In attesa del nuovo Ad del gruppo, di un piano industriale e anche della fine degli ammortizzatori per 4mila operai della componentistica, i lavoratori si interrogano su regole del Green Deal, motore ibrido e prospettive legate alla concorrenza internazionale. Intervista a Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom.
L’industria automobilistica europea è nel pieno di una tempesta che non accenna a placarsi. In Italia Stellantis ha chiuso il 2024 con una produzione sotto il mezzo milione di veicoli – un minimo storico dagli anni ‘50. Ma persino in Germania, da sempre roccaforte del settore, Volkswagen per la prima volta nella sua storia ha prospettato svariate chiusure di stabilimenti, aprendo una dura vertenza con l’IG-Metall. Nel frattempo il mercato dell’elettrico in Europa stenta a decollare, in contrasto con l’avanzata inarrestabile dei produttori asiatici. Il settore si trova così stretto in una morsa che è insieme sociale, industriale e climatica. Per l’Italia, per i lavoratori e le lavoratrici del settore automotive si profila un anno particolarmente critico: ne abbiamo parlato con Samuele Lodi, segretario nazionale e responsabile del settore mobilità per la Fiom Cgil.
Partiamo dall’incontro che si è tenuto al Mimit a metà dicembre scorso, al quale ha partecipato il nuovo responsabile dell’area europea Imparato. Che impressioni vi ha fatto? Avete notato differenze rispetto ai precedenti incontri sotto l’«era» Tavares?
L’incontro è stato importante, è cambiato interlocutore e sono emersi elementi di merito rilevanti, per quanto non tutto è stato esplicitato e quindi siamo in attesa delle prossime interlocuzioni. L’approccio, sia verso il governo che verso le organizzazioni sindacali, sembra cambiato, sicuramente Imparato ha un rapporto empatico verso l’Italia, diverso da quello di Tavares, ma sarà il tempo a dirci se le promesse verranno mantenute.
Ci sono novità per quanto riguarda i modelli allocati agli stabilimenti in Italia?
Nel merito di quanto detto all’incontro del 17 dicembre 2024, sono stati forniti elementi importanti su Pomigliano, comunicando l’allocazione della piattaforma Small che potrà portare tre nuovi modelli dal 2030. Rimane però da affrontare il periodo da qui al 2030: la Pandina finora ha tenuto a galla i volumi dello stabilimento, ma da marzo 2025 comincerà la commercializzazione della Fiat Grande Panda ibrida ed elettrica, prodotta in Serbia. Rischierà di essere in concorrenza, perché nonostante sia un’auto più grande, i prezzi d’ingresso del modello ibrido sono concorrenziali, dato che rimane sui €16.000. Ciò non toglie che la novità di allocare la piattaforma Small a Pomigliano è importante. Per quanto riguarda Melfi, ci sono delle novità anche qui: hanno annunciato quattro nuovi modelli elettrici, di cui uno già previsto anche nella modalità ibrida, più altri due modelli che ora verranno prodotti anche nella versione ibrida. Questo dovrebbe determinare un aumento dei volumi, grazie ai modelli ibridi, ma rimangono comunque insufficienti per saturare la capacità produttiva di Melfi. A Mirafiori, la nuova 500 elettrica è confermata, ma dal 2030. Nel frattempo è prevista da fine 2025/inizio 2026 anche la versione ibrida, portando a un rimbalzo dei volumi produttivi a Mirafiori che tuttavia non è sufficiente.
Qual è invece la situazione della Gigafactory di Termoli?
La Gigafactory di Termoli rimane un ‘buco nero’, non sono state fornite novità. Quindi quel progetto è ancora presente, ma sulle tempistiche non si sa nulla. Risultano peraltro problemi, e produzione ridotta, nell’analoga Gigafactory di Stellantis in Francia, che ad ora era l’unica in funzione. Su Termoli il rischio è davvero grosso, dato che quel sito produce motori e già oggi è in difficoltà.
Come valutate complessivamente gli annunci fatti da Stellantis?
Complessivamente sono annunci non banali, dati comunque in sede formale ed istituzionale, ma non sono risolutivi. Non è comunque un piano industriale per l’Italia: sì, hanno prospettato €2 miliardi di investimenti, ma non si sa né dove, né come. Questo si collega anche alle tempistiche per la nomina di un nuovo Amministratore Delegato, dato che ci si aspetta che sarà questa figura a definire e illustrare il piano industriale.
L’utilizzo degli ammortizzatori sociali è preponderante, praticamente in ogni stabilimento. Inoltre il governo ha confermato lo stanziamento di 1,1 miliardi per il settore nel 2025 – una somma irrisoria se comparata ai piani di sostegno per l’automotive di altri Paesi. Quali richieste portate voi al governo italiano?
