni di cassa ragionevoli e attendibili.
Lo scorso 3 marzo la Consob, la Banca d’Italia e l’Isvap hanno diffuso un documento congiunto nel quale hanno ribadito la necessità che gli esponenti aziendali “si adoperino affinché le relazioni finanziarie risultino idonee a rappresentare in maniera chiara, completa e tempestiva i rischi e le incertezze cui le società sono esposte, il patrimonio di cui dispongono per fronteggiarli, la loro effettiva capacità di generare reddito”; il documento individua come area informativa prioritaria nell’assicurare un elevato livello di trasparenza “la valutazione dell’avviamento (cd. impairment test), delle altre attività immateriali a vita utile indefinita e delle partecipazioni”.
In ossequio a tale indicazione, gli amministratori hanno individuato cash generating unit di riferimento ed esposto i risultati dei test aziendali che confermerebbero il valore degli attivi; su di essi la società di revisione contabile Reconta Ernst & Young S.p.A., che dovrebbe asseverare per il pubblico le poste di bilancio, non ha espresso dubbi.
Con le informazioni pubbliche disponibili, è tuttavia arduo stimare che le attività estere, quelle radiofoniche e i periodici televisivi del gruppo Mondadori siano in grado di generare nel prossimo futuro risorse finanziarie tali da giustificare i valori iscritti in bilancio, tenendo conto, per esempio, di quanto gli amministratori scrivono sulla divisione francese: “lo scenario che contraddistingue i Periodici Francia è caratterizzato dalla diminuzione dei ricavi pubblicitari, dalla contrazione delle diffusioni, sia pur con effetti più limitati rispetto all’Italia, e dalla crescente concorrenza nel segmento up-market, fattori di rischio che la Divisione si propone di fronteggiare con la razionalizzazione del portafoglio testate (cessione/restyling) e la riorganizzazione della rete vendita della pubblicità”.
Nel corso dell’assemblea degli azionisti, l’amministratore delegato del gruppo ha poi reso noto che nel primo trimestre dell’anno la raccolta pubblicitaria dei periodici italiani è calata di un ulteriore 3 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.
Nel caso in cui test più affidabili portino all’azzeramento delle suddette attività immateriali, il deficit patrimoniale del gruppo Mondadori sarebbe dell’ordine di 350 milioni di euro, al lordo dell’effetto fiscale. Ove tale ipotesi fosse avvalorata, nel breve periodo la continuità aziendale sarebbe garantita dalla disponibilità di linee di credito concesse in occasione della ristrutturazione del credito realizzata nel corso dello scorso anno (Intesa San Paolo ha concesso una linea di credito di 130 milioni di euro con scadenza 2015, i termini delle linee di finanziamento bancario, in particolare nei confronti del “club deal” sono stati prolungati). Ciò nondimeno se le perdite avessero eroso l’intero patrimonio, sarebbe necessario un aumento di ricostituzione del capitale sociale; l’organizzazione di un consorzio di garanzia del buon esito di un’operazione di ricapitalizzazione non dovrebbe essere difficile da parte di una società il cui presidente siede nel consiglio di Mediobanca.
Le società quotate sono soggette alla vigilanza della Consob che ha poteri di intervento amministrativo da graduare in relazione alla gravità delle censure sulla affidabilità dei bilanci; come ricordato dal direttore generale della Consob, dott. Rosati, nella recente audizione alla commissione finanze della Camera (17 marzo), nei casi più gravi l’autorità di vigilanza può chiedere alla magistratura di annullare le delibere di approvazione sia del bilancio individuale sia di quello consolidato (la cosiddetta impugnativa). Per ovvie esigenze di trasparenza del mercato e nell’interesse degli investitori sarebbe auspicabile una pronta presa di posizione pubblica della Consob in materia, eventualmente anche sulla base delle informazioni riservate che essa ha il potere di acquisire dalle società vigilate.