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Un silenzio che non ci possiamo permettere: 120 ong per la sanità pubblica

Sono oltre 120 le associazioni che hanno aderito all’appello “Non possiamo restare in silenzio” per sostenere la sanità pubblica che si sono incontrate di recente a Firenze analizzando i dati del disastro del Ssn.

Dopo molte mobilitazioni sui temi della sanità – spesso circoscritte a ambiti specifici o a vertenze sindacali – si apre l’occasione di una convergenza inedita. Sono oltre 120 le associazioni che hanno aderito all’appello “Non possiamo restare in silenzio” per sostenere la sanità pubblica e che si sono incontrate di recente a Firenze. Oltre ai promotori – Salute Diritto Fondamentale, Associazione Giovanni Bissoni, Laboratorio Salute e Sanità, Associazione Prima la Comunità, Associazione Alessandro Liberati, Salute internazionale, Cittadinanzattiva, Gruppo Abele, Forum Diseguaglianze e Diversità – molte altre associazioni hanno condiviso l’impegno per il rilancio del Servizio sanitario nazionale (Ssn), i suoi principi costitutivi, la priorità della salute, nella necessità di invertire la rotta delle politiche attuali.

Il dibattito di Firenze è partito dalla Legge di Bilancio; come ha sottolineato Nerina Dirindin – tra le promotrici dell’iniziativa – le risorse reali per la sanità pubblica per il 2025-2027 sono del tutto insufficienti: in rapporto al Pil la spesa per quest’ultima si ferma a poco più del 6%, sotto i livelli già problematici del 2019 e si prevede che diminuisca ulteriormente. Non ci sono risorse aggiuntive per il personale sanitario a cui da tempo non viene dato il necessario riconoscimento professionale e salariale. Come sottolineato da Marco Geddes, se attualmente i medici in Italia sono il 4,1 per 1.000 abitanti, collocandosi sopra la media Ocse (3,7) tuttavia si deve tener conto dell’alta quota di medici sopra i 55 anni e di una maggiore percentuale di anziani (over 75) rispetto agli altri paesi. Inoltre il personale medico non è adeguatamente distribuito sia territorialmente e nei diversi settori. Assai più critica la situazione del personale infermieristico. L’Italia si colloca molto al di sotto della media Ocse (6,2 contro 9,8 per 1.000 abitanti) e se il confronto viene effettuato rispetto alla popolazione over 75, in cui i problemi assistenziali infermieristici aumentano, il risultato è ancor più preoccupante. A fronte di questo quadro permane il tetto di spesa sul personale dipendente del Ssn, e viceversa si permette un aumento del 2% del tetto per l’acquisto di prestazioni dalla sanità privata.

Da anni assistiamo al progressivo indebolimento della sanità pubblica, a un dirottamento delle risorse pubbliche al privato accreditato, e anche la questione delle liste di attesa viene oggi affrontata con queste modalità. In parallelo, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato relativi al 2023, la spesa sostenuta direttamente dai cittadini per l’acquisto di servizi sanitari privati (out of pocket), registra percentuali più alte che in altri paesi e presenta un aumento del 7% rispetto ai valori dell’anno precedente, arrivando a 43 miliardi di euro.

Le scelte politiche continuano a rafforzare gli spazi del mercato – un mercato sempre e comunque assistito dal pubblico –, le logiche di profitto, gli interessi particolaristici che aggravano le diseguaglianze sociali e le disparità territoriali. Si estendono approcci prestazionali ben lontani dai bisogni reali delle persone, con cittadini ridotti a consumatori di servizi, con un’impostazione che considera la salute una merce, invece di un diritto garantito dal welfare pubblico, un diritto sociale e di libertà come sancito dalla Costituzione. Anziché rafforzare la rete dei servizi territoriali, fare in modo che strutture di prossimità funzionino adeguatamente per rispondere ai bisogni socio-sanitari della popolazione si continuano a privilegiare logiche corporative e interessi di settore. La prevenzione continua a restare la Cenerentola del sistema, e anzi viene confusa con la diagnosi precoce, senza una visione sistemica su come intervenire sui determinanti della salute, che riguardano le condizioni di vita, ambientali e di lavoro delle singole persone e della collettività. 

Le politiche del governo e di regioni come la Lombardia – anche con le proposte dell’autonomia differenziata – si muovono sulla base di una declinazione selettiva dell’universalismo, di un regionalismo competitivo lontano da prospettive cooperative e solidali, di una messa in discussione dei principi di uguaglianza e di uniformità territoriale dei servizi all’origine della riforma sanitaria del 1978. Si punta alla costruzione di un “secondo pilastro” mutualistico-integrativo-assicurativo del sistema sanitario. Tutto questo nonostante sia evidente che le coperture assicurative non migliorano il livello di assistenza, non garantiscono alcuna equità, né tanto meno la tutela della salute di tutti e tutte. La sanità privata viene a disegnarsi su misura degli interessi economici e finanziari delle grandi società, che considerano la salute un mercato con grandi opportunità di crescita e profitto.

Sui nodi dell’autonomia differenziata, Gaetano Azzariti, Gianfranco Viesti e Vasco Errani hanno sottolineato come la dichiarazione di incostituzionalità della legge Calderoli sancita dalla Consulta apra una nuova partita, sia sul piano parlamentare, sia su quello sociale, rispetto alla quale è necessaria una forte volontà politica. Rosy Bindi ha ricordato che i problemi della sanità riguardano tutti e l’intero paese e non le singole regioni, e ha prospettato la possibilità che i gruppi parlamentari di opposizione presentino un disegno di legge che recepisca le indicazioni della Corte costituzionale in materia. Operazione questa che la maggioranza certamente non farà.

Le conclusioni emerse dall’incontro fiorentino avviano un percorso di analisi e proposte comuni alla luce di una crescente e vivace partecipazione. Serve una visione alternativa alla retorica secondo cui non possiamo più permetterci un Servizio sanitario pubblico, falsamente dichiarato “insostenibile”. Quello che non possiamo permetterci è invece il silenzio. Rispettando la specificità di ogni realtà coinvolta, la scommessa è costruire – a partire dalle mobilitazioni in corso – convergenze sulla difesa e rafforzamento del Servizio sanitario nazionale; sulla priorità della salute tanto nell’allocazione delle risorse nazionali, quanto in un rinnovato modello di sanità pubblica e di cura.

Una versione ridotta di questo articolo è apparsa sul Manifesto il 28 febbraio 2025