Per chi cala la benzina/La corsa al gas di scisto ha creato debiti e investimenti non più sostenibili. Si rischia una spirale finanziaria negativa
Come tutti avranno saputo da giornali e notiziari, il prezzo del petrolio sta scendendo. Dallo scorso giugno è crollato a metà. Tutti aspettavano la riunione dell’OPEC di giovedì 27 novembre per capire se i principali produttori – a partire dall’Arabia Saudita – avrebbero ridotto i volumi di produzione per sostenere il livello dei prezzi. Così non è stato e il barile di riferimento (Brent) è ormai sotto la soglia dei 60$.
Come mai i maggiori produttori di petrolio hanno deciso di rinunciare ai maggiori ricavi che avrebbe potuto garantire loro un prezzo più alto? E come mai quella che potrebbe sembrare una buona notizia per Paesi importatori (come l’Italia) e per gli automobilisti, rischia invece di trasformarsi nell’ennesimo fattore di rischio sistemico globale? La risposta a tutte e due le domande è una sola: lo shale oil, o petrolio di scisto.
Molti avranno sentito parlare di shale oil perchè deve essere estratto con tecniche ad alto impatto ambientale (il cosiddetto fracking). Inquinamento delle falde acquifere e generazione di attività microsismica sono tra i suoi effetti negativi più noti. Ne ha parlato Report di recente ed è stato persino l’oggetto di un film di denuncia di Gus Van Sant con Matt Damon (“Promised Land”). Ma oltre a questi aspetti ambientali, lo shale oil ha due caratteristiche estremamente importanti. La prima è strettamente economica: la sua estrazione è molto costosa. La seconda è invece di tipo geo-strategico: con lo shale oil (e con lo shale gas) gli USA hanno ridotto drasticamente le importazioni di fonti energetiche.
E allora si spiega perchè l’OPEC ha deciso di lasciar basso il prezzo del petrolio. In questo modo l’estrazione di shale oil non è più economicamente sostenibile. Con il barile a 70$ o meno i ricavi attesi non ripagano più i costi di estrazione. Il che implica che gli USA dovranno tornare a comprare petrolio (e gas) dai produttori stranieri; con grande soddisfazione economica per l’Arabia Saudita e con un inatteso regalo al peso geo-strategico della Russia (e del suo gas).
Ma c’è un altro effetto da tenere presente. In questi anni negli USA si è scatenata una vera e propria “corsa allo shale”. Piccole imprese e grandi gruppi si sono lanciati in questa nuova Eldorado con investimenti (e debiti) di dimensioni colossali. Che ora non sono più sostenibili. Non a caso – come sottolinea The Financial Times del 28 novembre – dopo la riunione OPEC insieme al prezzo del barile sono scese anche la quotazioni azionari di giganti del settore come Exxon (-4,3%), Chevron (-5,4%). Segnale ancora più chiaro è venuto dall’ancora maggiore discesa del titolo di Halliburton (-11%), sub-fornitore di servizi e tecnologie per l’estrazione di petrolio e gas di scisto.
Gli analisti finanziari del settore si aspettano a questo punto che si comincino a fermare le nuove esplorazioni di giacimenti di shale. Ma il rischio è che questa mossa apparentemente prudenziale inneschi una spirale finanziaria negativa. Sono infatti proprio i ricavi futuri generati dai nuovi pozzi che vengono usati come garanzia per gli investimenti necessari a metterli in funzione. Sospensione delle nuove esplorazioni significa quindi sofferenza di prestiti già emessi. E il quadro non potrà che peggiorare dato che anche i pozzi in esercizio smetteranno di essere redditizi e non genereranno più ricavi sufficienti a ripagare il costo del debito. E il tutto – prima o poi – farà traballare anche gli operatori finanziari che nello shale si sono pesantemente esposti, non solo con il sostegno agli investimenti, ma anche con i contratti di protezione dei prezzi. Nell’euforia per lo shale qualcuno in giro ha comprato titoli di protezione (hedge) dei ricavi futuri che obbligano a comprare a 100 e più un barile che oggi si vende a 70. E questo qualcuno resterà col cerino in mano… Insomma l’ennesima bolla che sta per esplodere; o, meglio, che ha cominciato a esplodere. Con quali dinamiche di diffusione all’interno del sistema USA (e globale) non è al momento dato sapere. Bisognerebbe sapere quale leva finanziaria è stata utilizzata per sostenere i prestiti al settore dello shale. E quanti – e a che prezzo – contratti di hedge sono stati sottoscritti.
Se mai il prezzo della benzina dovesse scendere anche da noi, c’è una buona probabilità che in realtà non ci sia niente di che gioire.