For sale/Il progetto Juncker, il segno della nuova Commissione entrata in vigore nel novembre scorso, che prometteva di voltare pagina rispetto al passato di sola austerità, sta perdendo smalto man mano che il tempo passa
PARIGI. Tra tre mesi, i progetti del piano Juncker dovrebbero essere sul nastro di partenza. Sulla carta, 315 miliardi di euro sbloccati su 4 anni (con una tappa di valutazione dopo 3 anni), con lo scopo di far uscire l’economia europea dalla crisi grazie al Fondo europeo di investimenti strategici (Feis). Ma il progetto, il segno della nuova Commissione entrata in vigore nel novembre scorso, che prometteva di voltare pagina rispetto al passato di sola austerità, sta perdendo smalto man mano che il tempo passa. Di miliardi, per il momento, la Ue ne ha messi a disposizione solo 2 e per di più non si tratta di denaro “nuovo”, ma è stato raschiato il fondo del barile del budget comunitario per scovarli. L’Ue aveva previsto 8 miliardi di fondi pubblici, che si sarebbero raddoppiati solo grazie alla “garanzia” data dalla “firma” istituzionale del finanziamento, a cui si sarebbero addizionati 5 miliardi della Bei, per arrivare alla cifra di 21 miliardi di fondi pubblici (8×2+5=21). A loro volta, questi 21 miliardi si sarebbero moltiplicati per 15, un “effetto moltiplicatore” calcolato dalla Commissione, che dovrebbe fare da calamita per gli investimenti privati. Ma già gli stati hanno risposto stando bene attenti a che i propri fondi non vadano a vantaggio altrui: gli stati membri contribuiranno al piano soltanto attraverso le banche di investimento nazionali – quindi non direttamente al Feis – per avere la certezza del ritorno di investimento in patria (Francia, Germania e Italia, con la Cassa Depositi e Prestiti, hanno promesso 8 miliardi ognuno, la Spagna 1,5 miliardi). Il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, aveva però spiegato che “questo piano è lo strumento di cui abbiamo bisogno per far fronte al principale handicap dell’economia europea: la mancanza di investimenti”, che sono crollati di 15-20 punti dall’inizio della crisi nel 2008. L’idea della Commissione era di “mettere dei fondi a disposizione sul lungo periodo per finanziare progetti che contribuiscono alle priorità comuni dell’Europa, energia, digitale, trasporto e innovazione, oltre a sostenere la colonna vertebrale della nostra economia, la piccola e media impresa e le società a media capitalizzazione”. Francia e Germania stanno facendo lo sforzo di coordinare parte dei progetti, come è stato discusso al 17esimo consiglio dei ministri franco-tedesco, che si è tenuto a Berlino martedì. Minore coordinamento con l’Italia, che, per esempio, ha messo nella lista il Tav Lione-Torino, mentre la Francia ritiene che non rientri nel piano Juncker visto che dipende da un’altra e più vecchia linea di finanziamento, il Meccanismo per l’interconnessione in Europa, che comprende 5 progetti ed è dotato di 23 miliardi su 5 anni (ma la Commissione ha già previsto di sottrarne 3,3 miliardi per deviarli verso il Feis). Complessivamente, gli stati membri hanno presentato 1300 progetti per un valore di 2mila miliardi. Come avverranno le scelte? Ma, soprattutto, dove sono i soldi?
A tre mesi dal via, è ancora tutto molto vago. La Commissione, che non può mettere soldi freschi perché gli stai glieli rifiutano, cerca di deviare finanziamenti da programmi già in corso. Per arrivare agli 8 miliardi promessi, oltre i 2 trovati nel fondo del cassetto del bilancio, ha proposto di pescarne 3,3 nel Meccanismo di interconnessione e 2,7 miliardi nel programma di sostegno alla ricerca, Horizon 2020. Levata di scudi del Parlamento europeo, che non vuol sentir parlare di questi prelievi. Ricatto della Commissione: se non accettate la nostra proposta, allora cercheremo i soldi nel programma Erasmus o in Galileo (è citato anche Fiscalis), cioè nelle poche iniziative popolari tra i cittadini europei.