I paesi debitori sono stati forzati ad adottare misure di austerità, mentre i surplus tedeschi hanno contribuito a tenere depressa l’economia mondiale
Il 30 ottobre l’Office of International Affairs del Tesoro statunitense ha pubblicato il suo solito semestrale Report to Congress on “International Economic and Exchange Rate Policies”, in consultazione con il Board of Governors della Fed e la direzione e funzionari dell’Imf. Di solito il Report è un’occasione per attaccare la Cina sulla sottovalutazione del renmimbi, e questa volta non fa eccezione: “Il RMB è andato apprezzandosi su una base ponderata con le quote commerciali [del 6,6% su base effettiva reale], ma non così rapidamente e così tanto come occorrerebbe [un 5-10% addizionale]”. Ma il Report contiene inoltre una critica vigorosa della Germania per il suo surplus commerciale a livelli record, che viene considerato un freno per la ripresa dei paesi dell’Eurozona che fronteggiano un corrispondente deficit commerciale, e per lo sviluppo mondiale.
Fra i Key Findings del Rapporto (p.3): “Nell’ambito dell’Eurozona, paesi con surplus commerciali ampi e persistenti devono agire per stimolare lo sviluppo della domanda interna e ridurre i loro surplus. La Germania ha mantenuto un ampio surplus di conto corrente durante tutta la crisi finanziaria dell’area dell’euro, e nel 2012 il surplus nominale di conto corrente della Germania era maggiore di quello della Cina. Il ritmo anemico di sviluppo della domanda interna della Germania e la sua dipendenza dalle esportazioni hanno impedito il riequilibrio in un momento in cui molti altri paesi dell’Eurozona sono stati sotto una severa pressione per tagliare la domanda e comprimere le importazioni allo scopo di promuovere un aggiustamento. Il risultato netto è stata una tendenza deflazionistica per l’area dell’euro come pure per l’economia globale.”
Il testo del rapporto sviluppa ulteriormente questa proposizione: molto del declino degli squilibri globali di conto corrente che si sono verificati in anni recenti riflette una contrazione della domanda nei paesi in deficit piuttosto che un forte sviluppo della domanda interna nei paesi con un surplus di conto corrente. La Germania in particolare ha continuato a registrare un surplus molto ampio e persistente, facendo aumentare il conto corrente dell’eurozona, che nel 2009-2011 era vicino all’equilibrio, a un surplus del 2,3% del Pil nella prima metà del 2013. “Il surplus di conto corrente della Germania saliva oltre il 7 per cento nella prima metà del 2013, mentre il surplus di conto corrente dell’Olanda era di quasi il 10 per cento. Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna sono ora tutti in surplus di conto corrente a causa del declino della domanda di importazioni in questi paesi. Pertanto il peso dell’aggiustamento è caduto in maniera sproporzionata nei paesi della periferia europea, esacerbando la disoccupazione estremamente elevata di questi paesi, soprattutto fra i giovani, mentre l’aggiustamento complessivo dell’Europa è basato sulla domanda che proviene da fuori dell’Europa anzichè dalla risoluzione della mancanza di domanda esistente all’interno dell’Europa.”
La sezione sull’Eurozona sottolinea questo punto: “L’espansione è stata promossa dallo sviluppo della domanda interna tedesca – anche se lo sviluppo tedesco continua a basarsi su esportazioni nette positive, che continua a ritardare il processo di aggiustamento esterno dell’Eurozona – e dalla domanda interna della Francia.”
Nessuno può obiettare a queste proposizioni, che sono basate su una corretta interpretazione di fatti ormai bene accertati, e che non sono affatto nuove. L’adozione da parte della Germania di politiche più espansive è stata raccomandata da molti economisti, da Martin Wolf (FT) a Paul Krugman (Those Depressing Germans, NYT 3/11/2013), da Jean Pisani-Ferry (Bruegel) a Mario Seminerio (La Cura Letale, Rome, 2012), al Managing director del Fmi Christine Lagarde come pure da vari documenti del Fondo. La cosa straordinaria è che la critica debba provenire dal governo degli Usa e da ambienti di ricerca prima che venga sollevata dalla Commissione Europea.
Le procedure dell’Ec soffrono di una asimmetria totalmente arbitraria e ingiustificata nel trattamento di paesi con un surplus o un deficit nella loro bilancia commerciale di conto corrente: un deficit del 4% del Pil fa scattare un procedimento disciplinare per il paese che lo registri, mentre un surplus del 6% nella media di tre anni è necessario prima che la Commissione europea prenda nota di quello squilibrio, per di più in modo puramente simbolico. Nel 2012 la Germania registrava un surplus record del 7% ma la media triennale era appena sotto il 6% e nessuno disse niente.
