Cop 30 a Belem è stata un’occasione perduta, con il silenzio sulle fonti di energia fossile e il mancato confronto tra ricchi e poveri, tra petrolieri, scienziati e movimenti. Ma la vera sorpresa è stata il cambio di prospettiva sulle questioni del clima venuto da Bill Gates.
Belem, Cop 30 è un’occasione perduta. Un esame di coscienza e una ripartizione più equa tra aventi e non aventi, tra ricchi e poveri, in tema di ambiente non è avvenuto. Invece dell’atteso confronto internazionale, Cop 30 si è caratterizzata soprattutto per le scelte negative di Trump, il presidente degli Usa, smaccatamente, fragorosamente contrario alle energie rinnovabili (e favorevole al petrolio, sempre e dovunque).
L’associazione di Recommon KBPO (Kick Big Polluters Out) ha citato e documentato la presenza di 1773 lobbisti fossili tra le persone accreditate a Cop 29, novembre 2024 a Baku, Azerbaigian. A Belem, l’anno successivo, saranno di certo cresciute di numero. Tutto considerato, tenendo conto delle frequenti esagerate dichiarazioni del presidente Trump, non vi era niente di inatteso. Si sapeva da mesi quale sarebbe stata la posizione di smaccato favore del presidentissimo per le energie di origine fossile: petrolio, gas, carbone. Vi erano semmai dubbi, vi era qualche preoccupazione in merito alla risposta del resto del mondo. Come avrebbe reagito il buon mondo delle rinnovabili? L’insieme del pensiero ambientalista, quello emerso e riemerso dieci anni fa a Parigi al Cop 21, i cento e più Paesi firmatari, le migliaia di scienziati convinti di avere ragione, di non poter fare scelte diverse, per garantire il futuro dell’umanità? Avrebbero tutti dato battaglia o avrebbero preferito tirarsi da parte, senza reagire troppo accesamente, cercando piuttosto altre occasioni di dibattito o di veritabile litigio? Del tutto inatteso, però comprensibile, il sostanziale silenzio.
Come vedremo, nel “mutirão” (traducibile con lavoro comune, più o meno) finale, a conclusione del Cop 30 non c’è una frase, un rigo appena, una semplice parola, tale da rimettere in discussione o perfino tale da ricordare il lungo pensiero elaborato nel corso di decine e decine di dibattiti mondiali (e prese di posizione) avvenuti nel mondo ambientalista.
1.Alla vigilia della riunione plenaria di Belem, che si è svolta dal 10 al 21 novembre 2025, c’è stato però un colpo di scena, imprevisto da molti osservatori. Ha fatto scalpore la presa di posizione di Bill Gates che si può riassumere in tre sole frasi.
- il cambiamento climatico è un problema serio, ma non minaccia la fine della nostra civilità;
- la temperatura non è il modo migliore per misurare il nostro progresso climatico,
- salute e prosperità sono i migliori antidoti contro i cambiamenti climatici.
2.Bill Gates, quello di Microsoft, è considerato uno dei personaggi più autorevoli del mondo ambientalista (e del mondo nel suo complesso); e a ben vedere nel corso di decenni ha scritto, organizzato, finanziato tutto il sistema delle scienze di sopravvivenza umana che senza di lui e delle sue iniziative sarebbe certo meno vitale e impegnato, meno credibile, per dirla in una sola parola. Ora vediamo i suoi primi due assunti: il cambiamento climatico non è la fine della civiltà umana; la temperatura di per sé non misura il clima e come esso si modifichi e aumenti nel periodo più recente, è un dato sufficiente per far preoccupare i consueti esperti ; ma è soprattutto il terzo che suggerisce un atteggiamento nuovo e più in carattere con il veridico dettato della Cop di Belem; vi è contenuto infatti il suggerimento di occuparsi delle persone, in particolare di quelle che graviteranno intorno a Cop 30 e darsi da fare per migliorare la loro salute e prosperità, magari ridistribuendo quello che c’è. E perfino consiglia di darsi cura delle loro scelte di vita, non certo coincidenti con quelle delle zone più ricche del globo. All’attenzione dei delegati compare un testo che sottolinea tutto questo con un linguaggio forte e poco abituale nelle riunioni di vertice ambientale.
