Bocciata sulle emissioni di Co2, l’Italia ha invece buoni risultati sull’efficienza energetica. Ma non valorizza il suo patrimonio virtuoso. Ecco come potrebbe farlo
E’ noto il fatto che l’Italia è in grave ritardo nel rispetto degli obiettivi della politica climatica europea, sia con riferimento a quelli di Kyoto per il periodo 2008-2012, sia in relazione agli obiettivi nazionali al 2020 impliciti del pacchetto energia e clima, pubblicato dall’Ue nel giugno 2009. Meno noto è invece il fatto che, sia pure in tale contesto negativo, abbiamo anche alcuni primati nel campo dell’efficienza energetica (a partire dalla bassa intensità energetica totale e negli usi finali dell’energia) che spesso il paese non conosce e che, dunque, non valorizza in termini politici e di sistema (1).
Tale risultato si deve, in linea generale, alla rendita di posizione che deriva dai miglioramenti di efficienza ottenuti in seguito alla crisi petrolifera del 1973, che si è assottigliata nel tempo (non si registrano miglioramenti del livello di intensità energetica finale dal 1986) ma che rappresenta tutt’oggi un patrimonio – innanzitutto industriale – di grande valore (i materiali, le tecnologie e i sistemi per l’efficienza energetica sono offerti praticamente da tutti i settori dell’industria italiana). E’ proprio su questo patrimonio che occorre oggi puntare con convinzione, non solo per raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni ma soprattutto per incrementare la competitività dei nostri beni e servizi su mercati globali che dovranno necessariamente fare i conti con prezzi dell’energia elevati e con la riduzione delle emissioni di CO2. La rilevanza di quest’opportunità è dimostrata dal recente accordo strategico della Fiat negli Stati Uniti, reso possibile dalla sua posizione di primato nel settore auto in termini di emissioni di CO2/km del venduto europeo, un primato che è probabilmente globale, visto che gli standard europei sono diventati – col nuovo regolamento CE 443/2009 per la riduzione della CO2 delle auto nuove – i più stringenti a livello mondiale. Dall’analisi più dettagliata della situazione attuale dell’Italia emergono con chiarezza, accanto ad alcune eccellenze in termini di efficienza come il settore termoelettrico, i settori relativamente più arretrati che costituiscono la priorità d’intervento, come il riscaldamento del settore residenziale e i trasporti merci e passeggeri.
Come mai se siamo tra i primi per efficienza, siamo fra gli ultimi nel rispetto degli obiettivi di CO2? In valore assoluto consumiamo molta energia e produciamo molte emissioni ma – semplificando – consumiamo tanta energia e produciamo tanta CO2 perché produciamo molti prodotti per l’esportazione, ospitiamo molti turisti e ci piace muoverci in autonomia. Non certo perché siamo spreconi quando facciamo queste cose, anzi: molti indicatori dimostrano che siamo relativamente più attenti degli altri paesi europei e molto più attenti rispetto agli altri paesi del globo. Il problema è che invece di cercare di individuare i nostri punti di forza e scommettere su di essi, abbiamo peccato di un eccesso di provincialismo e ci siamo seduti a guardare con invidia gli altri che innovavano in base ai loro punti di forza. Non abbiamo capito che i nostri primati nell’efficienza non sono dovuti al caso, ma sono strettamente legati al patrimonio produttivo, tecnologico, di imprenditorialità diffusa del nostro paese – oltre che ad una nostra vocazione sociale al risparmio nei consumi, alla prudenza e all’eleganza, che non è mai fatta di eccessi. A quella domanda avremmo dovuto dare tempestive risposte da molto tempo, ancor prima di Kyoto e, più recentemente, in occasione dell’ultimo burden sharing comunitario cioè quello del pacchetto energia e clima di gennaio 2008 che ha imposto al nostro Paese obiettivi molto ambiziosi e con costi assai superiori relativamente ad altri stati membri ben più ricchi di noi (cfr. articolo “La strategia europea nel contesto globale e le sue implicazioni per l’Italia”, rivista Efea, n. 4 2009). Invece di fare dell’efficienza un obiettivo comune, in Europa e fra i paesi industrializzati innanzitutto, abbiamo accettato impegni di riduzione delle emissioni basati su criteri vantaggiosi per gli Stati più spreconi e con Pil procapite più elevato. E’ ben noto, infatti, che i costi incrementali della riduzione dei consumi di energia sono maggiori per i paesi più efficienti e che uguali riduzioni percentuali delle emissioni degli stati possono nascondere profonde iniquità sotto il profilo economico, soprattutto se gli stati relativamente più spreconi di energia sono anche gli stati relativamente più ricchi per capacità economica individuale (Pil procapite).