Questo è un problema generale che Maynard Keynes aveva cercato di risolvere alla Conferenza di Bretton Woods (1944). Il suo Piano assegnava ad ogni paese un overdraft in termini di “bancor” – la moneta internazionale che avrebbe dovuto sostituire il dollaro – pari al volume del suo commercio internazionale medio su cinque anni; un tasso di interesse penale del 10% si sarebbe applicato ai paesi in deficit al di sopra di quel limite, come pure ai paesi in surplus sull’eccedenza sopra al 50% del massimo overdraft consentito, in questo modo forzando aggiustamenti compensativi del tasso di cambio o flussi di capitale, sotto la pena di confisca alla fine dell’anno di ogni riserva in eccesso del massimo surplus consentito. “Niente di così originale ed ambizioso era mai stato discusso”, commentava Lionel Robbins. Ma gli Usa erano all’epoca il maggiore creditore al mondo, e il Piano del rappresentante Usa Harry Webster White veniva preferito dai 42 paesi che partecipavano alla Conferenza. L’onere di bilanciare il commercio internazionale veniva imposto ai paesi in deficit, mentre nessun limite veniva imposto ai paesi in surplus, quindi imprimendo necessariamente una tendenza deflazionistica alla natura degli aggiustamenti commerciali. La replica di questo approccio nell’Unione Europea è uno dei molti peccati originali dell’Eu.
C’è un ben noto principio di economia Keynesiana, derivante dalle identità di contabilità nazionale e totalmente indipendente dalla validità della politica economica keynesiana, e quindi universalmente accettata: l’eccesso delle esportazioni X sulle importazioni M, più l’eccesso della spesa pubblica E sul gettito delle imposte T, più l’eccesso dell’investimento I sul risparmio S privati, deve necessariamente avere un totale uguale a zero. Quindi un paese che registri un deficit commerciale deve necessariamente incorrere in un deficit nel bilancio pubblico e/o un eccesso di investimento sui risparmi privati (difficile da ottenere di fronte a una domanda in diminuzione) a compensare quel deficit commerciale. In altre parole, il surplus commerciale tedesco rende corrispondentemente più difficile bilanciare i conti pubblici dei suoi partners in deficit commerciale.
Il 2 novembre la rubrica dell’Economist Charlemagne, sotto il titolo Fawlty Europe, commentava sulla “ossessione tedesca per la competitivita’”… “Per la Germania il boom delle esportazioni è un simbolo di virilità economica.” È vero che la Germania sta cogliendo i benefici di riduzioni di salari e di prezzi (la svalutazione interna) intraprese prima della crisi; un paese che adottasse la stessa politica oggi nel mezzo di una crisi pagherebbe il prezzo di aggravare la crisi. La Germania inoltre beneficia di precedenti riforme strutturali che sono politicamente difficili da replicare, e della domanda relativamente inelastica per le sue esportazioni ad alta tecnologia. Ma i paesi in surplus come la Germania, l’Olanda e l’Austria traggono vantaggio anche di un tasso di cambio artificialmente debole, rispetto al tasso elevato e crescente che si avrebbe se questi paesi usassero una propria moneta invece dell’euro. E in ogni caso mantenendo bassi i salari, gli investimenti e lo sviluppo essi hanno reso deflazionistico l’aggiustamento commerciale che si è avuto in Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia. I paesi debitori sono stati forzati, soprattutto dalle pressioni tedesche, ad adottare misure di austerità che hanno eliminato i deficit commerciali al costo di aumentare perversamente i rapporto fra debito pubblico e Pil (vedasi il nostro post sull’argomento) mentre i surplus tedeschi persistevano e la loro mancanza di aggiustamento magnificava i costi dell’austerità e contribuiva a tenere depressa l’economia mondiale.
Charlemagne osserva che la Germania ha beneficiato anche del suo protezionismo, avendo mancato di liberalizzare le costruzioni e i servizi. Mentre questi settori non rappresentano una quota significativa delle esportazioni tedesche, un recente studio dell’Ocse sottolinea che in generale essi hanno un impatto all’incirca doppio sul commercio e sulla competitività commerciale se si considerano i loro inputs effettivamente incorporati nelle esportazioni, ossia adottando un approccio di contabilità commerciale basata sul valore aggiunto. Infine Charlemagne raccomanda alla Germania di investire di più in infrastrutture ed educazione, e di provvedere alla cura dei bambini per le donne che lavorano.