Torniamo però sulla prima osservazione-verità di Gates: il cambiamento climatico è un problema serio ma non minaccia la fine della civiltà.
Il grande dotto e industriale, protetto dagli ultra miliardi del suo patrimonio, gioca sul sicuro. Nessuno di noi sarà lì a dirgli “hai sbagliato” se mai la sciagura finale dovesse incorrere; in ogni caso, sarebbe – a conti fatti – tra così tanti anni che nessuno degli oppositori presumibilmente sarebbe vivo sulla Terra. Però è vero che una parte consistente della scienza ambientalista si basa sulla convinzione che il mondo possa dissolversi – prima o poi – in una nuvola di CO2, in un incendio devastante, come quello canadese di Fort McMurray raccontato da John Vaillant nell’Età del fuoco, ma grande come il mondo intero.
Il secondo assunto di Gates: la temperatura non è il modo migliore per misurare il nostro progresso climatico significa in ultima analisi che definire il nostro benessere tra caldo e freddo badando per esempio solo alle due temperature base di 1,5 e di 2 centigradi di variazione rispetto all’effetto serra del momento d’inizio dell’industrializzazione, è molto riduttivo. Nessun vivente avrebbe tanto animo scientifico per accontentarsi, in casi estremi di freddo o di caldo, di avere un’espressione corretta e in linea con le temperature globali. Ogni vivente però, ogni vivente che conta, saprebbe come proteggersi adeguatamente contro il calore eccessivo, con qualche dispiacere e rimpianto per la povera gente incapace. Due, tre generazioni di impianti ad aria condizionata sono lì a provarlo, come anche due tre generazioni di esodi e migrazioni dai tropici, intollerabilmente caldi (Come sopravvivere al disastro climatico è spiegato con larghe vedute e sensibilità da Gaia Vince ne “Il secolo nomade”).
3.Con la terza regola, per chiamarla così: salute e prosperità sono i migliori antidoti contro i cambiamenti climatici. Gates si mostra attento alle novità che stanno emergendo intorno a Cop 30 e a Belem della foresta, la sua imprevedibile sede.
“Nonostante il nome simbolico del documento finale, mutirão, che significa lavoro comunitario per conseguire un bene collettivo, questo testo farà il bene di pochi lasciando liberi i Paesi ricchi, che continueranno a procedere come hanno fatto finora: pochi aiuti ai Paesi vulnerabili, pochi obblighi e poche responsabilità”. Nel mutismo del mutirão manca del tutto un capitolo, perfino un accenno, in tema dell’uso dei fossili. Sconcerta nel lungo documento finale di Cop30, 18 fitte pagine, l’assenza di un accenno al peso ambientale (e negativo) di petrolio e di altri agenti fossili.
L’esistenza stessa di un’opinione diversa a Belem è però segnalata dalla (o da una) prima uscita di un gruppo di 40 Paesi, coordinati dalla Colombia, che presenta una prima opposizione all’andamento trumpiano del mondo ambientale maggioritario: “Noi sottoscritti, riuniti alla COP30 a Belém do Pará, ribadiamo la nostra comune determinazione a lavorare collettivamente per una transizione giusta, ordinata ed equa dall’uso dei combustibili fossili, in linea con percorsi coerenti con l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi”, si legge nel testo. I colombiani insistono: secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) “i combustibili fossili sono i principali responsabili delle emissioni globali di gas serra” e le emissioni di CO2 previste derivanti dalla produzione, dalla concessione di licenze e dai sussidi ai combustibili fossili sono incompatibili con l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5gradi”.
