L’aria che tira/Di fronte alla preoccupazione di migliaia di persone, nonostante il problema del cambiamento climatico sia ormai balzato in cima alle agende politiche, i governi parlano, annunciano impegni. Ma non c’è la determinazione e l’efficacia che una minaccia così tremenda richiederebbe
Quest’anno, la Conferenza delle Parti (Cop) degli Stati membri della Convenzione quadro Onu sul Cambiamento Climatico si tiene a Lima, in Perù, dal 1 al 12 dicembre. È il ritorno in una regione del mondo molto colpita dall’impatto del riscaldamento globale, e nella quale, d’altro canto, gran parte dei Paesi sono protagonisti nell’azione per contrastarlo.
Nell’ultimo decennio, attraverso le politiche contro la deforestazione, il Brasile ha ridotto le emissioni ogni anno tra 0,4 e 0,8 Gt di Co21; il Messico ha approvato una delle più forti legislazioni ambientali al mondo, adottando target ambiziosi per l’incremento nell’uso delle energie rinnovabili; la Costa Rica punta a diventare a emissioni zero entro il 2021 e il Perù punta ad arrivare alla deforestazione netta zero entro lo stesso anno. La Cop di Lima è molto importante perché è la principale tappa sul percorso per arrivare all’accordo globale sul clima alla fine del prossimo anno, a Parigi. Mentre quest’anno si avvia a essere il più caldo mai registrato a livello globale, anche l’altra temperatura, quella negoziale, si sta sempre più scaldando. In occasione del Summit dei Leader convocato dal Segretario generale dell’Onu un mese fa, 400 mila persone sono scese per le strade di New York City: in ben 160 Paesi si sono svolti, contemporaneamente, altri eventi (2.500 in tutto), con la partecipazione di altre centinaia di migliaia di persone. Di fronte alla preoccupazione di migliaia di persone, nonostante il problema del cambiamento climatico sia ormai balzato in cima alle agende politiche, volenti o nolenti i governi parlano, annunciano impegni, ma non con la decisione, la determinazione e l’efficacia che una minaccia così tremenda richiederebbe.
Come ha scritto brillantemente un giornalista britannico, prevale la logica del «perché proprio io?».
L’assurdo è che questa dinamica, fortemente alimentata dalle lobby fossili, prevale nei Paesi di più antica industrializzazione, i Paesi quindi con la maggiore responsabilità storica per il fenomeno del riscaldamento globale, avendo oltre 2 secoli di inquinamento alle spalle.
Basti pensare al recente dibattito nella Ue, dove si è faticato ad approvare un target di riduzione delle emissioni di gas serra del 40% entro il 2030, pur sapendo che esso non è in linea con la traiettoria per raggiungere l’obiettivo della completa decarbonizzazione entro la metà del secolo. Se queste dinamiche non verranno spazzate via da una forte, tangibile e vera capacità di leadership e di cooperazione da parte di tutti, sarà difficile che a Parigi si raggiunga un accordo significativo ed efficace per rimanere ben al di sotto del riscaldamento globale di 2˚C.
Il rischio che si punti al minimo è forte e questo, nonostante tutta la retorica che i politici potranno sfoderare, rivelerebbe la grande debolezza dei governi, l’assenza di leader e, quel che più importa, renderebbe sempre più arduo evitare i cambiamenti climatici davvero pericolosi per il Pianeta come lo conosciamo e in particolare per la civilizzazione umana. Dopo la battuta di arresto subita a Copenaghen, perdere la seconda occasione sarebbe suicida e imperdonabile.
Da Lima ci aspettiamo una bozza di testo e un’architettura legale su cui le Parti possano cominciare a lavorare: è importante che non si lasci tutto aperto come avvenne a Copenaghen. Va anche discusso e approvato un quadro di riferimento sull’equità, in applicazione al principio delle responsabilità comuni ma differenziate dei Paesi nella lotta al cambiamento climatico. L’accordo deve puntare a riduzioni coraggiose, in linea con le indicazioni della comunità scientifica: come ormai ripetono in molti, «sulla Fisica non si negozia».
Un componente della delegazione della Repubblica Domenicana, Omar Ramirez, ha dato una buona definizione della situazione attuale: «La convenzione (Unfccc)va a ritmo di bolero, mentre il cambiamento climatico va a ritmo di merengue».
La lentezza è spesso imposta dai potenti interessi delle lobby, nonostante oggi abbiamo tutti gli strumenti per fare a meno dei combustibili fossili, con gli interventi di risparmio ed efficienza energetica e con le energie rinnovabili. Spesso mi chiedono se c’è speranza. Io credo di sì, che si uscirà dall’età dei fossili come si è usciti dall’età della pietra è sicuro: tutto sta a esser capaci di sconfiggere in fretta gli interessi egoistici di chi pensa solo al proprio guadagno e non al destino comune, perché la differenza è che gli esseri umani della preistoria non avevano le lobby delle pietre.