Inutile piangere sul passato. Se l’Italia si è fermata e se ci sono ancora opportunità – come sembrerebbe dai dati comparativi – deve ripartire. Dobbiamo individuare gli ostacoli che stanno frenando la ripresa del miglioramento dell’efficienza energetica nel nostro paese. Dobbiamo moltiplicare lo sforzo di valutazione delle politiche, degli strumenti, dei punti di forza e di debolezza, ricordando che, per poter intervenire in maniera efficace, la politica ha innanzitutto bisogno di un supporto conoscitivo adeguato. Ad esempio, la valutazione dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) sugli investimenti previsti al 2050 per ridurre le emissioni del 50% a livello globale, afferma una direzione ben precisa: il 53% della riduzione delle emissioni rispetto allo scenario tendenziale sarà dato da interventi di efficienza energetica, sopravanzando il contributo delle fonti rinnovabili (21%), della cattura e sequestro del carbonio (19%) e del nucleare (6%). Inoltre, i corrispondenti investimenti in tecnologie di efficienza energetica assommeranno, con 950 miliardi di dollari l’anno sui 1300 circa previsti nello scenario Blue Map, al 73% degli investimenti complessivi, superando ampiamente lo sforzo richiesto nelle tecnologie low carbon.
Volgiamo ora il nostro pensiero alle attuali direzioni d’investimento dell’Italia: combaciano? La risposta è ovvia: stiamo investendo su priorità diametralmente opposte. Si noti che la maggior parte degli investimenti previsti dall’Aie riguarda le nuove tecnologie di trasporto: nuove navi innovative, nuovi veicoli per il trasporto delle merci, mezzi di trasporto di massa dei passeggeri, nuovi modelli di autovetture e di aerei. Chi, se non il nostro paese, con Fincantieri e gli altri cantieri navali, con Fiat, Iveco e la filiera dell’industria meccanica ed elettro-tecnica, con Ansaldo leader dell’alta tecnologia per il trasporto ferroviario e metropolitano, con le sue grandi e piccole imprese di costruzioni che realizzano opere civili utili in tutto il mondo, dovrebbe realizzare queste innovazioni e realizzare queste opportunità di investimento?
Perché in Italia non si investe nell’efficienza energetica? E’ un problema economico? In teoria no. Le misure di efficienza energetica sono molto convenienti per la collettività. A fronte di un investimento iniziale, consentono a medio e lungo termine ingenti risparmi sui costi e sulle bollette delle varie forme di energia, aumentando la produttività delle imprese e liberando risorse per altre forme di spesa dello stato e delle famiglie. Disponiamo poi di una vasta gamma di strumenti di incentivazione, sicuramente migliorabili, ma intanto ci sono. Anche le banche stanno predisponendo strumenti ad hoc, per grandi e piccoli utenti. Il problema dell’efficienza è quindi un problema di politiche. Di priorità e convinzione nelle politiche di governo. In termini di potenziale quantitativo, gli interventi di efficienza energetica economicamente convenienti, con le tecnologie già oggi disponibili, riguardano tutti i settori di trasformazione e di uso finale dell’energia. L’efficienza energetica rappresenta quindi un’area di investimento imprescindibile per uscire dalla crisi economica.Una recente valutazione dell’Enea del potenziale di abbattimento delle emissioni in Italia e dei relativi costi in uno scenario di accelerazione tecnologica al 2020 (un’elaborazione preziosissima per l’impostazione delle politiche su energia e clima a medio e lungo termine, che per la sua delicatezza andrebbe curata in maniera indipendente, motivata in maniera trasparente e aggiornata con periodicità) conferma che, fra le varie opzioni per la riduzione della CO2, gli interventi di efficienza energetica sono quelli che offrono il maggior potenziale e sono gli unici a non avere costi sociali netti per tonnellata di CO2 ridotta poiché nella maggior parte dei casi presentano un vantaggio economico netto per la collettività. Diversamente dagli investimenti nel nucleare (circa 75 euro/tonnCO2), nelle fonti rinnovabili (30-230 euro/tonnCO2), e nelle tecnologie di cattura e sequestro del carbonio (25-30 euro/tonnCO2): per i loro extracosti rispetto alle forme convenzionali di produzione di energia, tutte queste tipologie di riduzione della CO2 richiedono regimi di incentivazione economica il cui allestimento è a carico dello Stato oppure a carico degli utenti di energia, in quest’ultimo caso con effetti di impoverimento delle fasce di utenti più deboli. Secondo l’ENEA, il potenziale complessivo nazionale di riduzione della CO2 delle misure di efficienza energetica al 2020 (nei trasporti, nell’industria e negli altri settori) è di 60 Mt. C’è poi un ulteriore potenziale di circa 16 Mt di CO2, dato dalle forme “strutturali” di risparmio energetico, misure che comportano il cambiamento di comportamenti di consumo o l’abbandono di produzioni non più competitive, il cui costo sociale è di circa 80 euro/tonn. CO2, un livello comparabile ai costi attualmente previsti per il nucleare e per alcune fonti rinnovabili come le biomasse e l’eolico (particolarmente oneroso nel nostro paese a causa di condizioni di ventosità e localizzazione poco vantaggiose).