Per di più i produttori tedeschi ad alta intensità di energia beneficiano di un sussidio implicito sul loro consumo di elettricità, attraverso l’esenzione dal costoso surcharge usato per finanziare l’Energiewende, ossia l’accelerata introduzione di energie rinnovabili che dovrebbero raggiungere il 35% per il 2020 e l’80% per il 2050. Il Commissario europeo per l’Energia Günther Oettinger in un incontro di quest’anno con i leaders industriali affermava che le concessioni di prezzo per le imprese ad alto uso di energia in Germania rappresentava un livello di sussidio “inammissible”. Le imprese tedesche temono di dover restituire centinaia di milioni di euro al governo tedesco.
Soltanto il 13 novembre scorso il Presidente dell’Eu, Josè Manuel Barroso, annunciava “un’analisi approfondita dell’elevato surplus commerciale tedesco”, allo scopo di verificare se la Germania possa dare un contributo maggiore al ri-equilibrio dell’economia Europea”. Nel 2013 si prospetta un surplus commerciale continuato al 7%, e la revisione al rialzo del surplus commerciale del 2012 già fa salire al di sopra del 6% la media triennale del 2010-2012. Anzi, “in seguito a revisioni statistiche, l’indicatore ha ecceduto la soglia [del 6%] ogni anno a partire dal 2007” e “ci si attende che il surplus rimanga al di sopra della soglia indicativa per tutto l’orizzonte previsionale, suggerendo quindi che non si tratta di un fenomeno ciclico di breve durata (EC 2013). I risparmi tedeschi eccedono l’investimento, e nonostante che la quota del debito del settore privato (famiglie e imprese) sul Pil sia al penultimo posto nell’Eurozona, e i bassi tassi di interesse, il de-leveraging del settore privato è continuato, mancando di promuovere la crescita della domanda; l’anno scorso la formazione di capitale è diminuita.
Ciò richiede delle misure non fosse altro per ridurre la pressione sulla rivalutazione dell’euro. Ma la conclusione del documento dell’EC è semplicemente che “nel complesso la Commissione trova utile condurre un’analisi approfondita per stabilire se esistono squilibri” corsivo nell’originale). Si tratta di un grottesco problema esistenziale: quali altre prove sono necessarie a stabilire che uno squilibrio esiste, oltre allo squilibrio stesso?
La stampa e i politici tedeschi hanno reagito alle accuse del Tesoro statunitense e all’iniziativa della Commissione Europea con una combinazione di smentite, hubris e lamentele di vittimizzazione. Il Ministero tedesco dell’economia pubblicava una dichiarazione con parole forti, dicendo che il surplus tedesco è “un segno della competitività dell’economia tedesca e della domanda globale di prodotti di qualità dalla Germania”; respingeva le accuse come “incomprensibili” e sfidava gli Usa ad “analizzare la propria situazione economica.” In un memorandum per il Ministro delle Finanze Schäuble si legge: “Il surplus tedesco di conto corrente non fornisce alcun motivo di preoccupazione per la Germania, l’eurozona o l’economia mondiale”; Berlino sta seguendo un corso di “consolidamento favorevole allo sviluppo” e non ci sono squilibri “che possano richiedere una correzione della nostra politica economica e fiscale”. Si vedano anche “Complaints about German Exports Unfounded”, di Jung-Reiermann-Schmitz, Spiegel.de 5 November, e “Raw Nerve: Germany Seethes at US Economic Criticism” di Alessi,Spiegel, 31 October.
È stato detto che la prospettiva nuova Grande coalizione fra il Cdu, la sua consorella Bavarese, l’Unione Cristiano-Sociale (Csu), e il partito Social Democratico (Spd), ha già in programma di aumentare l’investimento pubblico e il salario minimo, ambedue misure che dovrebbero stimolare la domanda interna. Ma la formazione di quel governo, e in particolare il suo programma, sono ancora in corso di negoziazione.
Il vero problema è il deficit di governance dell’Unione Europea. La cosa peggiore che potrebbe accadere alla Germania nel caso di una “analisi approfondita” avversa da parte della Commissione è una ramanzina da parte di Marco Buti, del Direttorato Generale per gli Affari Economici e Finanziari. Ogni commento ci pare superfluo.