Il mesto semestre/La bozza di documento elude i nodi irrisolti alla base del conflitto tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa
Il Consiglio Europeo riunito ieri e oggi a Bruxelles torna ad occuparsi delle politiche su migrazioni e asilo. Su queste da anni, ma con maggiore intensità dall’ottobre scorso, è in corso un gioco delle parti vergognoso quanto inconcludente tra Roma e Bruxelles. E la bozza di conclusioni finali, diffusa nei giorni scorsi, non sembra contribuire a fermarlo.
L’evocazione della «trasposizione completa e dell’effettiva attuazione del sistema comune di asilo che dovrebbe garantire le stesse garanzie procedurali e la stessa protezione ai richiedenti asilo in tutta l’Unione», sembra più un auspicio che una scelta effettiva. Mentre sulla prevenzione e la riduzione dell’immigrazione «irregolare» le idee sono più chiare e le ricette sono quelle di sempre: intensificazione della cooperazione con i paesi di origine e di transito, efficiente gestione delle frontiere esterne (di cui viene però ribadita la primaria responsabilità dei singoli stati membri), rafforzamento della capacità di intervento dell’agenzia Frontex con l’utilizzo del nuovo sistema di sorveglianza Eurosur, istituzione di un sistema europeo delle guardie di frontiera e promozione di una politica comune di rimpatri «efficace». Quanto alle situazioni di crisi, sono auspicati il rafforzamento dei programmi di protezione regionale e l’aumento del sostegno a attività di reinsediamento dei profughi siriani. La bozza di documento elude i nodi irrisolti che sono alla base del conflitto tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa (più esposti agli arrivi di migranti da paesi terzi), ma anche di una disciplina dell’asilo, disegnata dal Regolamento Dublino III, che sembra fatta apposta per ostacolare l’accesso al diritto di asilo. Eppure le cose potrebbero andare in modo diverso a Bruxelles come a Roma. L’Europa potrebbe attivare canali umanitari per consentire ai profughi e ai richiedenti asilo di trovare protezione senza rischiare la vita. La collaborazione con i paesi terzi che non garantiscono i diritti umani (in primo luogo la Libia) potrebbe essere interrotta. La distribuzione dei Fondi comunitari tra gli stati membri potrebbe essere vincolata alla strutturazione di sistemi nazionali di accoglienza adeguati alla domanda e rispettosi degli standard minimi definiti a livello comunitario. La norma che impone, salvo rare eccezioni, di chiedere asilo nel primo paese di arrivo potrebbe essere cancellata. Le attività di ricerca e soccorso in mare dovrebbero essere condivise a livello comunitario, ma non è il rafforzamento di Frontex a poterle garantire.
Ma vi sono responsabilità che sono tutte italiane. È la Camera dei Deputati ad aver bocciato pochi giorni fa «per mancanza di copertura finanziaria» alcuni articoli della Legge di Delegazione Europea 2013-bis indicanti i criteri di delega al Governo per il recepimento delle direttive UE sull’accoglienza e sulle procedure in materia di asilo. A differenza di altri paesi, l’Italia non è ancora stata in grado di pianificare un sistema di accoglienza coordinato a livello nazionale e capace di far fronte ai diversi bisogni delle persone che chiedono protezione. Milioni di euro sono stati spesi per l’allestimento e la gestione dei Cara (come quelli di Mineo o di Castelnuovo di Porto), strutture di grandi dimensioni nelle quali le violazioni dei diritti sono quotidiane. La distribuzione degli sbarchi su più porti dislocati nelle regioni meridionali potrebbe evitare di concentrare nei comuni di un’unica regione la responsabilità dell’accoglienza. È Roma che può decidere di rafforzare le commissioni territoriali e accelerare i tempi di esame delle domande di asilo. La scelta di affidare a una missione militare come Mare Nostrum le attività di soccorso e salvataggio in mare non è l’unica possibile: potrebbe essere svolte, probabilmente con costi minori, da missioni e mezzi civili.