4.Belem, trascura la questione dei “fossili”, ma vi si occupa volentieri d’altro: è addirittura l’occasione di uno scontro sulla definizione di genere. Lontano dai disaccordi sulle energie fossili, c’è infatti un tema parallelo, imprevisto, che complica i negoziati alla COP30 di Belém do Parà, nel Brasile profondo. Si tratta della questione di genere, oggetto di grave disaccordo tra i partecipanti sulla stessa definizione. Trascurata la diatriba sui fossili, tutti (o quasi) dicono la loro sul tema inatteso, impervio, delle differenze di genere: saranno mica sempre le stesse persone – quelle stesse obbligate da centomila anni – le giovani donne, a cercare acqua, a lavorare con l’acqua per la famiglia, per la tribù? E oltre tutto, chi sono le stesse? Come vorremo definire le donne – giovani donne – nei nuovi tempi? Per spiegare bene il senso del problema, ecco un testo sul tavolo: “La posta in gioco è l’adozione di un piano d’azione volto a tenere conto delle differenze di genere nel cambiamento climatico. Ma diversi Stati, tra cui Paraguay, Argentina, Iran, Vaticano, Indonesia e Malesia, cercano di bloccare qualsiasi riconoscimento delle persone trans e non binarie aggiungendo le proprie definizioni di genere nelle note a piè di pagina. Se Trump era eccessivo in difesa dei suoi princìpi, anche il Vaticano sembra esagerare un po’.
5.I veri esperti, però, quelli convinti che la discussione sui dettami di Parigi 2015 durerà a lungo, notano un altro difetto nella discussione. Un metodo che rischia di creare un “precedente pericoloso” nelle COP, secondo un negoziatore che teme che ogni Paese possa fare lo stesso su altri argomenti da mettere in discussione nelle conferenze delle Nazioni Unite. Le note a margine sono deleterie.
Secondo il Vaticano, ad esempio, la visione di genere deve essere “basata sull’identità sessuale biologica, maschile o femminile”, una posizione simile a quella degli altri detrattori.
L’Argentina, dal canto suo, “ha fatto marcia indietro in materia di politiche di parità di genere e diritti delle persone LGBT”, e ha attaccato il “cancro” del “wokismo” sotto la presidenza di Javier Milei, stretto alleato del presidente americano Donald Trump. “È diventato piuttosto ridicolo, al momento abbiamo sei note a piè di pagina, dovremmo averne 90?”, si è lamentata una fonte vicina ai negoziati, evocando “la frustrazione” di alcuni partecipanti.
Naturalmente la discussione di infittisce; al Cop30, a Belem, ai margini della foresta equatoriale è più facile esprimersi su LGBT piuttosto che sul petrolio. Così la segretaria all’Ambiente del Messico Alicia Barcena, un Paese guidato dalla presidente progressista Claudia Sheinbaum, ha dichiarato all’AFP: “Non siamo assolutamente d’accordo con ciò che alcuni Paesi stanno introducendo nelle note”. “Abbiamo l’impressione di fare un passo indietro, ha aggiunto.
La questione è diventata così delicata che la presidenza brasiliana della COP30 l’ha ritirata dai negoziati tecnici per portarla a livello politico. Ora è nelle mani dei ministri, incaricati di trovare un compromesso.
6. Guterres, segretario dell’Onu, e Lula, padrone di casa come presidente del Brasile, spingevano sui negoziatori alla COP30 negli ultimi giorni del dibattito, mentre la scadenza si avvicinava. Entrambi avrebbero desiderato che i negoziatori trovassero un compromesso alla conferenza internazionale sul clima delle Nazioni Unite a Belém, in Brasile, all’avvicinarsi rapido della fine. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva sono infatti arrivati ai colloqui della COP30 per dare una mano. Il programma provvisorio di Lula prevedeva incontri con i negoziatori dell’Unione Europea, dei Paesi emergenti dell’America Latina, del Medio Oriente e dell’Asia, nonché dei piccoli Stati insulari e dei Paesi africani più colpiti. Mohamed Adow dell’organizzazione ambientalista keniota Power Shift Africa ha notato che di solito “il presidente non partecipa ai colloqui a metà della seconda settimana senza avere qualcosa da mostrare”. Sollevando la possibilità di un risultato storico, Carolina Pasquali, direttrice esecutiva di Greenpeace Brasile, ha dichiarato: “La COP sta volgendo al termine e l’arrivo congiunto di Lula e Guterres invia un chiaro segnale politico che fanno sul serio”. Insomma, si stava perdendo tempo.
