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Riarmo, emissioni devastanti sul clima

Oltre agli effetti economici, la corsa al riarmo avrà un impatto disastroso sull’ambiente e sulla salute umana, come conferma uno studio dell’ong Climate Action. L’Oms: migliaia le vittime civili delle emissioni militari.

L’aumento delle spese per la difesa dei paesi aderenti alla Nato, con l’obiettivo di raggiungere il 5% del pil, e la decisione dell’Ue di destinare 800 miliardi di euro al riarmo, sembrano ormai un dato di fatto. Facendo giustamente un ragionamento simmetrico, a fronte di questa frenesia bellica i nemici da cui dovremmo difenderci devono anche loro impegnarsi di più nelle spese per la difesa, innescando una spirale che non promette niente di buono.

A soffrire di queste scelte, che inevitabilmente sottraggono risorse al benessere sociale, non sono solo i paesi Nato ma l’umanità intera, anche quella parte che al riarmo non partecipa. Il motivo è presto detto. È stato stimato che se le forze armate del mondo fossero un Paese, sarebbero il quarto produttore di emissioni, dopo Cina, Usa e India – senza includere le emissioni causate dalle guerre. Con il balzo in avanti degli armamenti mondiali innescato dalla decisione Nato, presto le forze armate diventeranno il terzo emettitore mondiale, superando l’India. Un gran bel record. Val la pena ricordare che esse generano emissioni di gas serra per il solo fatto di esistere perché carri armati, aerei, navi da guerra, mezzi di trasporto, armi e munizioni vanno costruiti, e la costruzione comporta emissioni.

Poi bisogna tenere il tutto in esercizio, con uso di combustibile per far muovere i mezzi terrestri, gli aerei, le navi, e questo genera emissioni. Il personale, poi, deve essere alloggiato, e bisogna costruire gli alloggi, e vanno pure riscaldati e condizionati, con produzione di CO2. I militari vanno vestiti, equipaggiati con ciò che serve, e vanno nutriti, e tutto ciò genera altri gas serra. Insomma, questo e altro che l’esistenza delle forze armate richiede, comporta emissioni che non ci sarebbero se non esistessero.

Un recente studio (How increasing global military expenditure threatens SDG 13 on Climate Action) stima che un aumento della spesa militare di un punto percentuale del Pil aumenta le emissioni nazionali complessive tra lo 0,9% e il 2,0%. Da questo deriva che l’aumento delle emissioni annuali totali dei 31 Paesi Nato (Usa esclusi) a causa del riarmo sarebbe compreso tra 87 e 194 milioni di tonnellate di CO2e. Non è cosa da poco. Per avere un termine di paragone, l’Austria nel 2023 ha emesso 73 milioni di tonnellate di CO2e.

Un ulteriore incremento delle emissioni va pure messo nel conto, per l’effetto indotto sulle forze armate di paesi come Cina – prima di tutto – poi Russia, Giappone, Australia, Arabia Saudita, giusto per citarne solo alcuni, che si rinforzeranno, per non parlare degli Usa che difficilmente resteranno con le mani in mano

E così aggiungendo anche il dirottamento verso il riarmo di finanziamenti che erano destinati ai programmi di riduzione delle emissioni di gas serra, l’obiettivo di mantenere l’incremento della temperatura globale entro 1,5 °C diventa del tutto inverosimile, e si rischia anche di superare i 2 °C, con conseguenze che possono essere catastrofiche. Una nuova guerra mondiale: la natura offesa contro l’umanità.

E poi c’è l’impatto economico, che va ben oltre la differenza fra la quota di Pil destinata alla difesa oggi e il 5% a cui si dovrà arrivare, perché c’è il danno climatico derivante dalle maggiori emissioni: l’aumento delle alluvioni, delle ondate di calore, delle siccità e la diminuzione della produzione agricola. Lo studio citato ha stimato che il danno climatico collaterale causato dall’aumento delle spese militari della Nato ammonta a 119-264 miliardi di dollari all’anno, qualcosa fra il 5,4 e il 12% del Pil italiano del 2024, per capirci. Miliardi che bisogna aggiungere a quelli spesi direttamente per armarsi.

C’è dell’altro. Si potrebbe pensare ache a contribuire all’inasprimento del cambiamento climatico siano solo i paesi che si riarmano, ma non è così. Infatti, l’aumento delle spese militari ha anche un impatto negativo sulla capacità/volontà dei Paesi sviluppati, a cui quelli Nato appartengono, di rispettare l’impegno, parte dell’Accordo di Parigi, di fornire ai paesi più poveri almeno 100 miliardi di dollari l’anno per permettere loro di affrontare i costi della transizione energetica. Non l’hanno fatto finora e ancora meno saranno disposti a farlo.

E infine c’è il tema dei morti, di quelle causate non dalle guerre, ma dalla stessa esistenza delle forze armate. L’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che fra il 2030 e il 2050 il cambiamento climatico causerà circa 250.000 morti in più all’anno, solo per denutrizione, malaria, diarrea e stress da caldo. Ebbene, una parte di queste morti va imputata proprio alla corsa agli armamenti.

Possiamo stimare che essendo le forze armate mondiali responsabili del 5,5% delle emissioni globali, sono pure responsabili del 5,5% dei morti per il cambiamento climatico. A causa del riarmo questa percentuale sale, e va a circa il 6% se non di più. Si tratta di qualcosa come 15.000 morti all’anno. E sono morti che somigliano terribilmente a quelle dei civili di tutte le guerre: principalmente bambini, donne, vecchi, malati. Sono vittime del nostro prepararci alla guerra, da aggiungersi a quelle dei civili in Ucraina, a Gaza e in tutte le altre guerre che si stanno combattendo.

Articolo pubblicato da L’Extraterrestre del 31 luglio 2025