Quello degli ammortizzatori è un tema centrale, dato che ci sono stabilimenti dove il loro utilizzo è persino aumentato. Inoltre questo è un aspetto che tocca non solo Stellantis, ma anche la componentistica. Il punto qui è l’urgenza di un intervento da parte del governo, dato che a fine anno termina la cassa integrazione. Stimiamo che solo a inizio 2025, senza interventi del governo, oltre 4.000 addetti nella componentistica rischiano il proprio posto di lavoro. La ministra del Lavoro era presente al tavolo del Mimit del 17 dicembre scorso: ha dichiarato che hanno piena consapevolezza della situazione e che di volta in volta interverranno. Non c’è quindi una strategia organica e complessiva, ma solo misure emergenziali. Sulla questione del Fondo automotive c’è una forte contraddizione da parte del governo Meloni, che da una parte giustamente chiede che l’UE si doti di un piano straordinario di risorse per la mobilità, ma al contempo ha apportato tagli massicci del Fondo in Italia. C’è poi il tema della strategia del governo italiano in Europa, che ha adottato una postura favorevole a fermare, o comunque rallentare, il processo di transizione che originariamente aveva individuato il 2035 come anno chiave. Ad esempio c’è chi chiede di anticipare la verifica del percorso verso il 2035, che inizialmente doveva essere il 2026 e invece si sta chiedendo di anticiparlo al 2025. Su questo punto non siamo convinti.
Rispetto al percorso delineato dall’UE verso il divieto di vendita delle auto endotermiche dal 2035, che valutazioni state facendo?
Un punto su cui abbiamo trovato una convergenza anche con le altre le altre organizzazioni sindacali riguarda la questione che dal 2025 sono previste delle sanzioni se non si rispettano i nuovi vincoli sulla produzione di veicoli endotermici previsti dal percorso verso il 2035, con un impatto che rischia di essere pesante per l’industria automotive europea, dato che si ipotizzano dai 14 ai 17 miliardi di euro di sanzioni. Se ci fosse possibilità di togliere o ridurre quelle sanzioni sarebbe positivo, naturalmente con condizionalità rispetto alla tenuta occupazionale e agli investimenti. Infine c’è il tema della neutralità tecnologica, che è molto insidioso. Se si mantiene l’orizzonte del 2035 ma si apre al tema della neutralità tecnologica implicitamente significa spostare in avanti la transizione; se si decide che dal 2035 possono essere commercializzate in Europa solo auto elettriche oppure endotermiche con biocarburante, implicitamente significa andare avanti con l’endotermico. Come organizzazione sindacale questo è un punto spinoso, perché ci misuriamo con la diffidenza e il timore presenti nei luoghi di lavoro. Per i lavoratori in questo contesto di forte rischio la priorità diventa la salvaguardia del proprio posto di lavoro, dunque i temi sociali legati alla necessità di transizione passano in secondo piano. Anche per questo motivo riteniamo che le organizzazioni sindacali abbiano il bisogno di avere dei momenti di approfondimento tecnico-scientifico, per avere più strumenti conoscitivi che ci aiutino ad affrontare le varie questioni sul piatto.
Sono stati annunciati anche diversi modelli di auto ibride. C’è un rinnovato focus sull’ibrido?
L’ibrido rientra precisamente in un potenziale slittamento dei tempi da qui al 2035, tant’è che non è una strategia perseguita solo da Stellantis. Ci sono stati passi indietro in molte case automobilistiche che sono tornate a valorizzare l’ibrido, a partire da Toyota, che è il secondo gruppo mondiale. Quindi anche puntare maggiormente sull’ibrido è una valutazione da fare. Però tornando a prima, la discussione in Europa e in Italia è un po’ finta. Il governo e altre organizzazioni dicono sì alla transizione, ma nel segno della neutralità tecnologica, e inoltre chiedono di anticipare i tempi di verifica del percorso verso il 2035. Ma così si ferma la transizione. Con le difficoltà che stiamo scontando nel rapporto con l’industria automobilistica cinese, un nostro rallentamento non può che portare a un peggioramento ulteriore della prospettiva industriale.
Stellantis fatica anche nel Nord America e perfino in Francia. Come Fiom siete stati sia al fianco dell’UAW durante l’ondata di scioperi contro le Big Three, e siete andati a Poissy, dove invece avete incontrato la solidarietà della CGT. Come si stanno sviluppando i vostri rapporti con queste organizzazioni sindacali?
Il rapporto con la CGT è costante, e su Stellantis ci sono sensibilità diverse ma le posizioni sono molto omogenee. Anche loro denunciano la strategia di disinvestimento dal proprio Paese a favore dello spostamento della produzione in Nord Africa e nei Paesi dell’Est Europa. Con l’UAW dobbiamo rinnovare il confronto. Da parte loro c’è una condivisione dichiarata rispetto alla politica commerciale dei dazi implementata dall’amministrazione Trump per tutelare il comparto industriale auto USA, il che va in contraddizione con il loro supporto a Kamala Harris durante la campagna elettorale.