Per dare continuità alle ondate di mobilitazione in corso vanno incalzati governi e partiti, immaginate e praticate alternative concrete, come gli aiuti portati dalla Flotilla. Una discussione aperta online il 3 ottobre da Firenze con Donatella Della Porta, Luciana Castellina, Giulio Marcon.
Un’ondata di mobilitazioni per la pace a Gaza è partita, guidata dalle imbarcazioni della Global Flotilla. Il 22 settembre ci sono state ovunque piazze piene di giovani con lo sciopero dei sindacati di base. La Cgil di Maurizio Landini preannuncia lo sciopero generale se la Flotilla sarà attaccata da Israele e perfino il ministro della Difesa Crosetto deve muovere una nave militare per seguire i pacifisti. L’inizio di ottobre è pieno di manifestazioni e il 12 ottobre ci sarà la marcia Perugia-Assisi. In Germania e in altri paesi c’è un simile risveglio di proteste contro lo sterminio dei palestinesi da parte di Israele.
Che cosa ha mosso quest’onda di protesta? La prima reazione è stata il rifiuto della guerra, di una guerra senza alcun freno – né umanitario, né diplomatico – come quella di Israele a Gaza, nei Territori occupati, in Libano, in Iran, nel resto del Medio Oriente. La seconda spinta alla protesta è la difesa dei diritti umani, l’aiuto alle vittime di un genocidio. La terza sono state le mobilitazioni palestinesi, con diverse sfumature, la solidarietà internazionalista e la denuncia del potere imperiale degli Stati Uniti. In questi due anni, le diverse spinte hanno fatto fatica a unirsi, a trovare un linguaggio e un’agenda comune. Ora ciascuna di esse si deve misurare con la sfida di costruire soluzioni al conflitto.
Il rifiuto della guerra ha bisogno di mettere la politica al posto delle armi. Un’impresa quasi disperata nella Palestina di oggi, con l’estremismo feroce di Israele, l’inconsistenza dell’Autorità Nazionale Palestinese, la sopravvivenza di Hamas, il tragico silenzio dei paesi arabi e dell’Europa. Eppure, la società civile palestinese è ricca di soggetti, resistenze, proposte; a partire da un cessate il fuoco, iniziative e dialoghi potrebbero ripartire. Abbiamo dimenticato l’esperienza del 1990 di Time for peace: mille pacifisti italiani e decine di migliaia di palestinesi e israeliani erano insieme a manifestare sotto le mura di Gerusalemme. Non è possibile che la “riviera di Gaza”, il paradiso immobiliare che piace a Trump – magari con Tony Blair a guidarla – sia l’unico futuro immaginato su quella terra.
A veder bene, il vuoto di politica è lo stesso che impedisce di metter fine alla guerra tra Russia e Ucraina, con l’Europa incapace di offrire – al posto delle armi a Kiev – una prospettiva di sicurezza comune, di cooperazione politica e integrazione economica alla sua frontiera orientale.
La seconda spinta, la difesa dei diritti umani a Gaza, ha bisogno di trovare un braccio operativo; caschi blu dell’Onu che fermino Israele, o una forza internazionale che porti tregua e aiuti. Non basta il mandato d’arresto per Netanyahu, ci vuole qualcuno che lo trascini davvero in tribunale all’Aia, com’è avvenuto per i criminali di guerra dell’ex Jugoslavia.
La terza spinta, le rivendicazioni dei palestinesi – autodeterminazione, diritti e ritorno – ha bisogno di una prospettiva di realizzazione, sostenuta da alleanze internazionali e dalle risorse per una ricostruzione politica, economica e sociale. Non basta il tardivo riconoscimento dello Stato di Palestina da parte degli europei, serve una visione politica che permetta ai palestinesi di essere protagonisti del loro futuro.
Per dare continuità alle ondate di mobilitazione e ottenere risultati per Gaza, i pacifisti dovranno approfondire – e tenere insieme – queste tre dimensioni. E invadere il terreno della politica: incalzare governi e partiti, immaginare soluzioni, praticare alternative concrete, come gli aiuti portati dalla Flotilla.
È stata questa anche la lezione delle ondate precedenti del pacifismo europeo, con gli euromissili e le ‘guerre stellari’ degli anni ’80 che sono stati sconfitti non solo dalle inedite, enormi mobilitazioni di piazza, ma dal convergere su una prospettiva di disarmo del senso comune in Europa, di buona parte delle forze di sinistra e di Gorbaciov a Mosca.
Un’occasione per riflettere su questi nodi di fondo – sul ritorno delle guerre e sul ruolo dei movimenti per la pace – è la Scuola estiva su “Guerre, pace e ordine mondiale” organizzata dalla Scuola Normale Superiore a Firenze da ieri 29 settembre al 3 ottobre (https://indico.sns.it/event/125/).
Della Palestina parlerà Francesca Albanese (online) martedi 30 settembre, seguita da Paola Caridi e Anna Foa, con contributi delle ricercatrici palestinesi. Di Ucraina, Russia e degli altri conflitti parleranno esperti di tutta Europa. E venerdì 3 ottobre sono di scena i movimenti per la pace, con un dialogo tra Donatella della Porta e Luciana Castellina, insieme a molte voci del pacifismo e alle storie delle mobilitazioni in Italia raccontate dal sito ‘Paceinmovimento.it’.
Articolo pubblicato anche da il manifesto del 30 settembre 2025