Le banche non hanno imparato nulla dalla crisi. Continuano ad accumulare rischi da scaricare sul resto dell’economia e sullo Stato. Un gigantesco casinò ha preso il posto della finanza: è ora di chiuderlo
“Alla ricerca di aiuto, le banche spostano i rischi negli angoli più oscuri” (dei mercati finanziari). È il titolo di un articolo apparso in questi giorni sul New York Times. Il buon senso vorrebbe che in un momento di difficoltà si diminuisse l’esposizione al rischio. Al contrario, per non rinunciare a profitti potenzialmente elevati, diverse banche continuano a tenere in piedi operazioni estremamente avventate, poi “rivendono” e trasferiscono una parte dei rischi su soggetti a vocazione speculativa, quali gli hedge fund. Peccato che spesso anche fondi pensione e di investimento, ovvero lavoratori e piccoli risparmiatori, vadano poi a investire negli stessi hedge fund, alimentando una catena di Sant’Antonio del rischio globale.
Come prima, peggio di prima. Ricordiamo come nel 2007 una crisi del settore immobiliare statunitense e dei mutui subprime in particolare, si è trasformata in pochi mesi in una catastrofe finanziaria mondiale. Anche chi non aveva nessuna garanzia – i clienti “subprime”, appunto – otteneva un mutuo sul 100% del valore della casa che voleva acquistare perché le banche si disfacevano immediatamente del mutuo trasformandolo in uno strumento finanziario (tramite un’operazione chiamata di cartolarizzazione), impacchettandolo nelle famigerate “salsicce finanziarie” e rivendendolo così mimetizzato sui mercati finanziari di tutto il mondo. Ancora peggio, nei diversi passaggi i mutui venivano trasferiti nel sistema bancario ombra, un sottobosco di società registrate nei peggiori paradisi fiscali del pianeta, che operano come banche senza dovere però sottostare alle regole e ai controlli previsti per il sistema bancario.
Quando alcuni mutuatari hanno iniziato a non pagare più le rate, nessuno sapeva più dove fossero finiti questi mutui subprime. L’intero castello di carte è crollato. In breve tempo è esplosa una crisi finanziaria e ancora prima una crisi di fiducia sui mercati mondiali. Una crisi che ha causato la peggiore recessione degli ultimi decenni ed è costata decine di migliaia di miliardi agli Stati che sono dovuti intervenire per salvare il sistema finanziario che l’aveva provocata.
Dal G20 ai diversi capi di Stato e di governo, la posizione però era chiara: mai più una simile follia, ora e subito regole ferree per impedire altri disastri. Parole durissime e che non lasciavano spazio a dubbi. Parole. Perché nei fatti stiamo ancora aspettando. A distanza di sei anni dall’esplosione della bolla dei mutui subprime la pratica delle cartolarizzazioni è immutata, i paradisi fiscali godono di ottima salute, il sistema bancario ombra prospera, più opaco che mai. In questa fase di incertezza, le banche addirittura intensificano simili attività. In questo modo si possono moltiplicare i profitti privati finché le cose vanno bene, socializzando le perdite quando il giocattolo si rompe.
Un altro vantaggio è che tali operazioni permetterebbero di superare i paletti che potrebbero essere messi con le regole pensate per diminuire il rischio bancario, oggi in discussione negli Usa e in Europa. La finanza si è già inventata degli stratagemmi per eludere delle regole che non esistono ancora, mentre non si approva nemmeno su una misura di buon senso come una tassa sulle transazioni finanziarie. Le banche possono “giocare” con i loro bilanci, spostando le attività più rischiose nel sistema bancario ombra, mentre la Troika impone un ferreo controllo sui bilanci pubblici. Le grandi banche continuano a lavorare con leve finanziarie di 50 a 1 o anche superiori – attivi che sono il 5000% del patrimonio – ma se uno Stato europeo supera il 60% di rapporto tra debito e Pil deve rientrare a tappe forzate dall’eccesso di debito o pagare pesanti sanzioni. E via discorrendo.
Non è nemmeno più questione di regole. È una questione politica e culturale. La più gigantesca operazione di marketing della storia, che sentiamo ogni giorno quando ci ripetono che la crisi è legata all’eccessiva spesa pubblica e che dobbiamo ora accettare piani di austerità e misure lacrime e sangue. Non è vero. È un gigantesco casinò che ha preso il posto della finanza, e che bisogna chiudere una volta per tutte. Il motivo è riassunto in uno degli slogan di Occupy Wall Street: questa non è una recessione. È una truffa.