Ancien régime/Il Commissario inglese Hill è un ex lobbista, Meister dovrà difendere la Bce contro la sua ex Deutsche Bank. E si allontana la separazione tra banche commerciali e d’investimento
Le novità più recenti in materia di regolamentazione finanziaria sembrano purtroppo puntare tutte nella stessa direzione. Il Commissario ai servizi finanziari della nuova Commissione Juncker è l’inglese Jonathan Hill, un ex lobbista fino a poco tempo fa incaricato di rappresentare gli interessi del mondo del business presso le istituzioni, è ora nella posizione opposta. A quanto pare una nomina rafforzata dalla minaccia di una possibile uscita della Gran Bretagna dall’Ue.
Non è certo l’unico caso in cui le lobby sembrano essersi fatte pesantemente sentire in Europa. Il negoziato sulla tassa sulle transazioni finanziarie appare impantanato in un gioco di veti incrociati che rischia di portare a un accordo al ribasso e a una misura inadatta a frenare la speculazione.
Un altro ambito di fondamentale importanza in discussione in questi mesi è la separazione tra banche commerciali e banche di investimento per migliorare un sistema che appare da un lato estremamente fragile e dall’altro autoreferenziale e che non presta a imprese e cittadini: fatte 100 le risorse a disposizione del settore finanziario, meno di 30 vanno all’economia reale, mentre oltre il 70 per cento rimane all’interno della finanza. I tre quarti del debito delle grandi banche è detenuto da altre grandi banche, il che significa che al primo segnale di crisi rischia di partire un disastroso effetto domino.
Conglomerati che non solo prelevano risorse dall’economia e li spostano in operazioni di breve termine senza alcuna utilità sociale, ma che nel farlo ricevono persino un sussidio implicito: il trading è finanziato con fondi diretti ad attività a basso rischio (i depositi bancari). In altri termini le banche too big to fail giocano d’azzardo con i soldi e spesso all’insaputa dei depositanti che partecipano alle perdite ma non agli utili dell’attività speculativa. E non parliamo di spiccioli. La Commissione europea ha stimato tale sussidio implicito tra i 59 e i 95 miliardi di euro, ovvero tra un terzo e la metà dei profitti delle banche.
Secondo l’Ocse le banche più grandi, complesse e interconnesse, hanno bisogno di pochissimo capitale nei periodi buoni, ma non potranno mai averne abbastanza durante una forte crisi. Per tutti questi motivi serve una completa separazione tra banche commerciali e di investimento. Non parliamo solo di un minore rischio per la collettività, ma anche di una diminuzione del costo del credito e di una sua espansione, ovvero un trasferimento di risorse dalla sfera finanziaria verso imprese e cittadini. Le stesse istituzioni riconoscono come la mancanza di finanziamenti all’economia sia uno dei principali problemi dell’Ue, ma incredibilmente la soluzione, come avviene con i più recenti provvedimenti della Bce, passa dall’iniettare ancora più soldi nel sistema bancario e finanziario, senza cambiare le regole alla base del suo funzionamento.
A doversi separare in istituti di dimensioni più piccole sarebbero alcuni colossi bancari, principalmente di Gran Bretagna, Francia e Germania. Per pura coincidenza proprio Francia e Germania si sono opposte, scrivendo al Consiglio europeo per segnalare che una regolamentazione europea non dovrebbe andare oltre quello che già esiste a livello nazionale e che le proposte con un impatto sulle banche più grandi andrebbero rimosse.
Nel frattempo vengono pubblicati gli stress test della Bce, in base ai quali sono alcune banche dei Paesi della periferia ad avere le maggiori difficoltà. Peccato che tali stress test vadano a fare le pulci ai crediti erogati, ma non prendano in considerazione i rischi connessi all’attività di trading. Di fatto una banca appare tanto più sicura quanto più specula e quanto meno presta all’economia. Utilizzando criteri differenti, le banche con i maggiori problemi non sarebbero certo quelle identificate dalla Bce, ma i maggiori conglomerati, in particolare proprio in Francia e Germania.
Ultima in ordine di tempo, Edgar Meister è stato nominato alla supervisione bancaria nella Bce, nella sorta di organo di appello incaricato di dirimere le controversie che dovessero nascere tra la banca centrale e le grandi banche europee. Fino a due mesi fa, Meister era nel board di un fondo di investimenti della Deutsche Bank, e potrebbe oggi trovarsi a difendere gli interessi della Bce in una disputa contro la stessa Deutsche Bank.
L’elenco potrebbe continuare. Le normative continuano a essere cucite su misura per i pochi conglomerati che dominano – non solo finanziariamente – in Europa. In questa cornice sta scivolando via senza concreti passi in avanti la presidenza italiana dell’Ue. Le lobby ringraziano. L’economia italiana, e le banche legate al territorio e che finanziano imprese e cittadini, probabilmente molto meno.