Se è sull’efficienza energetica che l’Italia deve scommettere, qual è il suo contributo alla realizzazione dei nuovi obiettivi comunitari al 2020? Basandoci sul nuovo scenario tendenziale formulato dall’Enea nel luglio del 2009 (rapporto Energia e Ambiente) che tiene conto degli effetti della crisi economico-finanziaria, i 60 Mt di CO2 risparmiati nel 2020 mediante interventi di efficienza energetica equivalgono a circa il 12% delle emissioni dell’Italia. Rispetto allo scenario tendenziale, che sconta un’uscita lenta e graduale dalla crisi (emissioni di CO2 2020: -5% rispetto al 2005), l’apporto delle misure di efficienza consente una riduzione della CO2 del 17% nel 2020 rispetto al 2005 che, in base alle stime in nostro possesso, è esattamente l’obiettivo complessivo dell’Italia implicito nei provvedimenti del pacchetto su energia e clima (come noto, il pacchetto stabilisce un obiettivo europeo per i settori ETS del -21% nel periodo 2005-2020 e un obiettivo nazionale per i settori non ETS del -13% nel periodo 2005-2020: l’obiettivo complessivo nazionale degli Stati Membri in tutti i settori (ETS e non-ETS) è quantificabile solo mediante stima). Si noti inoltre che, sempre in base alle stime in nostro possesso (EkoInstitute, 2008), l’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’Italia del -17% nel periodo 2005-2020 corrisponde al -3% circa nel periodo 1990-2020, in quanto le emissioni dell’Italia sono cresciute nel primo quindicennio 1990-2005.
Ovviamente, questo non significa affatto che per puntare sull’efficienza energetica dobbiamo abbandonare tutte le altre opzioni di riduzione dei gas serra, ma è solo la dimostrazione che le politiche di efficienza dovrebbero godere di una priorità rispetto alle altre opzioni, una priorità che è invece smentita nei fatti dall’attuale politica di governo, concentrata sul rilancio del nucleare e sospinta a promuovere le fonti rinnovabili con interventi puntuali o parziali, senza un approccio complessivo. Senza pretendere di avventurarmi in un dibattito sul nucleare, vorrei solo mettere in rilevo le cifre del potenziale di risparmio al 2020 negli usi finali di elettricità, che è il settore dove il nucleare può fornire un contributo. Prendendo come riferimento il potenziale stimato dall’Enea – su cui concordano anche altre autorevoli stime – entro il 2020 si potrebbero evitare consumi finali di elettricità per 73 TWh l’anno, cioè il 22% circa dei consumi finali lordi del 2008. Questo enorme potenziale di risparmio energetico al 2020 corrisponde alla produzione di 6-7 grandi centrali nucleari della taglia ipotizzata dal governo (1600 MW), ammesso che siano realizzabili entro il 2020. E’ infatti questa la prerogativa che fa la differenza fra l’efficienza energetica e le altre opzioni basate su innovazioni radicali, siano esse soluzioni hard come il nucleare o soft come le rinnovabili. Le misure di efficienza energetica sono a portata di mano, sono immediatamente realizzabili oggi, consentono di prender tempo laddove le innovazioni radicali non siano ancora mature in termini di prestazioni e di costi.
(1) Si sintetizzano qui i risultati della recente indagine degli Amici della Terra sul posizionamento dell’Italia negli indicatori su energia e clima (“Il posizionamento del sistema Italia su Energia e Clima: eccellenze, ritardi, omissioni”, www.amicidellaterra.it)
In allegato la tabella con “La Pagella dell’Italia”.
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