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Politica e statistica, così è se ci pare

Numeri veri, numeri esagerati, numeri taroccati. Come si misura un Paese? Il mondo statistico dibatte, dopo l’ultima del premier sul sostegno ai disoccupati

Ma allora siamo meglio dei paesi scandinavi! Qualsiasi lavoratore che perda il lavoro in Italia riceve un aiuto dallo Stato pari addirittura all’80%, e se lo dice il primo ministro sarà pur vero! O forse avrà ragione la Banca di Italia denunciando il fatto che più di un milione e mezzo di lavoratori sono lasciati senza ammortizzatori? La politica è entrata a gamba tesa sulla statistica. Si appropria di alcuni risultati rendendoli faziosi (si pensi ai salari in Italia che secondo alcuni sarebbero tra i più bassi dei paesi Ocse solo per via della tassazione), ne ignora deliberatamente altri (i dati sull’immigrazione e sulla sicurezza, per esempio) e infine alcuni li genera ex novo ad uso e consumo del momento mediatico (la cassa integrazione per i co.co.pro. appunto). Sono moltissime le condizioni che hanno portato al concretizzarsi di questa situazione. Si dovrebbe parlare del sistema informativo passivo e più spesso complice di una classe politica che approfitta del declino nel livello di educazione e fiducia politica della popolazione o del generale degrado politico-culturale, associato ad un preoccupante moltiplicarsi delle manifestazioni di intolleranza per il diverso, compreso chi la pensa diversamente (Putnam chiamerebbe tutto questo il lento erodersi del capitale sociale del paese). Ma c’è un fenomeno strettamente connesso a questo scenario che colpisce in maniera particolare il mondo della ricerca socio-economica, accademica e non: la mancanza di autorevolezza dei dati pubblicati dai principali istituti incaricati della produzione di statistiche ufficiali Isae, Istat, Isfol, più in generale tutto il Sistan (Sistema Statistico Nazionale, rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l’informazione statistica ufficiale) ma anche, evidentemente, la Banca d’Italia. Si badi bene non è che la gente non si fidi di quei dati (di fatto quasi il 60 percento degli italiani ha fiducia dei dati prodotti a livello ufficiale – anche se rimane un 40 che non lo fa -, secondo i dati pubblicati su D’Urzo , M. Gamba, E. Giovannini, M. Malgarini, About the Progress of their Country What Do Italian Citizens Know) ma quei dati non hanno di fatto la forza, quando citati, di porre ordine alla crescente massa di informazione/disinformazione a cui siamo sottoposti. Una delle conseguenze che questa situazione porta con sé è una diffusa e crescente divergenza tra la percezione della realtà -letta, ascoltata e vista tramite i mezzi di informazione- e la realtà per come può essere descritta dalle statistiche. E’ stato proprio questo il tema di un interessante dibattito che si è svolto durante una delle tavole rotonde organizzate nell’ambito della tradizionale conferenza Monitoring Italy. Il convegno, organizzato ogni due anni dall’Istituto di Studi e Analisi Economia Isae in collaborazione con l’Ocse, quest’anno si è concentrato sul tema della misurazione del progresso nella società italiana. Interrogandosi sulle origini della divergenza tra la percezione e la realtà il demografo Massimo Livi Bacci dell’Università di Firenze, Luca Paolazzi del Centro Studi Confindustria e Ignazio Visco della Banca d’Italia sono naturalmente incappati in questa triste e pericolosa realtà, a dire il vero non solo Italiana, in cui ogni numero può semplicemente essere messo in discussione. Non importa se prodotto da una fonte ufficiale. C’è dunque qualcosa che questi Istituti possono o devono fare? Una delle proposte più dibattute è stata quella sull’opportunità o meno che queste istituzioni, la cui indipendenza è stata ottenuta anche e soprattutto grazie ai calendari ufficiali, escano dai calendari stessi e intervengano più direttamente nel dibattito politico. Questa scelta, che permetterebbe forse di richiamare l’attenzione su dati ufficiali e legittimati dall’indipendenza degli istituti nazionali, rischierebbe però di metterne in crisi proprio l’indipendenza già fortemente a rischio in contesti, come quello europeo, in cui i governi vengono giudicati proprio alle luce di statistiche ufficiali (rapporto defici/PIL e inflazione sopra a tutti). La questione, di fatto, è rimasta aperta. Unico punto certo è il ruolo che stanno giocando in questa partita, e non solo, i mezzi di informazione, anche quelli più autorevoli, che si limitano a presentare tutto quello che succede nella scena politica come un semplice opporsi di opinioni divergenti ma altrettanto legittime, senza preoccuparsi, di verificare fonti e informazioni e soprattutto di fornirle al lettore/spettatore ascoltatore che sia. Non è forse un caso quindi che uno degli articoli più scaricati dal sito di sbilanciamoci.info nella scorsa settimana sia stato proprio quello in cui ci si limitava a pubblicare la tabella dei dati prodotti da Banca d’Italia sugli ammortizzatori sociali in Italia. Senza ulteriori commenti.