7. Mercoledì, 10° giornata della Cop30, è stato un giorno importante nei piani dei brasiliani che hanno gestito la conferenza ai margini dell’Amazzonia. Anche se i colloqui avrebbero dovuto protrarsi almeno fino al venerdì, il presidente della COP30 André Corrêa do Lago aveva dato ai negoziatori una scadenza fissata per mercoledì per prendere una decisione su quattro questioni interconnesse che inizialmente erano state escluse dall’agenda ufficiale: “Se i Paesi debbano essere invitati a rafforzare i loro nuovi piani climatici; quali siano i dettagli sulla distribuzione dei 300 miliardi di dollari di aiuti climatici promessi; come gestire le barriere commerciali legate al clima; come ottenere verità sui progressi climatici”. Inoltre, ha aggiunto, “numerosi Paesi, ricchi e poveri, stanno spingendo per una tabella di marcia dettagliata su come eliminare gradualmente i combustibili fossili. E questo è fondamentale per rafforzare i nuovi piani climatici al fine di limitare il riscaldamento futuro a 1,5 gradi Celsius (2,7 gradi Fahrenheit), l’obiettivo globale fissato nell’accordo di Parigi del 2015”.
8.Due anni fa, a ben vedere, i negoziati sul clima hanno concordato un testo che chiedeva la transizione dai combustibili fossili – carbone, petrolio e gas naturale – ma da allora poco è stato fatto per chiarire o ampliare quella frase. I manifestanti all’interno e all’esterno della sede della conferenza hanno continuato a spingere per l’eliminazione graduale.
“Dobbiamo avvicinarci il più possibile all’azzeramento delle emissioni di combustibili fossili entro il 2040, al più tardi entro il 2045″. Un gruppo di autorevoli scienziati che hanno lavorato per la preparazione di Cop30 ha suggerito a Lula, il quale parlando con i leader all’inizio della conferenza di Belém, ha poi incoraggiato gli sforzi per definire maggiori dettagli su come liberare il mondo dai combustibili che emettono gas serra, la causa principale del cambiamento climatico. Il presidente brasiliano ha anche spinto per una maggiore partecipazione a un nuovo fondo internazionale multimiliardario finanziato da debiti fruttiferi invece che da donazioni, chiamato Tropical Forests Forever Facility. L’obiettivo sarebbe quello di rendere più redditizio per i governi conservare i propri alberi piuttosto che abbatterli. Iskander Erzini Vernoit, direttore dell’IMAL Initiative for Climate and Development, un think tank indipendente con sede in Marocco, ha reso esplicito fin da subito che non sarebbe stato facile per Guterres e Lula trovare un terreno comune tra i negoziatori. Permangono ancora varie apparenti impasse e, dal punto di vista africano, la principale è la riluttanza dell’UE e di altri Paesi ricchi ad adempiere al loro obbligo di fornire finanziamenti per il clima”, ha affermato lo stesso Erzini Vernoit. In altre parole, leggendo da casa quel che è avvenuto a Belem nel Brasile profondo, anche su questo argomento si è fatto un gran parlare senza attendersi alcun risultato.
9.All’inizio di questa conferenza, durata di due settimane, i leader brasiliani hanno sottolineato l’importanza di concentrarsi sull’attuazione, avviando azioni sugli accordi, mettendo in atto gli obiettivi e gli impegni già presi, piuttosto spostare l’attenzione che su nuovi accordi. In effetti se le nazioni raggiungessero gli obiettivi fissati nei precedenti negoziati sul clima di triplicare le energie rinnovabili, raddoppiare l’efficienza energetica e ridurre il metano entro il 2030, il tasso di riscaldamento globale potrebbe essere ridotto di un terzo entro un decennio e mezzo, entro il 2040, secondo un nuovo rapporto di Climate Analytics.
Neil Grant, esperto di analisi delle politiche climatiche e autore principale del rapporto, ha affermato che ciò potrebbe salvare l’obiettivo fissato dieci anni fa nell’accordo di Parigi. Mentre i leader climatici hanno ammesso che il mondo è sulla buona strada per superare questo obiettivo climatico, Grant ha affermato: “Abbiamo gli strumenti per abbandonare i combustibili fossili. Anche se il momento è buio, abbiamo ancora la possibilità di agire”.
“In questo momento, alla COP 30 di Belém, è il nostro futuro che vediamo in gioco”, ha affermato Dev Karan, un giovane attivista per il clima di 17 anni. “Le decisioni prese oggi sulla carta si tradurranno nel futuro che un giorno vivremo”. E allora auguri, auguri sinceri, Dev.




